Il decreto anti-crisi, che dovrebbe tracciare il solco per una lenta ripresa dell'economia nel secondo semestre dell'anno, è stato approvato prima delle ferie estive. Come tutti i provvedimenti complessi, contiene elementi positivi e negativi, e rispecchia in parte alcune linee guida e modalità di intervento già utilizzate dal governo in provvedimenti precedenti. Analizziamo le misure maggiormente rilevanti del decreto, da un punto di vista economico, per comprenderne meglio le potenzialità e i limiti.

 

Misure anti-crisi: rilancio dell'economia 

Uno dei capitoli più rilevanti del pacchetto di misure anti-crisi è costituito dal rilancio degli ammortizzatori sociali. Perseguendo una scelta ormai consolidata si è deciso di puntare sul classico strumento della Cassa Integrazione Guadagni (CIG), estendendone la copertura ai settori a oggi esclusi e prorogandone la durata in alcuni casi. Si tratta di uno strumento di dubbia efficienza, soprattutto se utilizzato per periodi lunghi, ed è parere quasi unanime degli economisti che una riforma globale del sistema di ammortizzatori sociali sarebbe stata preferibile nonostante la situazione economica sfavorevole, anzi forse grazie a essa.
 
Positiva invece, per favorire almeno in parte il cosiddetto processo di distruzione creatrice, la possibilità per i lavoratori in CIG che decidano di mettersi in proprio di ottenere l'anticipo del sussidio, al fine di non cronicizzare situazioni di stallo e incentivare lo sviluppo di nuove attività e l'acquisizione di nuove competenze da parte di lavoratori che viceversa risulterebbero inattivi.

L'incentivo alle imprese che non licenziano, elevando il costo relativo della riduzione degli organici, permette alle imprese al margine di mantenere i propri livelli occupazionali e costituisce un bonus effettivo per le imprese virtuose che non avrebbero comunque optato per tale scelta. È condivisibile la filosofia di fondo (modificare temporaneamente la curva di costo in favore del fattore lavoro in un momento di crisi occupazionale), ma disegnata in modo semplificato la misura («dentro o fuori»), la cui efficacia rimane pertanto da verificare. 

A una prima analisi risultano positive le misure relative al rilancio degli investimenti, e in particolare:

  • gli sgravi fiscali per le PMI che ricapitalizzano; 
  • gli incentivi fiscali per le imprese che acquistano macchinari destinati alla produzione.

Entrambi i provvedimenti forniscono uno stimolo agli investimenti e costituiscono un incentivo al superamento di due debolezze strutturali delle PMI: la scarsa capitalizzazione e la necessità di ammodernamento tecnologico/produttivo. 

Misure anti-crisi: concertazione e regolamentazione 

Meno convincenti appaiono le misure relative al settore creditizio, quali:

  • la moratoria dei debiti nei confronti delle banche (tramite accordo tra ABI e associazioni imprenditoriali); 
  • l'introduzione di tetti su commissioni e regolamentazione di clausole contrattuali (massimo scoperto, condizioni su assegni e bonifici, eccetera).

Apparentemente buoni risultano gli obiettivi cui si punta, in quanto volti a ridurre le difficoltà per le imprese in temporanea crisi di liquidità e a scoraggiare pratiche scarsamente concorrenziali da parte delle banche. Tuttavia, difficilmente tali obiettivi sono raggiungibili «per decreto»: meglio sarebbe approvare norme a favore della libera concorrenza tra i diversi istituti anziché concordare, in appositi tavoli, misure parziali e condivise che però, se non supportate da un adeguato grado di concorrenzialità, rischiano di produrre effetti distorsivi. Se le banche, ad esempio, decidessero di aumentare il tasso di interesse medio sui prestiti per finanziare il maggior costo dovuto alla moratoria sui debiti, a pagarne per prime le conseguenze sarebbero proprio le aziende più virtuose che di tali agevolazioni non hanno necessità. 

Di natura simile (molta regolamentazione e poca apertura al mercato) sono le misure volte a contenere i prezzi sul mercato dell'energia; sebbene lo Stato abbia in questo settore un notevole controllo, sarebbero più efficaci, almeno nel medio-lungo periodo, misure che stimolino la concorrenza rispetto a misure volte al controllo dei prezzi. 

Contenimento della spesa pubblica 

Vi sono, infine, una serie di misure per contenere la spesa pubblica: soprattutto, attraverso la limitazione delle assunzioni da parte di alcune amministrazioni pubbliche ed enti a carattere locale (che rientrano negli obiettivi del patto di stabilità) e attraverso la limitazione della spesa sanitaria. Su entrambi i fronti saranno, però, più rilevanti le decisioni dei prossimi mesi riguardanti i decreti attuativi del federalismo fiscale, il difficile percorso di liberalizzazione dei servizi pubblici locali e il patto per la salute 2009-2011, che dovrà essere firmato entro ottobre. 

Nel complesso, si confermano le tendenze osservate negli ultimi mesi. Da un lato, una certa attenzione alla spesa pubblica e all'impostazione di politiche anti-crisi tali da non gravare eccessivamente sul già enorme debito pubblico. Dall'altro, un eccessivo ricorso a misure a tutela dei consumatori basate sulla regolamentazione (che rischiano di rivelarsi scarsamente efficaci) anziché una chiara politica liberale e a favore di maggiore concorrenza sui mercati.