A Davos sono stati il leader russo, Vladimir Putin, e quello cinese, Wen Jiabao, a definire le linee della critica all'assetto internazionale centrato sugli Stati Uniti. La prima critica è stata sulla credibilità, la seconda sulla politica economica. Gli Stati Uniti hanno sempre assicurato che il loro sistema era stabile, e poi si è visto che non era vero, questo è quanto in sostanza ha affermato Putin. Alcuni paesi seguono un modello di crescita insostenibile, perché basato sul consumo senza un adeguato risparmio, questo è quanto in sostanza ha affermato Wen.

Il centro del sistema, questo è il senso dei discorsi dei due leader, non solo non è credibile, ma segue un percorso sbagliato. La parte "distruttiva" dei due discorsi è condivisibile, ma è difficile capire quale sia la parte "costruttiva", vale a dire come si esce dalla crisi. Asserire che ci vuole una maggiore cooperazione vuol dir tutto e niente.

Intanto che si riflette su come uscire dalla crisi e sui nuovi assetti mondiali, le cose possono peggiorare. Si ha, infatti, il rischio che emerga il "protezionismo bancario". Per esempio il Tesoro britannico ha chiesto alle banche di aumentare i prestiti all'economia in cambio della sottoscrizione degli aumenti del loro capitale di rischio. Le banche hanno così continuato ad erogare crediti alle imprese ed alle famiglie inglesi, ma hanno ridotto, ed in notevole misura, i prestiti ai residenti esteri. Un altro rischio, ricordato da Igor Yurgens, consigliere economico di Dimitry Medvedev, è quello che i capitali finiscano negli Stati Uniti per finanziare la gigantesca emissione di obbligazioni volte a coprire sia il maggior deficit pubblico sia il salvataggio delle banche. Capitali che, di conseguenza, non saranno più a disposizione dei paesi in via di sviluppo. 
Insomma, le cose sono difficili e le soluzioni concrete molto complicate da immaginare. Possiamo azzardare che le soluzioni saranno pensate da un punto di vista univocamente "statalista". Si capisce, ed è anche ragionevole, che oggi si voglia salvare velocemente e senza troppo sottigliezze l'economia mondiale. Sottilizzare può però avere una sua qualche utilità. 
A Davos gli uomini d'affari, interrogati, hanno dichiarato che la causa maggiore della crisi in corso è stata la credenza, dimostratasi poi sbagliata, che i mercati in generale, e quelli finanziari in particolare, siano sempre in grado di auto correggersi. In altre parole, che siano sempre in grado di trovare, e per conto proprio, delle regole tali che non essi precipitano mai in una crisi grave. Da qualche tempo, proprio da quando la credenza nei mercati auto regolati non è più presa sul serio, si sente affermare che queste cose al settore pubblico non accadono, perché esso è sempre in grado di trovare delle regole che non lo portano sull'orlo del precipizio. La crisi spinge a pensare che, poiché il mercato ha funzionato male, allora è meglio lo stato. Quest'asserzione, che sembra sensata, potrebbe essere demolita usando un esempio della vita di tutti i giorni: siccome il mio matrimonio non ha funzionato, allora era meglio se restavo signorino. Non fila, vero? 
Torniamo indietro nel tempo, un paio di decenni, quando erano gli spavaldi seguaci dei mercati auto regolati a condurre le polemiche contro gli statalisti, allora in difficoltà. Che cosa dicevano? Il settore pubblico non può funzionare in maniera efficiente, perché, primo, non esiste il "bene pubblico", secondo, perché i sistemi moderni sono troppo complessi perché poche persone possano governarli. 

Il primo punto. Così come non esistono "gli italiani", ma esistono Mario, Antonio, Teresa, così non esiste il "bene pubblico". La scandalosa, beninteso per quei tempi, dichiarazione di Margareth Thatcher, l'eroina del liberismo, che asseriva che "non esiste la società", voleva ricordare proprio questo. Dal principio che non esistono degli enti diversi dagli individui che li compongono, si ricava la conclusione che ciascun politico persegue il proprio interesse, così come ogni funzionario statale. In altre parole, l'idea che esista un sapiente privo di interesse privato che persegue solo il bene della collettività è una stramberia inventata dai filosofi dell'antica Grecia nel loro delirio di pensare la perfezione. Platone all'origine dei mali, detta in breve. Bene, quasi tutti si convinsero che era così, che non esistono dei sapienti privi di difetti che si occupano del bene altrui. Il secondo punto. Le informazioni per far funzionare un sistema economico moderno sono troppe perché un ministero possa decidere che cosa fare. Certamente può fare, ma non può fare bene: allora è meglio che siano i mercati, dove operano imprenditori e consumatori, a fare i prezzi dei chissà quanti milioni di prodotti. 

Si potrebbe dire, con perfidia, che le argomentazioni contro lo statalismo possono essere ribaltate contro il sistema finanziario. L'argomentazione uno. L'interesse dei dirigenti delle banche non coincide con l'interesse degli azionisti e dei dipendenti. Non esiste, infatti, "l'interesse del sistema finanziario", proprio come non esiste "l'interesse del paese". Esiste solo l'interesse degli individui. I dirigenti delle banche erano interessati ai super profitti perché così incassavano molti denari con le opzioni. E questi profitti erano tanto maggiori quanto maggiore era il credito, perciò le banche avevano accresciuto il rischio fino al limite estremo. Poi, come si è visto, tutto è saltato. L'argomentazione due. Il gran dirigente della gran banca può essere pensato, e senza esagerare troppo, come un gran capo del Gosplan. Aveva, proprio come il pianificatore, un'idea molto vaga intorno a quel che facevano i suoi numerosi sottoposti. Che questi s'inventassero delle obbligazioni di cui nessuno capiva niente, interessava meno della gran quantità di denaro che si poteva guadagnare con la produzione di obbligazioni strambe. Naturalmente, quando la banca guadagnava il merito era del genio organizzativo del capo. La giustificazione per gli stipendi immensi dei capi era, infatti, la "scarsità del talento". In realtà, nessuno controllava il sistema. Quando poi tutto è venuto giù, si è visto che il genio nel condurre le organizzazione non era tale, anzi potremmo dire che la storia del genio e quindi del premio per la scarsità che ne scaturiva era, alla fine, un'ideologia. 

Sarebbe un errore pensare, sull'onda dell'angoscia per la crisi in corso, che lo statalismo possa fare sempre meglio dei mercati auto regolati. Esso ha, infatti, molti dei difetti di questi ultimi. Viceversa, si è visto negli ultimi tempi che i mercati auto regolati hanno molti dei difetti dello statalismo. Urge, insomma, un nuovo pensiero. Ma non c'è tempo. I tempi della politica per risolvere (o per mostrare che si sta facendo il possibile) i molti problemi schiaccia il tempo della riflessione. Quanto al sistema finanziario, o meglio alle sue vecchie elite, esse banalmente cercano di salvarsi attraverso gli aiuti pubblici. Che cosa potrebbe accadere? Fra le possibilità, la più probabile è che si salvi il salvabile con una gigantesca offerta di obbligazioni dei Tesori, allo scopo di finanziarie i maggiori deficit pubblici ed il salvataggio del sistema finanziario. Le obbligazioni statali, va ricordato, si riversano sul largo pubblico, e sono pagate dalle imposte spalmate su molte generazioni. Esse sono, alla fine, una medicina somministrata a tutti, e quindi, possono passare (quasi) inosservate.