In Idaho, per la prima volta, un ‘nero' ha vinto le primarie di uno stato dell'unione. L'evento è davvero di portata storica, a prescindere dal destino della candidatura del ‘nero' in questione, il senatore dell'Illinois Barack Obama. Ma in che senso è Obama un ‘nero'? La domanda non è oziosa, soprattutto se si sospetti che parlare di razza non equivalga a parlare del colore dell'epidermide di una persona. I ‘neri' in Idaho non sono più del 3%.
Dunque Obama non ha potuto contare sull'elettorato afro-americano per battere John Edwards, secondo classificato, e Hillary Clinton, terza classificata. Per ottenere la vittoria, Obama ha dovuto convincere un numero notevole di elettori ‘bianchi.' Questi lo hanno dunque votato a prescindere dal colore della pelle, visto che la proposizione opposta, e cioè che lo abbiano votato perché era ‘nero', è palesemente assurda. Perché avrebbero dovuto farlo? Non c'è motivo. Appare quindi evidente che gli elettori che hanno partecipato ai caucases democratici dell'Idaho hanno votato Obama convinti dalle sue idee, o dal modo di porgersi del candidato. Si è sentito dire da più parti che le posizioni espresse da Obama sono calcolate proprio per far dimenticare agli elettori il colore della sua pelle, ed in parte è vero. Ad una analisi più attenta, però, si scopre dell'altro. Due sono le parole chiave che ricorrono nei suoi discorsi, speranza (hope) e unità (unity)Hope è la parola chiave della sinistra americana, the party of hope. Va da sé che chi spera in un futuro migliore non è un conservatore ma un progressista.
L'appello all'unità - we are one people - ha invece risvolti conservatori, soprattutto fra i ‘bianchi.' Per tutti gli anni novanta, infatti, la sinistra americana ha fatto un feticcio della parola diversity, diversità. ‘Celebrate diversity' recitavano gli enfatici adesivi con l'arcobaleno che propagandavano il multiculturalismo in molti campus americani. Parlare di unità del paese è per un ‘nero' una sorta di abiura, almeno secondo la logica dell'adesivo multiculturale. Ha dunque Obama tradito la sua razza? È diventato egli unhonorary white, un ‘bianco' onorario? No. Così sarebbe stato se poi non avesse vinto anche nella Carolina del Sud, dove la popolazione ‘nera' si avvicina a sfiorare il 50%. È possibile che anche qui gli elettori ‘neri' lo abbiano votato per le sue idee, e non per il colore della pelle. Ma se avessero percepito un suo ‘tradimento' dell'identità afro-americana gli si sarebbero di certo rivoltati contro, votando in massa per la moglie dell'ex presidente Bill Clinton, il primo presidente ‘nero' d'America secondo una famosa definizione. In realtà, nell'arsenale di teorie prodotte per dare un senso alle recenti dinamiche razziali che animano la vita pubblica americana c'è un termine che pare calzare a pennello a Barack Obama. Si tratta del termine postethnic, post-etnico. Obama in questo senso potrebbe essere il primo candidato di una America in cui il dato razziale e le origini geografiche dei propri progenitori contino sempre meno nel governo di quella rete di affiliazioni volontarie e involontarie che costituiscono l'identità di una persona. Il fatto che Obama sia poi letteralmente un afro-americano - con un padre Keniota e una madre ‘bianca' del Kansas - aiuta i ‘bianchi' a non percepirlo come ‘nero', e i ‘neri' a continuare comunque ad identificarsi con lui come un fratello.