Nel 2006 la spesa socio-sanitaria in Italia ha raggiunto la cifra record di 130 miliardi di euro, quasi il 9% del prodotto interno lordo. Le pressioni demografiche ed epidemiologiche aggravano le componenti di disabilità e non autosufficienza legate alla vecchiaia. Rappresentano una minaccia sempre più seria per la sostenibilità di medio lungo periodo dell'assetto di federalismo fiscale a sostegno della spesa socio sanitaria. Proviamo a dare un quadro sintetico regione per regione.
La spesa intoccabile, a quando una riforma della sanità? 
Nelle sue considerazioni finali all'assemblea della Banca d'Italia, Mario Draghi ha ritenuto opportuno esternare un richiamo all'esigenza impellente di un più severo controllo della spesa pubblica.
Sia la Destra sia la Sinistra, nel succedersi alla guida del Paese, si sono distinte per questo grande fattore di continuità: la sostanziale incapacità nel ridurre la spesa corrente, che ha ormai raggiunto i livelli più alti dal dopoguerra. Un fardello che, al netto degli interessi sul debito pubblico, pesa per il 46% del Prodotto Interno Lordo. Solo attraverso una riduzione "continua" di questa fonte di spesa – ha sottolineato il Governatore – si può iniziare a operare sulla compressione del debito pubblico senza appesantire ulteriormente i carichi fiscali e consentire in tal modo di liberare adeguate risorse per gli investimenti necessari a colmare i molti ritardi strutturali del sistema Paese. 

La miscela esplosiva: demografia ed epidemiologia
L'invecchiamento della popolazione interagisce con i bassi tassi di natalità e con l'aumento delle aspettative di vita, creando un bacino di popolazione anziana sempre più ampio e longevo. Ci stiamo trasformando rapidamente in una società di nonni e bisnonni. Le previsioni più caute al 2050 parlano di una situazione in cui ogni persona in età lavorativa dovrà produrre un reddito sufficiente per mantenersi nonché per coprire i costi di assistenza previdenziale e socio-sanitaria di almeno una persona anziana. Fino a pochi anni or sono questa corrispondenza vedeva due persone in età lavorativa sostenere una persona anziana. Questa «capovolgimento» demografico è destinato ad appesantire ulteriormente i bilanci pubblici, attraverso gli incrementi di spesa per le pensioni, la sanità e l'assistenza sociale.
A queste pressioni demografiche si sommano importanti cambiamenti epidemiologici, non immediatamente riconducibili al semplice invecchiamento della popolazione, che si manifestano attraverso la cronicizzazione di patologie un tempo mortali quali il diabete, le malattie cardiovascolari, i tumori, le nefropatie. Le malattie croniche stanno rapidamente ricoprendo uno spazio assai più rilevante, rispetto alle patologie acute e già oggi assorbono oltre la metà delle risorse dell'intero sistema sanitario nazionale(SSN).
Il combinato disposto delle trasformazioni demografiche ed epidemiologiche accentua gli elementi disabilitanti legati all'invecchiamento e rende particolarmente pressante l'esigenza di assistenza per anziani, disabili, non autosufficienti. Rappresenta infine un punto di grandissima fragilità per la sostenibilità di medio periodo della finanza dei bilanci regionali, cui è demandata l'erogazione dei servizi sanitari.
E' utile ricordare che mediamente l'80% del costo di una persona per il servizio sanitario ha luogo oltre i 65 anni e che, in questa fascia, risulta spesso inestricabile la presenza contemporanea di emergenze sociali e sanitarie. Le previsioni demografiche al 2050 parlano di una popolazione anziana di oltre 18 milioni di persone contro gli 11,5 milioni attuali, con un incidenza di circa 5 milioni di anziani non autosufficienti o disabili (quasi il doppio rispetto ad oggi) che ai livelli attuali di assistenza rappresentano da soli un costo annuale prospettico di circa 50 miliardi di euro a regime.
Vale la pena sottolineare come l'assistenza sanitaria, essendo un bisogno antico, sia storicamente prevista nei bilanci pubblici mentre quella sociale rivolta alla tipologia degli anziani non autosufficienti, essendo un bisogno più recente, non ha ancora trovato un dimensionamento ed una allocazione definita. Fino a pochi anni fa' speranze di vita più brevi e famiglie più disponibili consentivano un certo contenimento del problema, tale da potersi risolvere in un ambito privato, all'interno delle ampie maglie delle cure parentali. Esso rappresenta oggi invece una problematica sociale diffusa, un mondo economico sommerso, un grande bisogno ancora inespresso, pieno di disagi, di paure, forse anche di vergogne. Sempre meno persone vogliono e possono tenere i vecchi a casa ed è per questo che in molti sono anche disposti a spendere cifre ragguardevoli per badanti e residenze protette. 

I costi attuali e prospettici del Servizio Sanitario Nazionale.
Mentre il governo si interroga sull'ennesimo (il sesto!) riordino del sistema previdenziale, le intenzioni di riforma del SSN e gli sforzi di contenimento della spesa sanitaria sono rimaste lettera morta. La dinamica della spesa sanitaria appare inarrestabile, insostenibile, e intoccabile. 
Il costo del servizio sanitario nazionale erogato dalle Amministrazioni regionali per l'anno 2006 ha sfiorato i 102 miliardi di euro (circa il 7% del PIL), pari a due volte i livelli del 1995. La spesa sanitaria è cresciuta negli ultimi 10 anni ad un tasso annuo medio composito del 7%, con una dinamica quasi doppia rispetto quella del PIL nominale e tre volte superiore a quella dell'inflazione. 
102 miliardi di euro rappresentano circa un quarto della spesa corrente dello Stato, valgono la metà della spesa pensionistica. A questa cifra occorre poi aggiungere gli oltre 21 miliardi di euro di debiti verso fornitori accumulati negli anni 2001-2005 dalle Amministrazioni regionali, i deficit dell'anno 2006 e le spese – quantificabili in 3 miliardi di euro e ancora del tutto insufficienti per dare risposte concrete ai problemi socio-sanitari legati alla longevità - sostenute dagli Enti locali, per l'assistenza sociale agli anziani e ai non autosufficienti. Fatta un po' di aritmetica si giunge rapidamente ad una cifra che tocca nel 2006 i 130 miliardi di euro, quasi il 9% del PIL.
La Corte dei Conti, nel valutare le tendenze di medio-lungo periodo del sistema socio-sanitario, ha stimato recentemente che le sole componenti demografiche porteranno la spesa sanitaria ad assorbire l'8,8% del PIL entro il 2050. L'OCSE, prendendo anche in considerazione gli effetti sui consumi sanitari e sulla domanda di servizi long term care da parte di anziani non autosufficienti, stima per l'Italia una crescita della spesa sanitaria tale da raggiungere il 13,2% del PIL. 

Spesa e efficienza sanitaria: una mappatura regione per regione
Gli impatti del federalismo sanitario sono ancora scarsamente indagati. La sua introduzione ha comportato dal 2001 un ampliamento delle differenze nei livelli regionali di spesa sanitaria calcolata pro capite o in rapporto al PIL regionale, aumentando la dispersione regionale intorno alla media italiana. Questa eterogeneità può nascondere differenze tanto quantitative che qualitative delle prestazioni dei Servizi Sanitari Regionali (SSR), che si fanno tendenzialmente sempre più divergenti e tali anche da condurre ad una potenziale crescita delle migrazioni interregionali dei pazienti. 
Nella tabella sottostante sono rappresentati i diversi posizionamenti delle Regioni italiane sotto la duplice dimensione del costo del SSR sul PIL regionale – anche comprensivo dei deficit accumulati nel periodo 2001-2005 - e della percentuale del saldo migratorio di pazienti in mobilità ospedaliera interregionale sul totale dei pazienti in entrata ed uscita dalla Regione. In questo modo si può ottenere una prima mappatura dell'efficienza della spesa sanitaria a livello regionale.
Le regioni più efficienti e virtuose risultano essere in ordine la Lombardia, l'Emilia Romagna, il Veneto, la Toscana, il Friuli, il Trentino e l'Umbria con una spesa sanitaria regionale inferiore alla media nazionale, deficit pregressi contenuti e saldi ampiamente positivi nei flussi migratori dei pazienti.
Le regioni più arretrate sono quelle del Sud a cui si aggiunge il Molise. Qui vi è una situazione generalizzata di inefficienza e arretratezza dei servizi sanitari, una vera e propria emergenza meridionale nella sanità, che si sostanzia in ampi deflussi di pazienti verso le altre regioni (due pazienti meridionali su tre che decidono di farsi curare fuori dalla propria regione di residenza scelgono in ordine di preferenza la Lombardia, il Lazio, l'Emilia Romagna, la Toscana e il Veneto). I livelli di spesa sanitaria sono compresi fra l'8,7% e il 10,1% del PIL regionale, senza contare il fardello dei deficit pregressi particolarmente gravoso per tutte le regioni con la sola eccezione delle Puglia. Vi è infine un gruppo intermedio costituito dall'Abruzzo, dal Lazio, dal Piemonte, dalla Valle d'Aosta e dalla Liguria. Sono regioni con saldi migratori contenuti, siano essi positivi (Lazio, Abruzzo e Liguria) o negativi (Marche Piemonte, Valle d'Aosta) e con livelli di spesa pari a quello medio nazionale ma che spesso presentano importanti sbilanci strutturali e deficit pregressi.

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* anno 2004
** contando nella spesa anche i deficit accumulati nel 2001-2005