Il partito del presidente, Russia Unita, ha conquistato quasi il 65%, una maggioranza schiacciante per i parametri di una democrazia occidentale (ma forse non abbastanza sconvolgente per i gusti di un autoritarismo che tende sempre di più verso la monarchia). Del resto, non poteva accadere altrimenti, con Vladimir Putin che si è messo in persona alla guida – puramente simbolica, visto che non è entrato ovviamente nel parlamento – della lista dei suoi fedelissimi, trasformando una consultazione elettorale dove per definizione si devono affrontare programmi e partiti diversi in un referendum sulla sua persona.

Cronaca di una vittoria annunciata

Ovvio che il padre della nazione non poteva competere come tutti gli altri, né poteva conquistare una vittoria qualunque. Quella per la Duma 2007 è stata una campagna elettorale in cui si è fatto ricorso a tutti i metodi, sporchi, puliti, dalle intimidazioni agli incentivi, e molti protagonisti delle elezioni – dal liberale Grigory Yavlinsky al comunista Ghennady Ziuganov – concordano nel dire che non si è mai fatto un ricorso talmente massiccio e spudorato ai trucchi. Perfino a Mosca sono stati avvistati pullman di mercenari di Russia Unita, reclutati nella provincia, che facevano il giro dei seggi per votare con la "scheda del non residente", emessa a chi il giorno delle elezioni per qualche motivo si trova lontano da casa. Teoricamente, dà diritto a votare una sola volta, ma diversi testimoni hanno riferito di "comitive" che passavano da un seggio all'altro: studenti, insegnanti, operai, ai quali era stata promessa/imposta dai loro superiori una gita. In alcune fabbriche e ospedali i dipendenti venivano costretti a lavorare la domenica elettorale per votare così nei seggi aziendali, sotto l'occhio vigile dei direttori o dei primari (in alcune cliniche la misura ha riguardato anche i pazienti, minacciati di dimissione in caso di assenteismo). Un governatore ha messo in palio l'appalto per un palazzo da 24 appartamenti per il villaggio che avrebbe votato più compatto. Tutto questo mentre alla sparuta opposizione liberale venivano sequestrati giornali e volantini, impediti comizi e incontri con gli elettori, fino alle manganellate e gli arresti nell'ultima settimana prima del voto.
Gli osservatori internazionali – pochissimi, visto che per la prima volta Mosca ha disdetto l'invito a quelli della Osce – hanno dichiarato che le elezioni alla Duma non sono state "né libere, né eque". E' la prima volta che questi illustri paladini della democrazia europea giungono a questo verdetto in Russia: nel 2003 se l'erano cavata con un ambiguo "libere, ma non eque" e nelle consultazioni precedenti non avevano avuto quasi nulla da ridire. Cosa è cambiato tra il voto per Putin e il suo partito nel 1999-2000, nel 2003-2004 e nel 2007 (si proseguirà il 2 marzo 2008 con le presidenziali), per non parlare delle elezioni precedenti? Apparentemente, solo il grado della pressione e della diffusione dei trucchi elettorali: i brogli in senso tecnico in Russia hanno una tradizione consolidata, e verdetti dei tribunali avevano già confermato le incredibili trasformazioni dei numeri nel loro viaggio dai seggi alla Commissione elettorale centrale.

L'avvento del "putinismo"
Quello che è veramente cambiato dal 1999, quando Putin apparve sulla scena politica e Grigory Yanlinsky avvertiva che quelle sarebbero state "elezioni per sempre", è la Russia stessa: alle parlamentari del 2007 il sistema è di fatto corso contro se stesso, in assenza di qualunque alternativa valida. Tra gli 11 partiti in lizza solo i due liberali Sps e Yabloko si sono espressi più o meno esplicitamente contro la linea del Cremlino, e il loro risultato cumulato intorno al 2,5% (salvo eventuali brogli, visto che gli exit poll di Yabloko parlano di un 5-6% nazionale, con punte di 18% a Mosca) dimostra che non è una corrente popolare. Il sistema russo è "Putin e gli altri", il potere e i sudditi, e non si tratta soltanto di una par condicio violata, anche se forse sarebbe il caso di usare un altro termine quando il presidente in carica, l'ultimo giorno della campagna, fa un appello tv alla nazione per chiedere di votare per il suo partito. E' un sistema nel quale l'opposizione è bandita dai media, ed è bandita dal parlamento: con l'abolizione totale del maggioritario uninominale si è chiusa anche l'ultima porta per gli indipendenti. E' un sistema in cui dire di essere contro Putin, peggio, dire di volerne prendere il posto suona quasi blasfemo, e non è un caso che tutti i potenziali "eredi del Cremlino", in attesa della scelta definitiva dello zar, neghino risolutamente di voler ambire alla presidenza. E' un sistema nel quale non solo il principio dell'alternanza, ma anche quello dell'alternativa è scomparso, e i requisiti richiesti all'eventuale "delfino" sono la lealtà e l'umiltà, che lo costringerà a garantire la continuità del putinismo, e l'immunità dell'ex presidente e dei suoi fedelissimi.
I brogli e i trucchi a favore di Russia Unita sono serviti non a vincere, risultato che era scontato, ma a vincere con una percentuale che permetterà a Putin di avviare l'ultima fase della sua operazione, per restare al potere abbandonandolo formalmente allo scadere del secondo mandato presidenziale consecutivo. Sono serviti anche a uno scopo interno, permettendo a governatori, direttori di fabbriche, sindaci, primari, funzionari locali e rettori di offrire il proprio zelo maggiore di quello del concorrente, trasformando le schede in più in un gradino della carriera. Ma anche immaginandosi un'impossibile elezione totalmente corretta, Putin avrebbe vinto lo stesso. Gode di un consenso diffuso e sincero. E se anche smettesse di piacere, e prima o poi smetterà perché anche gli innamoramenti più folli passano, i russi non verrebbero mai a conoscenza di un nuovo leader al quale affidarsi, semplicemente per la mancanza delle ovvie piazze – parlamento, dibattito pubblico, media – dove potrebbe nascere e crescere. Almeno per il momento.