Si può assistere al massacro di civili inermi quando si possiedono le risorse militari per impedirlo? Dipende da che cosa intendiamo per «assistere». Vediamo di precisare.

1. Avviciniamoci al termine in modo sincronico. Se una grande potenza planetaria come gli Stati Uniti assistono senza muovere un dito al massacro di civili inermi ne diventano complici. «Assistere» a un massacro senza agire è una approvazione di fatto. L'approccio sincronico al problema non misura però le responsabilità storiche. Misura il principio. Riduce gli stati a persone, e se una persona armata fino ai denti non interviene per difendere un vicino inerme diventa complice di chi lo assale. Ma l'analogia fra stato e individuo, società e famiglia, non porta mai lontano. Anzi, confonde le acque.

Prendiamo dunque la strada diacronica. Dopo aver ingannato le Nazioni Unite sulle armi di distruzione di massa possedute da Saddam Hussein, possono permettersi gli Stati Uniti di chiedere all'ONU di agire militarmente contro la Siria sulla scorta delle «prove» da loro giudicate attendibili? Possono provarci, ma quello che è emerso nei giorni scorsi è che il danno fatto dall'amministrazione Bush alla credibilità internazionale degli Stati Uniti non è ancora stato riparato da Obama e probabilmente non verrà riparato mai.

È quindi giusto non intervenire con la scusa che gli Stati Uniti non sono più credibili?

2. Qui le strade divergono in due direzioni distinte. La prima dice che non intervenire è giusto perché dietro le azioni paventate dagli americani vi sarebbe un proposito di dominio che nulla ha a che vedere con le ragioni umanitari addotte, qualsiasi esse siano. Per chi segue questa strada, la perdita di credibilità degli Stati Uniti non è il risultato di un errore strategico o di una azione diplomatica maldestra, ma il cadere definitivo di una maschera. Non avendo mai creduto alle ragioni addotte dagli Stati Uniti per un intervento militare, a maggior ragione non è possibile crederci oggi. Questa è l'opzione di chi si accorge di una guerra solo se gli Stati Uniti minacciano di intervenire. Si tratta in buona approssimazione di un residuato bellico della Guerra Fredda, quando era compito dell'intellettuale organico combattere l'offensiva americana in ogni modo, con ogni mezzo. Delle altre guerre non ci si cura, fino al momento in cui gli yankee non minacciano di intervenire. Come appunto in Siria.

Ma c'è un'altra strada da percorrere per chi non è pregiudizialmente ostile agli Stati Uniti ma non ritiene l'opzione militare una buona idea. Potremmo chiamare questa l'opzione Bonino. Secondo il ministro degli esteri Emma Bonino, intervenire in questo frangente sarebbe non solo controproducente ma avventato. C'è il rischio di deflagrare una guerra mondiale.

È dalla fine della Seconda Guerra Mondiale che a ogni «intervento armato» si paventa lo spettro della terza Guerra Mondiale, dopo la quale, secondo Einstein, si sarebbe ritornati all'età della pietra. Ma il rilievo fatto dalla Bonino non è di questo tipo. Non è ideologico. La Bonino era favorevole all'intervento umanitario in Bosnia anche al di fuori del mandato ONU. Semplicemente non ritiene che oggi un intervento in Siria possa essere risolutivo di alcunché, oltre che portare i mondo a un passo dal baratro anche dopo una sua eventuale «riuscita». Perché?

Tralasciano una prima risposta furba e politicista (la Bonino mira a diventare presidente della Repubblica e quindi deve farsi perdonare dall'elettorato più di sinistra di esser stata in passato una «serva degli americani»), il motivo è semplice. Si interviene in un conflitto sempre «a favore» di qualcuno, non solo per visitare sui colpevoli di efferatezze la mano del Signore. Se si destabilizza il regime di Assad dopo un colpo militare ben assestato alle sue truppe, chi si favorisce? Dovesse poi cadere questo regime, chi prenderebbe in mano le redini del paese?

Sono queste le perplessità degli alleati che hanno di fatto frenato l'intervento militare americano. Non è tanto una questione di credibilità, ma di visione strategica. Gli Europei sono troppo coinvolti sul teatro mediorientale per lasciar mano libera alla potenza atlantica. Temono che questa, per pulirsi la coscienza, lanci una salva di missili e se ne vada.

3. Ma allora la risposta al dilemma siriano non può se non essere un'altra domanda: qual è la politica europea in medio oriente? Il disimpegno britannico è funzionale a questa domanda. Il Regno Unito non interverrà non perché le prove contro Assad non sono credibili. Ma perché al contrario degli Stati Uniti non riconosce il solo imperativo morale come un motivo sufficiente per intervenire. Dovesse anche il Congresso americano prendere questa posizione realista, l'Europa verrebbe messa di fronte alle sue responsabilità nell'area. E non è un caso che gli unici a voler intervenire subito con gli americani sono stati i francesi. Dovessero gli americani ritirarsi, tutta la politica estera europea poggerebbe su di loro e quindi, automaticamente, non si farebbe nulla.

E qui veniamo al problema vero. La Germania ha deciso di usare tutto il suo peso politico in area economica tralasciando gli altri ambiti che sono propri di una potenza egemone. E la Germania, non nascondiamocelo, è la nuova potenza egemone del continente europeo. Fintanto che i tedeschi si rifiuteranno di agire militarmente la politica estera europea sarà come un trespolo senza una gamba. Qualcun altro dovrà tenerla in piedi dall'esterno. Questo non può durare, e gli inglesi e i francesi lo sanno bene.

L'orizzonte mediorientale è cupo. La guerra in corso è il punto nello spazio in cui lo sconto in atto fra sciti e sunniti viene in superficie con più evidenza mostrando come pure all'interno di questi due campi vi siano delle profonde divergenze. Questo scontro attraversa tutto il medio oriente e non è circoscrivibile alla Siria. È per questo che il ministro Bonino paventa la guerra mondiale. Se si colpisce la Siria, si rischia di dare fuoco alla polveri ovunque, con la Russia e la Cina schierate contro gli interessi energetici occidentali nella regione. Il rischio è veramente enorme, e invece di puntare il dito contro gli Stati Uniti, come se fossimo ancora sulle barricate studentesche della Guerra Fredda, dovremmo porci seriamente il problema della Germania.

La confusione fra economia e morale che impone alle nazioni di pagare i propri debiti prima di consumare altri beni (come se le nazioni fossero individui) sta riducendo e di molto il benessere in Europa. A che cosa porterà la confusione fra morale e inazione? È questa la leadership di cui ha bisogno l'Europa unita?

E qui torniamo al punto di partenza. Si può assistere al massacro di civili inermi quando si possiedono le risorse militari per impedirlo? Giunti però a questo punto del ragionamento, le critiche all'interventismo americano non sono le più pertinenti. È facile criticare quando si presume che debba sempre essere un altro ad agire. Che qualcuno lo chieda alla signora Merkel. È a lei che va posto il quesito.