Il diritto al “universal coverage” è al centro di un apro dibattito tra Hillary Clinton e il suo sfidante, il socialista Bernie Sanders. Uno scontro che è destinato ad acuirsi anche nel confronto con il candidato repubblicano alle presidenziali, probabilmente Donald Trump.

C’è una sostanziale differenza tra “coverage” ossia copertura sanitaria generale e “care”, che nel concetto di Bernie Sanders deve essere amministrata direttamente dallo Stato per tutti i cittadini. Sanders propone infatti un sistema “single payer” per rimpiazzare lo Affordable Care Act, meglio noto come Obamacare, la bestia nera dei Repubblicani che, al fine di abolirlo, hanno approvato non meno di cinquanta proposte legislative presso la Camera dei Rappresentanti. Tutti i tentativi sono falliti ma occorre segnalare che anche nel caso, improbabile, di conferma da parte del Senato, avrebbero sbattuto contro il veto del Presidente, praticamente insormontabile. Hillary Clinton ha preso posizione già da tempo contro il progetto del “single payer” affermando che non ha alcuna possibilità di essere approvato dal Congresso e che pertanto sarebbe preferibile riformare e migliorare l’Affordable Care Act di Obama. Il problema sul quale inciampa Bernie Sanders non è la sua visione, ma la politica che la compromette. In teoria, il piano di un sistema semplificato e meno dispendioso per la sanità pubblica è eccellente. Sanders non si stanca di ripetere che tutte le democrazie liberali al mondo forniscono assistenza medica ai loro cittadini ad un costo inferiore a quello degli Stati Uniti. Il sistema americano – sostiene Sanders – assiste meno cittadini ad un costo molto superiore. Da parte sua, la Clinton ribatte che certamente è possibile costruire un sistema di assistenza sanitaria secondo certi modelli europei, ma costruendolo sulla base gettata con lo Affordable Care Act. A loro volta, i critici di Sanders insistono che il piano del candidato socialista è vago e non realistico. Ma il vero problema non è che la proposta di Sanders è troppo vaga per una costruttiva analisi della sua fattibilità: il problema è che l’assistenza medica universale dei paesi europei non è strutturata esclusivamente come un sistema di “single payer”. Molte democrazie europee hanno raggiunto l’obiettivo di assicurare una copertura medica universale con modelli ibridi, ossia tali da associare componenti pubbliche e private. Né vi è dubbio che questi modelli ibridi ottengano migliori risultati ad un prezzo inferiore a quello degli Stati Uniti.

Un aspetto interessante della controversia è quello che riguarda il programma Medicare che assiste gli anziani – dai 65 anni in poi – negli Stati Uniti. Si tratta, in effetti, di un sistema parziale di “single payer” i cui costi sono lievitati in misura accettabile nel corso dell’ultimo decennio. In pratica, ciò significa che il sistema di “single payer” è finanziariamente realizzabile e che, quanto meno, il suo costo sarebbe inferiore a quello astronomico dell’assistenza medica gestita dalle compagnie di assicurazione americane a scopo di lucro. I fautori del sistema “single payer” non si stancano di ribadire il loro convincimento che tale sistema ridurrebbe fortemente i costi, ridimensionando il ruolo delle compagnie di assicurazione e costringendo l’industria farmaceutica a ridurre il prezzo di vendita dei medicinali. Mentre in Europa i governi negoziano con l’industria farmaceutica per ridurre tale prezzo, negli Stati Uniti le compagnie farmaceutiche fanno il bello e il cattivo tempo. Il confronto con il Canada, dove vige il sistema “single payer”, è istruttivo. Gli Stati Uniti spendono in amministrazione 31 centesimi per ogni dollaro assorbito dall’assistenza medica. In Canada, il costo amministrativo è del 16,5 per cento. Vari esperti calcolano che con le giuste riforme il risparmio annuale negli Stati Uniti ammonterebbe a 400 miliardi di dollari. Gli oppositori del progetto di Bernie Sanders, oltre a definirlo un’idea senza alcuna chance (non starter), tracciano un quadro sconvolgente delle sue eventuali conseguenze: ospedali che finiscono in bancarotta, medici impoveriti e così via. L’esperienza del Canada dimostra però che gli ospedali possono funzionare al meglio e che i medici non sono costretti ad emigrare negli Stati Uniti. Il fatto è che l’industria delle assicurazioni e quella farmaceutica dispongono di fondi illimitati per sconfiggere le proposte di “single payer” e di negoziato per la riduzione dei costi dei medicinali. Non a caso, sono una delle “lobbies” più potenti al Congresso. Hillary Clinton ha implicitamente ammesso che nelle condizioni attuali non è possibile superare quell’opposizione. Bernie Sanders è di diverso avviso. La sua battaglia è sospinta dal fatto che tutti i sondaggi demoscopici rivelano che una maggioranza degli Americani spinge per un sistema diverso da quello attuale, ad onta delle modifiche introdotte dall’Obamacare. Di fatto, lo Affordable Care Act ha accresciuto i costi amministrativi. Tra l’altro, questa è una ragione che scredita la proposta di alcuni di trasformare l’Affordable Care Act secondo il modello Medicare attraverso una serie di modifiche graduali. I costi amministrativi sarebbero ancora una volta destinati ad aumentare.

La riduzione dei costi è invero la quadratura del cerchio. Realisticamente, appare impossibile che il sistema “single payer” possa funzionare negli Stati Uniti ad un costo inferiore a quello del Canada. Ma i calcoli economici sono un aspetto ben diverso rispetto alla funzionalità di un sistema che attui anche in parte il principio del “single payer” conferendo al governo federale americano il compito di negoziare con il “business” sanitario. Perché, bisogna dirlo con franchezza, negli Stati Uniti l’assicurazione sanitaria è un “business” senza confronti in altri paesi. L’idea del “single payer” è quindi probabilmente prematura. In aggiunta, i critici hanno buon gioco nel sostenere che, nonostante il grande risparmio che Sanders prefigura soprattutto per le famiglie della classe media - molto in difficoltà in questi ultimi anni -, il sistema comporterebbe un aumento delle tasse. In pratica, il piano di Sanders è di estendere a tutti gli Americani il programma Medicare. Per finanziare il nuovo programma il senatore democratico propone di modificare lo schema di tassazione generale imponendo un’imposta del 6,7 per cento sul salario a carico dei datori di lavoro e del 2,2 per cento sui redditi individuali inferiore ai 200.000 dollari o sui redditi congiunti inferiori ai 250.000 dollari. Gli americani con redditi maggiori naturalmente pagherebbero un’aliquota più alta. Secondo il piano Sanders, una famiglia con un reddito medio (all’incirca 50.000 dollari annui) pagherebbe solo 1.100 dollari di imposta per la salute, evitando di pagare il premio assicurativo che la Kaiser Family Foundation calcola aggirarsi in media sui 4.955 dollari.  Di un analogo beneficio verrebbero a godere i datori di lavoro che secondo i calcoli di Sanders vedrebbero il loro contributo scendere dai 12.591 dollari attuali a 3.350 dollari. La verità però è che i costi dell’assistenza sanitaria, inclusa quella elargita dalla Medicare, sono maggiori e molto complessi. La Medicare comporta ad esempio tutta una serie di detraibili e co-pagamenti. Un altro aspetto negativo segnalato da un esperto della Johns Hopkins University è che di fatto i datori di lavoro non pagano nulla perché l’assicurazione medica è una componente marginale del pacchetto salariale totale, mentre il contributo diretto del datore di lavoro al modello “single payer”, al posto della copertura assicurativa per il lavoratore, porterebbe ad una riduzione del salario elargito. Ed ancora, il totale delle imposte riscosse dal sistema risulterebbe inferiore al costo totale delle spese sanitarie negli Stati Uniti che secondo calcoli relativi al 2013 ammonta a 949 miliardi di dollari in premi assicurativi e 325 miliardi di spese cosiddette “out of pocket” ossia quelle che non vengono rimborsate dall’assicurazione.

Un piano di riforma del sistema sanitario nella concezione di Bernie Sanders comporterebbe in pratica la nazionalizzazione dell’industria delle assicurazioni ed una riduzione dei pagamenti a ospedali, medici ed altri settori dell’industria della sanità al conclamato fine di ridurre i costi. In parole povere, il “single payer” si trova di fronte problemi insuperabili di natura politica e gestionale. I fautori del “single payer” controbattono che il sistema costituisce un obiettivo a lungo termine e che la tradizione politica americana ha realizzato grandi conquiste fortemente avversate agli inizi, dalla tassazione progressiva ai matrimoni dello stesso sesso. In verità, il futuro dell’assistenza sanitaria appare legato al principio della gradualità nella riforma compresa la realizzazione di un modello ibrido, con l’associazione del pubblico e privato, che secondo molti esperti porterebbe a maggiore efficienza e ad un abbattimento dei costi. Infine, verrebbe superato l’equivoco che intralcia la discussione in materia, quello cioè di associare il sistema “single payer” proposto da Sanders con l’assistenza sanitaria di stile europeo. La copertura medica universale verrà un giorno anche negli Stati Uniti con un presidente democratico, ma ben difficilmente con Bernie Sanders.