A pochi mesi dalla commemorazione dei 16 anni dell’attacco alle Twin Towers di New York, in America si è verificata la più grande strage di massa con armi da fuoco e in Europa si sono registrati diversi attacchi minori, ma tra loro ravvicinati, che portano a domandarsi se questi attentati, simili nelle tattiche, siano anche collegati a livello strategico.

 

Negli ultimi 4 mesi in Iraq e Siria sono state ottenute notevoli e importanti vittorie contro ISIS e gruppi similari. Per esempio è notizia di questi giorni la caduta della città irachena di Hawija, uno degli ultimi bastioni dello Stato Islamico nel Paese. Allo stesso tempo però queste sconfitte sul campo non hanno impedito ai miliziani islamici e a vari emulatori in Europa e America di pianificare e portare a termine sanguinosi attentati.

Cominciando con inizio giugno, il 3 giugno a Londra tre jihadisti prima si sono lanciati con un pulmino contro i pedoni sul London Bridge, poi hanno accoltellato alcuni passanti. Il 6 giugno un uomo armato di martello ha aggredito un poliziotto nei pressi di Notre Dame a Parigi. Sempre a Parigi pochi giorni dopo, il 19, un’auto piena di armi e munizioni guidata da un francese di origini tunisine si è lanciata contro un furgone della polizia con una decina di gendarmi all’interno. Il giorno dopo un trolley è esploso all’interno della alla stazione centrale di Bruxelles, forse innescato da un attentatore che avrebbe indossato anche una cintura esplosiva. Il 17 agosto si è poi registrato l’attacco più sanguinoso attribuibile a ISIS: a Barcellona, un furgone ha imboccato ad alta velocità l’area pedonale della Rambla uccidendo 14 persone, tra cui due italiani, e causando un centinaio di feriti. A seguire vi è stato l’attacco a Turku in Finlandia del 19 agosto che non ha fortunatamente causato vittime, e quello di Londra, dove un ordigno artigianale su un vagone della metropolitana ha ustionato alcuni passeggeri. Infine, tra sabato sera e domenica 1 ottobre, a Edmonton, Alberta, un immigrato somalo ha pugnalato un poliziotto ed ha investito quattro persone; mentre lo stesso giorno un immigrato clandestino del Maghreb con forti legami in Italia ha ucciso due giovani donne alla stazione ferroviaria di Marsiglia.

Ad accomunare tutti questi fatti di sangue è la cornice urbana e metropolitana in cui sono avvenuti. La strage di Barcellona in particolare presenta elementi inquietanti dal punto di vista della sicurezza. Prima di tutto perché poche ore dopo l’attacco, cinque uomini armati di coltello sono stati intercettati a un posto di blocco vicino a Cambrils e uccisi dalla polizia mentre cercavano di assalire i passanti. Secondariamente, perché l’attentato sulla Rambla era stato anticipato da un’esplosione in una villa di Alcanar, 200 chilometri a sud di Barcellona, che si è poi rivelata essere il covo e il laboratorio di produzione delle bombe del commando. Una villa in cui al momento dell’esplosione si trovavano più di 100 bombole di gas e numerose sostanze chimiche.

I fatti di Londra e Turku commessi rispettivamente da rifugiati ospitati da una famiglia locale e un richiedente asilo hanno poi confermato una delle paure maggiori dei più accorti analisti e degli esperti di sicurezza, ovvero il rischio insito nel flusso di migranti di questi ultimi anni. Infatti, come avevamo già segnalato su queste stesse pagine, la radicalizzazione e il radicalismo islamico rappresentano gli elementi centrali per la sicurezza in Europa e sono problemi alquanto spinosi, complessi e articolati. La radicalizzazione che si consuma sul suolo europeo produce due risultati diversi ma collegati: da un lato porta al fenomeno dei foreign fighters, ovvero giovani che partono per i fronti aperti del Medio Oriente o dell’Africa; dall’altro genera persone che restano, tornano o arrivano in Europa con l’intendo di colpire in qualche modo l’Occidente.

Questi attentati, che purtroppo stano diventando una sanguinosa routine nelle città europee e americane, sono in qualche modo legati alla strage di Las Vegas di inizio mese? La risposta a tale domanda può essere sia positiva sia negativa, a seconda del tipo di analisi che si intraprende. Siccome le indagini sono ancora in corso, è difficile dare risposte definitive al momento per cui ci limiteremo ad alcune riflessioni più generali.

Il primo problema da prendere in considerazione, e che è determinante nello studio accurato del fenomeno, è se l’attentatore di Las Vegas, Stephen Paddock, fosse realmente legato a ISIS come la rivendicazione del gruppo pubblicata sui canali social ufficiali farebbe intendere. Tale rivendicazione, però, non è certa sia perché mancano prove concrete da parte degli investigatori sia perché ISIS potrebbe aver lanciato quel messaggio al solo scopo propagandistico di aumentare la paura e il livello di attenzione in Occidente. Non sarebbe nemmeno la prima volta che il gruppo utilizza eventi molto rilevanti dal punto di vista mediatico per “farsi pubblicità”, ad esempio hackerando specifici siti o hashtag.

Mentre non esistono dubbi sui legami tra ISIS e gli attentati prima ricordati, molti ce ne sono riguardo l’azione a Las Vegas. Il primo riguarda la mancata rivendicazione da parte di Paddock, poiché già nel numero di ottobre 2014 la rivista ufficiale di ISIS, Dabiq, il gruppo avvertiva gli attentatori di rendere pubblico il loro legame con ISIS. Negli anni ciò è quasi sempre avvenuto impiegando vari strumenti. Per esempio Omar Mateen, il responsabile della strage a Orlando nel giugno 2016, rivendicò l’attacco e giurò fedeltà a ISIS attraverso una telefonata al 911, mentre molti degli attentatori in Europa hanno registrato video in cui spiegavano le ragioni dell’attacco e giuravano fedeltà all’autoproclamato Califfo. Tutto questo però è assente nel caso di Stephen Paddock. Sicuramente con il progredire delle indagini gli investigatori potrebbero trovare nuovi elementi, ma al momento non si evidenziano legami con il radicalismo islamico o più nello specifico con ISIS. Bisogna anche tenere conto che lo Stato Islamico non è nuovo nel diffondere false notizie attraverso i suoi canali, come per esempio quella dell’abbattimento di un aereo da attacco al suolo americano, un A-10, sui cieli iracheni l’ottobre scorso. La notizia, come molte altre, non ha poi trovato conferme. Nello stesso tempo, l’attacco di Las Vegas non rappresenta un “evento minore” ma si è trattato della sparatoria più sanguinosa della storia moderna degli Stati Uniti ed ha goduto di una copertura mediatica enorme. Se quindi divulgare notizie false ha per ISIS l’obiettivo strategico di spargere terrore in modo economico e semplice, affermare il falso in un evento così importante come l’attacco di Las Vegas farebbe perdere credibilità al gruppo anche agli occhi dei suoi militanti.

È però vero che le sostanziali perdite di terreno in Medio Oriente a cui l’ISIS è incorso in questo ultimo anno possono aver minato sia la strategia comunicativa sia quella generale del gruppo che si troverebbe quindi in una situazione talmente grave da dover cercare di risollevarsi, anche con azioni apparentemente non linea con il precedente modus operandi. Certamente, la perdita di Mosul nell’estate scorsa è stata sicuramente un duro colpo soprattutto dal punto di vista mediatico per il gruppo di al-Baghdadi che proprio dalla moschea della città aveva proclamato il Califfato. Anche in Siria il gruppo è in ritirata e sta perdendo, grazie all’azione combinata dei curdi appoggiati dagli Stati Uniti e dei lealisti siriani supportati dalla Russia, porzioni importanti di territorio tra cui la capitale Raqqa. Il non poter più contare su un territorio sicuro per addestrarsi e pianificare ha sicuramente influito sulle capacità strategiche di ISIS, anche se non le ha completamente annientate.

Un elemento a favore della tesi del legame tra Paddock e ISIS è il fatto che a fine settembre è comparso online un audio di al-Baghdadi in cui incitava a colpire gli Stati Uniti. L’audio è recente poiché fa riferimento all’attuale situazione di crisi con la Nord Corea e sembra che non ci siano dubbi sull’attribuzione all’autoprocalmato Califfo. E giusto poco dopo la pubblicazione della registrazione, Stephen Paddock ha sparato sulla folla uccidendo più di cinquanta persone. Ciò istituisce un possibile parallelismo con molti altri attacchi attribuiti a militanti di ISIS. I già ricordati fatti di Orlando avvennero poco dopo che Abu Muhammad al-Adnani (militante di alto profilo di ISIS e suo portavoce ufficiale, ucciso nell’agosto del 2016) incitò ad azioni contro l’Occidente in un messaggio distribuito in occasione del Ramadan. Nell’ottobre 2015, poco dopo che lo stesso Adnani aveva invitato i sostenitori di ISIS a colpire russi e gli americani, una cellula egiziana del gruppo fece esplodere una bomba rudimentale costruita con una lattina di una bibita su un aereo russo di linea sulla penisola del Sinai uccidendo più di 200 persone. E si potrebbero fare parallelismi similari anche per molti altri attentati sia in Occidente che altrove, come quello contro una moschea sciita in Kuwait nel 2015.

Questo elemento è dunque sospetto, ma in mancanza di altre prove la sparatoria a Las Vegas continua a essere considerata l’atto criminale di un folle. E se è anche vero che tra la strage di Las Vegas e gli attacchi attribuibili per certo a ISIS vi sono diversi elementi comuni (colpire eventi pubblici, soft target, pianificazione), allo stesso tempo si tratta di elementi di livello tattico, non strategico. Per quanto si sa Stephen Paddock ha agito da solo, non era membro di un gruppo terroristico, non professava una particolare ideologia sovversiva e non mirava a lanciare un qualche messaggio (sintomatico da questo punto di vista l’assenza totale di testi, frasi, slogan attribuibili a Paddock). Ed è in questi elementi che risiede la diversità tra un singolo che compie una carneficina e un miliziano che porta a termine la stessa operazione, perché un gruppo di militanti lo ha supportato dal punto di vista ideologico, logistico e politico.

Il terrorismo, o riferendosi a ISIS sarebbe più corretto parlare di insorgenza, usa spesso nei suoi attacchi tattiche similari a quelle usate da altri gruppi criminali (si pensi per esempio ai sequestri di persona), ma fermarsi a studiare questi eventi al livello di sola tattica fa perdere il quadro generale in cui si inseriscono. Il terrorismo e l’insorgenza usano quelle tattiche per uno scopo politico e nel quadro di una precisa strategia militare. Si tratta di atti supportati da uno o più gruppi esterni, a loro volta legati a una ideologia che mira a sovvertire l’ordine politico presente. Questi elementi rendono sparatorie e attentati simili a livello tattico completamente diversi a livello strategico e necessitano di strumenti di contrasto molto differenti.