La Virginia – terra madre di otto presidenti – ha detto no al trumpismo, eleggendo in massa i tre candidati democratici alle cariche statali. Altrettanto eccezionale è stata l’elezione del primo candidato transgender nella storia politica americana.

 In Virginia Danica Roem, primo candidato transgender nella storia politica americana, ha sorprendentemente sconfitto un delegato repubblicano con 25 anni di sudditanza conservatrice, autore di una legge anti-LGBT sull’utilizzo dei bagni. La conquista del governatorato da parte del democratico Ralph Northam è tanto più rincuorante per i democratici in virtù del fatto che la rivalsa democratica in Virginia è il risultato di una strategia che ha evitato  di portare allo scoperto disaccordi interni tra elettori bianchi e di colore, tra moderati e socialisti, tra sindacati e difensori dell’ambiente. Un buon segno, insomma, per le elezioni congressuali del Novembre 2018 quando si giocherà la partita fondamentale attorno alla disastrosa presidenza di Donald Trump. Northam aveva puntato su una strategia centrista, che molti temevano sarebbe stata ancora una volta travolta dall’arrembante populismo alla Trump. Così non è stato, non solo in Virginia, ma in un altro stato chiave, il New Jersey, dove è stato eletto governatore il candidato democratico, Phil Murphy, un ex dirigente di Godman Sachs, che ha sconfitto il candidato repubblicano populista, l’italo americana Kim Guadagno.  

Vi è un altro motivo di soddisfazione per i democratici, la prova che una maggioranza dell’elettorato non accetta la politica di Trump e dei repubblicani che da anni tentano di affossare la legge per la sanità, la Obamacare. Northam non è caduto nel tranello di dibattere le spinose questioni dell’immigrazione con cui Trump accende gli animi istigando l’aspra “guerra culturale” nell’America contemporanea.  Questa spavalda filosofia del trumpismo è uscita sconfitta in Virginia ad opera di un candidato che ha impostato la sua campagna elettorale sull’assistenza sanitaria e l’occupazione, capisaldi del partito democratico. Altrettanto straordinario è il fatto che Northam vi sia riuscito senza l’appoggio del condottiero della sinistra democratica, il Senatore Bernie Sanders. La mancanza dell’endorsement di Sanders è un altro importante motivo di riflessione per i democratici, che hanno meno di un anno per riorganizzarsi ed affrontare la consultazione di midterm. La principale considerazione che è oggi al centro dell’attenzione politica è che la Virginia ha reagito positivamente al fatto che Northam non abbia risposto con argomenti liberali alle incendiarie provocazioni del suo avversario repubblicano sul terreno dell’immigrazione e dei diritti civili, ma abbia sfruttato a fondo l’avversione della maggioranza degli elettori della Virginia nei confronti di Trump affidandosi ad un messaggio centrista di “law and order”. A ciò certamente non è estraneo il fatto che nelle elezioni presidenziali dello scorso Novembre la Virginia, uno stato sudista, votò a favore di Hillary Clinton.

Un’altra considerazione che stimola la dirigenza del partito democratico è che il candidato repubblicano in Virginia non è riuscito a bilanciare il populismo trumpiano con la fede ideologica dello establishment repubblicano. Lo squilibrio in cui si dibatte il partito repubblicano non garantisce peraltro un grande ritorno democratico nel 2018. Per ribaltare la situazione al Congresso i democratici dovrebbero conquistare 24 seggi della Camera in mano ai repubblicani e difendere dieci seggi di senatori democratici in stati dove Trump era prevalso nel 2016. Ma l’esito elettorale in Virginia ha di fatto spalancato un grosso dilemma per i candidati repubblicani, la misura in cui allinearsi al presidente Trump nelle elezioni congressuali del 2018. In Virginia, il candidato repubblicano Ed Gillespie aveva rinunciato a presentarsi in pubblico con il presidente, ma aveva abbracciato in parte la tematica della “guerra culturale” scatenata da Trump, con i risultati registrati oggi con notevole sorpresa. Donald Trump non ha perso tempo nel dissociarsi dalla sconfitta del candidato repubblicano accusando Gillespie, un ex capo del comitato nazionale republicano, di “non aver abbracciato quel che io sostengo”.  

In pratica, l’importanza assunta dal cruciale tema della salute pubblica sembra suggerire ai democratici una strategia di “pane e burro” con preferenza rivolta alle problematiche sociali ed economiche delle famiglie piuttosto che una strategia ostinatamente anti-Trump. Del resto, sono molti quelli che pensano che se Hillary Clinton avesse optato per una battaglia programmatica invece di sparare tutte le sue cartucce contro la persona di Trump, non avrebbe perso l’elezione presidenziale del 2016. Il Senatore del New Jersey Cory Booker, il nuovo nastro nascente afro-americano nel campo democratico, ha affermato che gli americani sono “stanchi della politica che divide e denigra” ed auspicano “un’agenda di prosperità”. Un ulteriore aspetto dell’esito elettorale in Virginia è che Northam ha superato Gillespie di ben nove punti pur avendo commesso errori come quello di far sapere che avrebbe approvato una legge con il divieto di “città santuario” nello stato, una questione immigratoria che accende molti animi in America. La vittoria democratica in Virginia e New Jersey è giunta in un momento degno di nota, l’iscrizione di oltre 200.000 persone al piano di salute pubblica aperto per un breve periodo. I tempi di iscrizione erano stati tagliati dalla tattica anti-Obamacare dell’amministrazione Trump. Malgrado ciò, le iscrizioni registrate sono state il doppio dello scorso anno.

In conclusione, la Virginia ha dimostrato che una piattaforma moderata rappresenta ormai un’alternativa promettente per i democratici al confronto con la politica progressista sospinta dai senatori Bernie Sanders ed Elizabeth Warren. La scelta che pesa sul nuovo capo del comitato nazionale democratico, Tom Perez, è tanto più ardua perché si tratta di coniugare i nuovi valori del partito – come quelli legati ai diritti delle donne e alle proposte per il controllo sulle armi da fuoco – con quelli tradizionali riguardanti l’occupazione e l’equità socio-economica.

Dopo il disastro del 2016, i democratici hanno molto terreno da recuperare presso gli elettori bianchi con bassi livelli di occupazione e di reddito che Trump aveva attratto con slogan populisti e nazionalisti. La speranza di Perez è che aumenti il numero di coloro che ritengono che Trump abbia agito illegalmente nei rapporti con la Russia e che il procuratore speciale Robert Mueller sia sulla strada giusta. Ciò fa pensare che un eventuale licenziamento di Mueller da parte di Trump avrebbe effetti devastanti al Congresso e sulla scena politica nazionale.  La ricaduta decisiva sarebbe certamente quella nel campo repubblicano, specificamente su quei rappresentanti repubblicani che già avvertono la necessità, ai fini della loro rielezione, di distanziarsi dalla retorica divisoria del presidente. In Virginia, Gillespie ci aveva provato, ma senza una vera enfasi.

Quel che è emerso in Virginia è che distretti suburbani di un certo rilievo hanno respinto la retorica divisoria di Donald Trump, come ha segnalato il politologo virginiano Larry Sabato. Stando agli exit polls, il 55 per cento dei votanti ha espresso disapprovazione nei confronti di Trump, in linea con gli ultimi rilevamenti demoscopici in altri stati. In aggiunta, è evidente che tale indice di disapprovazione è connesso con un’affluenza alle urne maggiore del previsto. Gli stessi exit polls hanno rilevato un numero più alto di elettori giovani e afro-americani. L’alto livello di partecipazione (il 47 per cento) appare correlato all’intensità dei sentimenti anti-Trump e spiega la forte avanzata democratica anche nella composizione della camera dei delegati, qualcosa che la stessa leadership del partito non si aspettava. La Virginia insomma ha mandato un forte messaggio ma i democratici non devono illudersi: l’America non è la Virginia e troppi stati, dalla Georgia al Montana, restano “deep red” ossia profondamente conservatori e trumpiani.