L’impatto dell’invecchiamento della popolazione sui bilanci pubblici – come maggiore spesa per sanità e pensioni – è largamente discusso. Raramente, invece, si discute dell’impatto della dinamica demografica sulle azioni. Eppure, fatti i conti, il problema esiste eccome (1).

 

Quando uno è giovane normalmente non ha un soldo, quando entra nella maturità comincia ad averne e quando diventa vecchio spende quanto ha accumulato. Perciò i giovani non investono in Borsa, quelli di media età, invece, lo fanno, mentre i vecchi vendono le azioni per avere una vita più ricca di quella che ricaverebbero dalla sola pensione. Questo è il «ciclo di vita del risparmio». Si noti che non hanno peso le eredità nel complesso del ciclo. Chi eredita può vivere meglio, se è parsimonioso, ma si ha anche chi eredita e spende tutto. Se assumiamo che gli ereditieri parsimoniosi e spendaccioni si equivalgono come numero e patrimonio, il risparmio si forma secondo le fasce di età, e dunque la sua massima densità si ha fra i 40 e i 50 anni.

Le Borse sono esplose negli anni Ottanta e Novanta. Prendiamo a riferimento quella statunitense. Erano gli anni in cui diventavano maturi i cosiddetti baby boomers, ossia i nati nel dopoguerra, fra il 1946 e il 1964. La crescita come numero assoluto delle persone giovani ma non giovanissime spiega una parte dell’ascesa dei corsi di Borsa. È gente che ha dei soldi, e che, essendo ancora giovane, si sente di rischiare.

Dove per ascesa dei corsi di Borsa si intende una cosa precisa. Le azioni salgono se salgono gli utili. Salgono anche se i prezzi crescono più degli utili che sono in ascesa. Ossia, se sale il moltiplicatore dell’utile. Il famoso price to earning ratio (P/E). Un moltiplicatore dell’utile elevato è un segno che le persone allungano il proprio orizzonte temporale, ossia che rischiano di più. Si abbia, infatti, un’impresa con un prezzo di 1.000 e un utile di 100. Il suo P/E è 10. In dieci anni, se assumo che gli utili siano distribuiti totalmente, mi riprendo il capitale. Si abbia un’impresa con un prezzo di 1.500 e un utile di 100. Il suo P/E è 15. In quindici anni, se assumo che gli utili siano distribuiti totalmente, mi riprendo il capitale. Nel secondo caso scommetto che l’impresa vivrà più a lungo. Il termine «scommetto» è appropriato, perché nessuno può sapere che cosa accadrà all’impresa nel futuro.

Bene, se si mettono in relazione delle fasce d’età precise con l’andamento del P/E si vede che si ha una relazione intrigante. Le fasce d’età analizzate sono quelle con i soldi, quindi i quarantenni contro tutti quelli che hanno dai sessant’anni in su. Quanto maggiore il peso dei quarantenni sui sessantenni, ossia quanto maggiore la fascia disposta a «scommettere», tanto maggiore il P/E. Che cosa accade se la popolazione invecchia, ossia se la fascia dai sessanta in su pesa più di quella dei quarantenni? Il P/E, che misura la «propensione al rischio», dovrebbe scendere. Facendo una proiezione statistica – i dettagli sono nello studio citato – viene fuori che il P/E, attualmente intorno a 15 volte, dovrebbe scendere fino a 10 volte.

Ecco servita la previsione, che è fatta sulla Borsa statunitense ma vale – come logica – per quella di tutti i paesi ricchi in cui la popolazione invecchia. Si assume che gli utili nei prossimi quindici anni crescano come negli ultimi sessant’anni – ossia del 3,5% l’anno, escludendo l’inflazione. Fra quindici anni essi saranno cresciuti del 65% circa. I prezzi delle azioni saranno maggiori, tutto il resto essendo eguale, del 65%. Ma il P/E dovrebbe, secondo la previsione demografica, scendere dal 15 di oggi a 10. Il risultato è un prezzo di 1.650. Oggi il suo prezzo è appena inferiore e pari a 1.500, frutto di un utile minore, ma di un moltiplicatore maggiore.

 

----------------------------------------------------------------------------------------------------

Prezzo fra quindici anni ...: 100 utile x crescita dell’utile 65% = 165 x 10 ( P/E) = 1.650

Prezzo oggi.................. .: 100 utile x 15 (P/E) = 1.500

----------------------------------------------------------------------------------------------------

 

In conclusione, a causa dell’invecchiamento della popolazione, le Borse, che sono spinte in alto dagli utili e in basso dal moltiplicatore degli utili, dovrebbero salire molto poco.

 

L’idea che per guadagnare in Borsa basti aspettare – in gergo, il long only – è un’idea che si è formata ai tempi dei baby boomers, quando si aveva un’elevata propensione al rischio. In un mondo di vecchietti essa sembra poco appropriata. Si tenga anche conto che non esiste un’alternativa facile. Non basta «rifugiarsi» nelle obbligazioni emesse dai Tesori, perché anche queste risentono dell’impatto demografico. Gli studi mostrano come i rendimenti saranno spinti – per effetto dell’invecchiamento della popolazione – in alto nel corso del tempo, e dunque i prezzi in basso (2). In altre parole, un investimento passivo in obbligazioni può registrare una perdita in conto capitale. Il risvolto pratico è che urgono nuovi metodi di investimento molto più agili.

 

(1) Lo studio su cui si basa la nota:
http://www.frbsf.org/publications/economics/letter/2011/el2011-26.html

(2) Gli approfondimenti sulle obbligazioni:
Deutsche Bank, Long Term Asset Return Study. From the Golden to the Grey Age, 2010
Standard & Poor’s, Global Aging 2010. An Irreversible Truth, 2010
Morgan Stanley, Bonds More Popular Now than Equities Were in 2000, 2010

Ecco i grafici:

 

Demografia e Standard & Poor's 500

 

L'articolo è stato pubblicato da Il Foglio il 29 agosto 2011