Un paese privo di sovranità monetaria – come l'Italia - è in balia dei mercati finanziari, mentre non riesce a crescere perché i suoi prodotti non sono competitivi. Si potesse tornare alla Banca d'Italia che “stampa moneta” e alla Lira che si svaluta quando opportuno, non saremmo dove siamo. Dunque usciamo dall'euro prima che sia troppo tardi – dicono alcuni. Il ragionamento sembra di buon senso, ma le cose non sono così semplici.

Partiamo dalle aree economiche ottimali. Un'area economica è “ottimale” se 1) ha un mercato dei prodotti comune; 2) se ha un mercato dei capitali comune; 3) se ha un mercato del lavoro comune; 4) se ha un bilancio fiscale comune. L'euro area soddisfa i requisiti 1) e 2). Non soddisfa i requisiti 3) e 4). Prendiamo gli Stati Uniti. Se non c'è lavoro nell'area occidentale, la gente va in quella orientale. Se l'area occidentale è mal messa ecco che il bilancio federale trasferisce i fondi verso quell'area. I bilanci statali non possono andare in deficit. La prima differenza con gli Stati Uniti è che, se il Portogallo va male e l'Olanda va bene, è difficile che i portoghesi si trasferiscano in massa nei Paesi Bassi. La seconda differenza sempre con gli Stati Uniti è che i bilanci statali dei Paesi dell'euro-area possono andare in deficit, sebbene vi siano i vincoli di Maastricht. Non esiste nell'euro-area un governo centrale che copra i deficit di alcuni indebitandosi con tutti. La Germania non garantisce che pagherà il debito degli altri Paesi, insomma. E dunque, quando gli altri Paesi si indebitano troppo, ecco che i mercati li “puniscono”, ossia chiedono un “premio per il rischio”.

L'Italia ha visto dimezzare il costo del debito. Nel 1996, quando è iniziata la convergenza nell'euro, il rendimento del BTP era intorno al 9%. Anni dopo – nel 2010 - è arrivato al 4%. Oggi è intorno al 4,5%. Insomma abbiamo avuto un dimezzamento del costo del debito. Facendo i conti, si è avuto un risparmio da interessi cumulato di 500 miliardi. Se questo dimezzamento del costo del debito fosse avvenuto a parità di spese pubbliche, oggi avremmo un debito inferiore di 500 miliardi. Era la grande occasione per assorbire il debito che si era formato negli anni Settanta e Ottanta, ai tempi della costruzione accelerata dello Stato Sociale, ma così non è andata. L'euro ha funzionato, nel senso che ha portato alla convergenza dei rendimenti delle obbligazioni e dell'inflazione. Se non ha portato alla compressione del debito dei Paesi mal messi, è responsabilità di questi ultimi. Dunque - per colpa nostra e non dell'euro o della speculazione - abbiamo un gran debito.

Passiamo all'economia che non cresce. L'economia industriale italiana ha registrato negli ultimi anni dei guadagni salariali ma non di produttività, e dunque un incremento non modesto del costo del lavoro (per unità di prodotto). La Germania ha visto i salari salire quanto la produttività e dunque non ha avuto un incremento del costo del lavoro (per unità di prodotto). La crescita dei salari maggiore della crescita della produttività è una responsabilità italiana e non un complotto tedesco.

Se la Lira tornasse, dovremmo avere una svalutazione che ruota intorno alla perdita cumulata di produttività, quindi intorno al 25%. Se si fosse sicuri che torna la Lira, il debito pubblico dovrebbe avere un sovra rendimento pari alla svalutazione attesa, dunque nell'ordine di un 25% (la differenza cumulata di costo del lavoro per unità di prodotto fra Italia e Germania). Avremmo a fronte di una svalutazione attesa del 25% anche il ritiro cospicuo dei depositi. Le banche non avrebbero perciò un passivo sufficiente per finanziare le imprese.

Anche tralasciando questa parte del ragionamento, che è un “macigno”, dovremmo interrogarci se vogliamo un ritorno agli anni Settanta e Ottanta. Una crescita salariale maggiore della produttività che è bilanciata dalle svalutazioni, che “drogano” la domanda, ma non stimolano l'apparato industriale a diventare più competitivo. Il tutto con la Banca d'Italia che compra il debito pubblico per la parte rimasta in optata dai privati. Ossia, la banca centrale “stampa moneta” e, alla fine, si ha un tasso di inflazione elevato.