Il momento è molto delicato e assai complesso. Il ragionamento di asset allocation – la scelta su come ripartire un portafoglio fra azioni, obbligazioni e liquidità - di conseguenza sarà piuttosto lungo ed anche – in molti passaggi – tecnico. La prima parte analizza la propensione dei mercati a generare bolle, la seconda le decisioni delle banche centrali, la terza delinea uno scenario per il BTP, le quarta è sulla Cina, che è più fragile di quanto si creda.

1- Tendenze secolari

In futuro la crescita della quota degli anziani – una fascia delle popolazione con una propensione al rischio inferiore alla media - dovrebbe ridurre il moltiplicatore degli utili – ossia la propensione a scontare una crescita elevata delle imprese. Si deve anche tener conto che i prezzi delle azioni hanno delle escursioni notevoli, e i buoni andamenti si concentrano in poche imprese, il che rende questo investimento poco appetibile per gli anziani. Abbiamo avuto finora due bolle, quella della tecnologia e poi quella degli immobili. Le bolle scoppiano non perché i mercati sono troppo sviluppati, come in molti pensano, ma, al contrario, perché non lo sono abbastanza. Se le vendite “allo scoperto” fossero di facile esecuzione, le bolle sarebbero frenate. Le politiche monetarie ultra espansive degli ultimi anni possono spingere verso l'uscita dalle obbligazioni – che hanno dei prezzi, in alcuni paesi, ormai troppo alti, incentivando l'ingresso nelle azioni, che, però non hanno dei prezzi molto bassi. Si potrebbe così formare una nuova bolla, in presenza di una popolazione che invecchia rapidamente, e che perciò non è propensa al rischio.

2- Le politiche monetarie ultra espansive

Prima di una gara un atleta smette di allenarsi – l'espressione inglese è tapering. Quando Ben Bernanke – il governatore della Banca Centrale degli Stati Uniti - in giugno parlò di tapering, i mercati tosto si innervosirono. Ben Bernanke si riferiva alla fine degli acquisti di titoli di stato - il Quantitative Easing - da parte della Banca Centrale. Meno acquisti – con il miglioramento degli andamenti economici - nel 2013 e – se e solo se - l'economia si fosse stabilmente ripresa – nessun acquisto nel 2014. Non aveva fatto cenno a una politica monetaria restrittiva – il tightening, lo stringere la cinghia: belt-tightening – quando da un lato si hanno dei tassi di interesse maggiori praticati dalla Banca Centrale per finanziare le banche si credito ordinario, e dell'altro la vendita delle obbligazioni che la Banca Centrale aveva comprato nel corso del tempo.

Dunque Ben Bernanke aveva in mente l'atleta che smette di allenarsi, non la cinghia più stretta. Dopo qualche giorno altri esponenti della Banca Centrale statunitense si pronunciarono spiegando che non si trattava di stringere la cinghia, ma semmai di smettere di allenarsi, e i mercati smisero di temere il peggio. Poi arrivarono le dichiarazioni della Banca Centrale d'Inghilterra e della Banca Centrale Europea, tutte nella direzione delle politiche monetarie ultra lasche. I mercati delle obbligazioni smisero di flettere e quelli delle azioni tornarono a salire. Infine, questa settimana Ben Bernanke ha chiarito la contrapposizione fra Tapering versus Tightening in un'audizione parlamentare.

Sembra dalle ultime vicende che nei mercati finanziari prevalga questa relazione: Economia Debole = Politica Monetaria Lasca = Mercati obbligazionari Tonici e azionari in Ascesa, che si contrappone all'altra relazione: Economia Forte = Politica Monetaria Restrittiva = Mercati obbligazionari Deboli e azionari (forse) in Ascesa. Dunque tanto più floscia è la ripresa dell'economia reale, tanto maggiore è la stabilità dei mercati finanziari.

E questo non è un qualche cosa di “irrazionale”. I prezzi delle obbligazioni del Tesoro sono, infatti, talmente alti (i rendimenti talmente bassi) che si ha una spinta a comprare tutto quel che rende di più. Se le obbligazioni del Tesoro avessero dei prezzi più bassi (dei rendimenti più alti) per il venir meno degli acquisti delle Banche Centrali, allora verrebbe meno la spinta a comprare tutto quello che rendeva di più. Se il rendimento del Bond statunitense andasse al cinque per cento – il suo rendimento storico - dal 2,5 per cento dove si trova, nessuno comprerebbe un'obbligazione ad alto rischio che rende il cinque per cento.

Questa “razionalità” dovrebbe far meditare. Il mandato della Banca Centrale degli Stati Uniti è, infatti, quello di favorire il massimo della crescita dell'economia reale compatibile con un'inflazione sotto controllo, non è quello di rassicurare i mercati finanziari. E - forse - siamo giunti alla spiegazione dell'accaduto. Possibile che Bernanke possa aver involontariamente prodotto tanta confusione? No, ha piuttosto voluto iniettare timore nei mercati, perché smettessero di costruire troppe posizioni a leva (= acquisti finanziati arbitrando la differenza fra il rendimento dell'attività comprata e il costo del suo finanziamento) che, alla fine, si rivelano troppo rischiose, quando la politica monetaria smette di essere ultra espansiva. Bernanke, infatti, ha dichiarato: I think not speaking about these issues would have risked a dislocation; it would have risked increase build-up of risky, leveraged positions in the market.

Se il ragionamento esposto tiene, allora i mercati, appreso il messaggio che li incentiva alla prudenza, dovrebbero pian piano formare dei rendimenti delle obbligazioni più alti, forse dei prezzi delle azioni più alti, ma in un contesto di forte volatilità, e smettere di comprare le attività rischiose – come le obbligazioni private ad alto rischio, e quelle dei Paesi Emergenti – come se fossero ad alta qualità.

3- La fine delle politiche monetarie ultra lasche e il BTP

Proviamo a immaginare che cosa accadrebbe se la politica monetaria ultra lasca terminasse, cosa che prima o poi – anche se il poi può essere un paio di anni o più - senza che una qualche ripresa robusta si sia palesata. I rendimenti dei BTP decennali oggigiorno sono intorno al 4,5%, un livello non distante da quello che si aveva prima che scoppiasse la crisi dei debiti dei Paesi del Sud Europa nel 2011. E un livello non distante nemmeno da quello che si aveva prima che scoppiasse la crisi nel 2007.

Sono i rendimenti degli altri Paesi ad essere scesi ben sotto le medie storiche – quello statunitense, quello tedesco, e degli altri Paesi – come la Gran Bretagna e la Francia, detti “ben messi”. E dunque sono i rendimenti di questi ultimi che debbono - se la politica monetaria smette di essere ultra espansiva - correggere, salendo. (Se i rendimenti salgono, i prezzi scendono, perché la cedola è fissa). Sembra perciò che non vi sia ragione perché i rendimenti dei BTP in futuro debbano salire. Salendo il rendimento del Bund tedesco dal quasi 2%, dove si trova adesso, verso il 3,5% che è il suo rendimento normale - si avrebbe – con un rendimento del BTP invariato - anche una compressione dello spread, che tornerebbe perciò sui 100 punti base.

Questo ragionamento nella sostanza esso afferma che, mentre il nostro rendimento è “normale”, quello degli altri è “anomalo” e dunque, i “normali” non possono che restare “normali”, mentre gli “anomali” non possono che tornare alla “normalità”. E' una semplice regressione verso la media. Questo ragionamento è troppo bello per essere vero. Ci sono, infatti, delle pietre sparse lungo il percorso che possono far inciampare.

Un chiarimento: esiste il rischio tasso – se i rendimenti salgono i prezzi delle obbligazioni scendono, ed il rischio emittente – alla scadenza l'obbligazione può non essere rimborsata in parte o in tutto. Né il Bond statunitense, né il Bund tedesco corrono il rischio emittente, ma solo il rischio tasso. Per il BTP il discorso è diverso: se sale il costo del debito pubblico, in assenza di crescita e dato il peso del debito medesimo, qualcuno penserà che possa far capolino l'idea di ristrutturarlo. E dunque vorrà un “premio per il rischio”, che si manifesterà in un rendimento maggiore di quello storico dell'epoca dell'euro area, che è fra il 4 e il 5%. Il maggior premio per il rischio alza il costo del debito e perciò giustifica a posteriori il rialzo del rendimento. Ossia, rischia di diventare una “profezia che si auto-invera”.

Il combinato italiano di un gran debito con una crescita inesistente è sempre pronto ad alimentare il dubbio che in Italia ci possa essere, oltre al rischio tasso, che è comune a tutti i paesi, anche un rischio emittente, seppur molto contenuto. E dunque il rialzo dei rendimenti nei Paesi detti “ben messi” potrebbe spingere al rialzo anche i nostri. Esiste perciò la possibilità che i rendimenti dei BTP possano – nonostante siano intorno al livello antecedente la crisi - salire quando la politica monetaria ultra espansiva della Banca Centrale Europea termini.

4- Il rilancio dello sviluppo

Che cosa si può fare perché questo non avvenga? Rilanciare lo sviluppo è la risposta ovvia. Ma allora perché non lo si fa? Fa parte del senso comune l'affermare che lo sviluppo economico sia tanto maggiore quanto minori sono i vincoli sia nel mercato dei prodotti sia in quello del lavoro. Se non vi sono vincoli, allora le innovazioni si diffondono più facilmente, perché si hanno meno ostacoli nella diffusione dei prodotti, che, a loro volta, possono materializzarsi solo se la forza lavoro si sposta - senza troppe frizioni - dai vecchi ai nuovi settori.

Per una definizione della regolamentazione dei mercati dei prodotti e della tutela dell'occupazione si veda il grafico III.7. Bene, misuriamo questa affermazione – il primo blocco di grafici è il III.5. Il grafico a sinistra mostra sull'asse orizzontale il grado di regolamentazione dei prodotti – man mano che ci si sposta a destra la regolamentazione diventa più stringente - e su quello verticale la produttività del lavoro dei diversi Paesi. Il grafico al centro - mostra sempre sull'asse orizzontale il grado di regolamentazione dei prodotti e su quello verticale il tasso di occupazione dei diversi Paesi. Ne deriva una retta di regressione che si muove dall'alto a sinistra verso il basso a destra, ossia si evince che tanto più il mercato dei prodotti è regolamentato tanto minore è la produttività e l'occupazione. Il terzo grafico collega la regolamentazione del mercato del lavoro al tasso di occupazione. Anche qui si evince che il tasso di occupazione è tanto maggiore tanto minore è la regolamentazione del mercato del lavoro. Abbiano visto che le affermazioni di di senso comune sono molto vicine alla realtà, almeno nel breve termine.

Allora perché il senso comune non è attuato, perché non è reso reale? Osserviamo il secondo blocco di grafici, il III.8. I Paesi che hanno subito meno la pressione dei mercati finanziari – il grafico a sinistra - sono quelli che hanno reagito meno alle raccomandazioni di riforma (queste ultime sono approssimate dai suggerimenti “Going for Growth” dell'Ocse). L'asse orizzontale misura il rendimento puntuale dei titoli di stato prima e dopo la crisi. Se questo è sceso – e dunque si è a sinistra rispetto all'asse dello zero – allora le raccomandazioni non sono state seguite e viceversa. Il grafico a destra mostra come le raccomandazioni siano seguite quanto maggiore è la recessione. Insomma, le riforme che aiutano lo sviluppo si fanno solo se le cose vanno davvero male - il costo del debito pubblico che aumenta e la crisi che morde -, altrimenti si preferisce lasciare il mondo tale e quale, sperando che col tempo tutto si aggiusti.

Il che ci porta alla domanda: è la crisi che spinge le riforme? Se la risposta è sì, allora il momento migliore per fare le riforme in Italia lo abbiamo avuto alla fine del 2011 inizi del 2012, quando la pressione dei mercati era massima. Allora alcune riforme furono fatte – quella delle pensioni e, parzialmente, quella del mercato del lavoro, ma altre eluse – come la liberalizzazione del mercato dei prodotti.

Per evitare che in futuro – terminata la politica monetaria ultra espansiva - il rendimento del BTP salga, si deve rilanciare lo sviluppo, il che avviene non con una maggiore spesa pubblica, ma con le liberalizzazioni. Per evitare che le riforme si facciano nel bel mezzo di una crisi – il rischio sarebbe che mentre si varano le riforme il costo del debito aumenti – occorre farlo anticipatamente. Ossia a partire dall'oggi.

5-La Cina è una "tigre di carta"?

Contrariamente al luogo comune che vede la crescita cinese come trainata dalle esportazioni fatte a nostro danno, il “gran balzo” è stato trainato in misura minore dalle esportazioni nette, ossia dalle esportazioni cinesi meno le loro importazioni. Il grosso della crescita è frutto degli investimenti, che sono stati colossali, come non si sono mai stati da nessuna parte e per ammontare – in rapporto al PIL – e per durata. Questi investimenti stanno diventando sempre meno produttivi, perché per ogni unità addizionale d'investimento si ha una crescita minore del PIL. Gli investimenti sono in impianti industriali, in infrastrutture, e in abitazioni. Poiché l'auto finanziamento d'impresa non è stato sufficiente, gli investimenti sono stati fatti in misura notevole con il debito. Non c'è, infatti, Paese in via di sviluppo che abbia un ammontare di credito in rapporto al PIL come la Cina.

Gli esborsi finanziari sono il combinato del pagamento degli interessi e del debito in scadenza (debt servicing ratio = DSR). Per avere una misura di quanto pesino gli oneri finanziari, si mette in rapporto il DSR con il PIL. Il numero varia, ma ruota intorno al 20% nel Paesi sviluppati. Quando supera questa soglia e si avvicina al 25%, diventa pericoloso, nel senso che può alimentare una crisi bancaria. La crisi bancaria può essere alimentata, perché se il 25% del PIL va a pagare gli interessi e il capitale in scadenza, allora le imprese possono non essere il grado di onorare i propri costi finanziari, e perciò si può facilmente scivolare in un mare di insolvenze. Il mare di insolvenze riduce il credito, e dunque alimenta la crisi, a meno che le banche non siano ricapitalizzate Passando alla Cina. I debiti espliciti verso le banche e quelli meno espliciti che sono nella pancia dei veicoli che finanziano gli enti locali (Local Government Financial Vehicles = LGFV) sono all'incirca pari al 145% del PIL. Il tasso di interesse medio è dell'otto per cento circa e la scadenza del debito è di sei anni circa. Facendo i conti, il DSR della Cina è appena inferiore al 30% del PIL.

Le caratteristiche dell'economia cinese sono una grande crescita degli investimenti con un occhio distratto all’efficienza dei medesimi, con il sistema creditizio che “pompa” in misura crescente mezzi finanziari nel settore economico. La Cina dovrebbe quindi cambiare modello di sviluppo: da un’economia trainata dalle esportazioni ma, soprattutto, dagli investimenti, verso un’economia trainata dai consumi privati con investimenti efficienti.

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