La Banca Centrale Svizzera ha dichiarato che non terrà più a tutti i costi il cambio con l'Euro. Il cambio, che era da tempo ancorato a 1,2 Franchi per Euro, è passato subito e dopo notevoli oscillazione a un Franco per Euro. Il cambio prima della crisi finanziaria dell'Euro-zona era di 1,6 Franchi per Euro. Le ragioni di questa decisione sono di difficile comprensione.

La metà delle esportazioni della Svizzera è verso l'Euro-zona, ed un'ascesa del cambio di questo tenore non può che produrre un effetto depressivo. Non a caso la borsa svizzera è flessa del 10%. Anche il turismo ne esce male. Chi va in vacanza in Svizzera può anche andare in Austria e in Alto Adige: il paesaggio è lo stesso, si mangiano le stesse cose, la lingua è la stessa.

La Svizzera ha accumulato delle grandi riserve, che per la metà sono in Euro e per un quarto in Dollari. La divaricazione futura delle politiche monetarie – più restrittive negli Stati Uniti, più espansive nell'Euro-area – dovrebbe spingere ad una rivalutazione del dollaro. Si può così pensare che le riserve in Euro penalizzano la Banca Centrale, perché inibiscono i guadagni in dollari. E quindi che la Banca Centrale non voglia più cumulare Euro, ma avere più Dollari.

Come che sia, è davvero difficile comprendere quale sia il vantaggio dello scambio (il trade off) fra un'economia reale che viene urtata dal Franco forte e un eventuale guadagno in conto valutario. Qualche tempo fa, su oltre venti economisti interpellati, solo quattro pensavano che il cambio sarebbe stato lasciato libero di fluttuare, ma nel 2016. La decisione di lasciar fluttuare il Franco agli inizi del 2015 non la immaginava nessuno.

Chi ha il proprio patrimonio in Svizzera ha guadagnato con la succitata decisione solo sulle attività denominate in Franchi – depositi e titoli, mentre chi ha il proprio patrimonio in Svizzera, ma investito in Euro e Dollari, ha guadagnato nulla.

Ai tempi della crisi del 2010-2011-2012 la Banca Centrale Svizzera aveva comprato le obbligazioni tedesche, francesi, e quelle dei Paesi minori “virtuosi”. In questo modo aveva accentuato l'ascesa dei loro prezzi (aveva accentuato la discesa dei loro rendimenti) contribuendo ad alzare i differenziali (gli spread) con i Paesi “viziosi”, come l'Italia e la Spagna. Facendo così, ossia comprando anche i titoli francesi, aveva contribuito a mostrare una Francia più virtuosa di quanto non fosse allora. Si veda: http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/1720-la-francia-nel-mirino.html