La tassa sui banchieri ha funzionato talmente bene che ora il cancelliere dello Scacchiere britannico, il giovane George Osborne, ha deciso di non sospenderla e anzi di farla diventare permanente (1). La misura ha portato un extragettito di 800 milioni di sterline quest’anno, ma per il futuro il Tesoro inglese si aspetta 2,5 miliardi di sterline all’anno, «un contributo equo da parte delle banche per chiudere il buco di bilancio».


Naturalmente le reazioni dalla City non si sono fatte attendere (2) e la prima vittima pare il cosiddetto Project Merlin, quel tavolo di negoziati tra governo e istituti finanziari per cercare di agevolare i prestiti alle piccole e medie imprese inglesi e intanto tenere a bada i bonus milionari dei banchieri. Il progetto non se la passava molto bene nemmeno prima (3), ma nelle ultime ore c’erano stati movimenti incoraggianti, poi finiti sotto la scure della tassa sulle banche annunciata da Osborne.

 

L’amico della City, come è spesso definito Osborne dall’opposizione laburista, non si è comportato secondo le aspettative: la priorità del governo britannico è il deficit, e ogni entrata dev’essere valorizzata, a costo di inimicarsi quel mondo che finora ha guardato con fredda simpatia le manovre di Downing Street. Si sentirà parlare ancora di tasse, non soltanto per le banche: il premier conservatore, David Cameron, ha detto in una recente intervista (4) che non potrà portare avanti il piano di taglio delle tasse sui redditi personali: lo stato dei conti non lo consente. Cameron non vuole nemmeno aumentare la pressione fiscale, almeno così ha affermato finora.

 

Anche perché ha gravi problemi di crescita (5): il ritmo della ripresa è più basso rispetto alle aspettative, e ora che i tagli alla spesa diventeranno a mano a mano operativi la fiducia dei consumatori potrebbe risentirne. Il resto del piano infatti – una delle operazioni più radicali della storia moderna inglese (ed europea), come ha ricordato anche The Economist tempo fa mettendo il premier in copertina con una cresta colorata da punk – prevede un taglio delle spese gigantesco, una razionalizzazione di tutte le voci di spesa più consistenti – la riforma delle tasse universitarie ha già portato minirivolte nelle strade (6).

 

L’alternativa al big government ormai ingestibile è quella che Cameron chiama la «Big Society» (7), un processo di responsabilizzazione degli individui e delle comunità che porti a una sostituzione dei servizi ora gestiti dallo stato. Il progetto ha subito molte critiche, anche perché non è risultato gran che chiaro all’elettorato. Ieri France Maude ne ha dato una definizione scrivendo sul Times (8): «Costruire una Big Society non significa riversare i soldi dei contribuenti in attività di volontariato. Si tratta piuttosto di aprire servizi pubblici, di dare a livello locale maggiore potere, di incoraggiare la già esistente tradizione di attivismo sociale in questo paese. Si tratta di dare alle comunità maggior controllo sulle decisioni che le riguardano, per fare le cose in modo diverso».

 

(1) http://www.guardian.co.uk/business/2011/feb/08/bank-levy-increased-george-osborne

 

(2) http://www.guardian.co.uk/business/2011/feb/01/hsbc-chairman-douglas-flint-location-tax?INTCMP=SRCH

(3) http://www.thetimes.co.uk/tto/business/economics/article2892613.ece

 

(4) http://www.telegraph.co.uk/news/newstopics/politics/david-cameron/8306110/David-Cameron-Sorry-but-we-cant-afford-tax-cuts.html

 

(5) http://www.guardian.co.uk/business/2011/jan/25/uk-economy-shrunk-point-five-per-cent

 

(6) http://www.bbc.co.uk/news/education-11677862

(7) http://www.bbc.co.uk/news/uk-10680062

(8) http://www.thetimes.co.uk/tto/opinion/columnists/article2902994.ece