Alla sinistra americana non è rimasto quasi più nessuno. Non certo Barack Obama, il sogno liberal sfumato, la più grande delusione del decennio. In un articolo sul New York Magazine tutta la disillusione viene vista con gli occhi dell’ultimo dei Liberal, il premio Nobel per l’Economia, nonché editorialista di riferimento del New York Times, Paul Krugman.

La solitudine di Krugman è la solitudine dell’americano di sinistra che pensava che Obama l’avrebbe riscattato da tutte le pene subite non soltanto durante gli anni di Bush, ma anche durante gli anni clintoniani, ché Bill Clinton non era un presidente di sinistra, era un centrista. Invece no. Obama ha tradito molte aspettative (Guantánamo per esempio. Su Twitter, Ben Smith di Politico ha riportato uno scambio meraviglioso tra il presidente e un signore a un incontro per il fund raising. Si discuteva di austerità. «Dobbiamo decidere senza cosa possiamo stare», ha detto Obama. «Guantánamo!», ha gridato uno dalla platea), soprattutto economiche. Krugman fa un elenco dettagliato, perché, oltre a sentirsi solo, si sente pure tradito (è anche uno degli economisti più simpatici su piazza, checché se ne dica. Il suo blog, La coscienza di un liberal, non è soltanto il blog più popolare della rete, è anche pieno di ironia e autoironia, specialmente sul suo essere considerato uno spocchioso antipatico): soprattutto dice che gli economisti progressisti sono disorganizzati e in ritardo.

E mentre buona parte della destra americana dà di socialista al presidente, Krugman rimpiange il welfare state e il continuo compromesso cui tende Obama. Sostiene che in questo modo la società diventerà più dura, che settori come l’istruzione patiranno danni irreparabili, che gli stimoli non dati all’economia si trasformeranno in minori possibilità per il sistema-paese, senza contare l’impatto drammatico sull’occupazione. Testimonial di punta del neokeynesimo, Krugman ha criticato l’ossessione tagliatrice (di spese) che ha preso molti governatori repubblicani, dimostrando con grafici e teorie che in questo modo l’economia sarà depressa, non rilanciata. È uno scontro di civiltà, questo, in cui il premio Nobel si è buttato senza risparmiarsi mai, facendo riferimento al suo personale «paradiso perduto», che risale al boom degli anni Cinquanta e Sessanta.

Krugman non risparmia commenti velenosi verso Larry Summers, compagno di università poi schieratosi dall’altra parte dello scontro. Quando lavorarono insieme nell’amministrazione Reagan, Summers divenne «l’insider» e Krugman «l’outsider». L’ex capo degli economisti della Casa Bianca obamiana è il rappresentante dell’allegria economica degli anni Novanta, la deregulation e le bolle, la finanza e le banche trasformate in supermarket della finanza. Krugman dice: «quando le cose impazziscono, il mio istinto è di adottare politiche radicali, e Larry è un po’ più cauto». E aggiunge: «Larry è davvero molto intelligente – chiediglielo, te lo dirà anche lui».