Una domanda interessante è: perché mai in questo momento nell’Europa dell’euro la finanza ha tanto peso, mentre da altre parti ne ha meno? Che, resa più precisa, diventa: perché mai dei bilanci pubblici simili come quello britannico e spagnolo «comandano» dei rendimenti sul debito pubblico differenti? Una risposta – abbastanza facile – è quella che cerca la presenza di una qualche forma di complotto o di pregiudizio. L’altra – piuttosto complessa – cerca la spiegazione nel ruolo della moneta: se un paese con un bilancio pubblico mal messo ha una propria moneta, oppure se ha una moneta in comune con altri.

Si abbiano due paesi, entrambi con una dinamica del debito pubblico «fuori controllo», ossia con un debito pubblico che cresce più di quanto cresca il reddito nazionale (un rapporto debito/Pil crescente). E si abbia la finanza che vuole uscire dal debito pubblico di questi due paesi.

Nel caso britannico sono vendute – dalla finanza ormai diventata scettica sulle prospettive del paese – le obbligazioni emesse dal Tesoro di Sua Maestà. Il loro prezzo flette. (I rendimenti salgono: le obbligazioni, infatti, hanno la cedola fissa, per cui i rendimenti possono salire solo se il prezzo scende). A fronte delle obbligazioni vendute, la finanza si trova ad avere solo delle sterline, e non più delle attività finanziarie emesse in sterline. Queste sterline possono essere lasciate in un conto corrente, oppure vendute sul mercato dei cambi per avere, per esempio, degli euro. In questo caso, il cambio della sterlina flette. Dunque prima flette il prezzo delle obbligazioni e poi flette il prezzo della moneta della Gran Bretagna. Se la doppia flessione è sufficiente per attrarre nuovi investitori, si ha che le le obbligazioni sono comprate di nuovo. Se non ci fosse una nuova corrente di acquisti, la banca centrale britannica potrebbe comunque comprare le obbligazioni del Tesoro.

La liquidità resta «imbottigliata» nel mercato finanziario britannico e prima o poi viene impiegata. Le sterline cambiano di mano, ma restano sempre dello stesso ammontare. Comunque sia, non si ha una contrazione della liquidità.

Nel caso spagnolo sono vendute – dalla finanza ormai diventata scettica sulle prospettive del paese – le obbligazioni emesse dal Tesoro di Sua Maestà. Il loro prezzo flette. A fronte delle obbligazioni vendute, la finanza si trova ad avere solo degli euro, e non più delle attività finanziarie spagnole emesse in euro. Questi euro possono essere venduti sul mercato dei cambi per avere, per esempio, delle sterline. Il cambio dell’euro flette. Dunque flette il prezzo delle obbligazioni e flette il prezzo della moneta europea e quindi anche della Spagna. Se la doppia flessione è sufficiente per attrarre nuovi investitori, si ha che le le obbligazioni sono comprate di nuovo. Se non ci fosse una nuova corrente di acquisti, la Banca Centrale Europea potrebbe comprare le obbligazioni.

Si noti la differenza rispetto al caso britannico. Gli euro ottenuti in cambio del debito pubblico spagnolo possono anche non essere venduti per ottenere altre monete. Essi possono essere impiegati – senza passare dal mercato dei cambi – per comprare il debito degli altri paesi dell’area euro, giudicati più attraenti. Infine, il debito pubblico spagnolo non può essere comprato dalla banca centrale spagnola, ma solo da quella europea. La liquidità non resta «imbottigliata» nel mercato finanziario spagnolo e perciò non è detto che, come nel caso britannico, prima o poi sarà impiegata in Spagna. Gli euro cambiano di mano, restano sempre dello stesso ammontare nell’Europa dell’euro, ma non necessariamente in Spagna. La liquidità in Spagna potrebbe perciò contrarsi.

Il governo spagnolo – con una finanza scettica – deve alzare i rendimenti per poter rinnovare il debito che va in scadenza e per emettere nuovo debito pubblico. I maggiori rendimenti, ossia il maggior costo del debito, alzano il costo economico e politico delle manovre di risanamento. Alzandosi il costo del risanamento, aumenta la probabilità di insolvenza. Si prenda il caso della Grecia. Il (di gran lunga) maggior costo del debito rende le manovre per portare il debito sotto controllo talmente difficili da attuare che la probabilità di insolvenza aumenta velocemente. È così chiesto dai mercati un rendimento più alto per sottoscrivere il debito greco. E questo, a sua volta, alimenta lo scetticismo sulla solvibilità della Grecia. La cosiddetta «profezia che si autoavvera».

Che cosa può fermare la spirale del costo crescente del debito pubblico in alcuni paesi di un’area monetaria con economie disomogenee? Aggiungendo, per chiarire: volendo fermare la spirale dei debiti fuori controllo senza ripudiare il debito del paese sotto pressione, un evento che colpirebbe tutto il sistema – il debito di un paese è, infatti, quasi sempre detenuto per una quota considerevole dal sistema finanziario degli altri paesi?

L’emissione di un debito pubblico unico, oppure, in alternativa, di un debito pubblico comune fino a una certa percentuale del Pil. Nel caso europeo, una proposta è quella di emettere un debito comune fino al 60% del Pil dei diversi paesi che compongono l’area dell’euro. Se un paese ha un debito pubblico sopra il 60% del Pil, allora emette il proprio debito pubblico sopra il 60% del Pil, che avrà un costo maggiore del debito pubblico in comune. Non si crea così la tentazione di sperperare, come sarebbe possibile nel caso di un debito pubblico unico, che costa poco perché ruota intorno alle economie virtuose dei paesi più grandi. In questo modo, è frenata la spirale del costo del debito fuori controllo, perché il 60% del debito è protetto dall’emissione «in solido», mentre i paesi meno virtuosi sono costretti a pagare un prezzo per il debito sopra il 60% del Pil fintanto che non si risanano.

Fonte del ragionamento: P. De Grauwe, The Governance of a Fragile Eurozone, aprile 2011

La nota è uscita in versione "ristretta" su Il Foglio del 26 luglio 2011