John Lanchester è il romanziere della crisi britannica. Non ha avuto alcuna investitura ufficiale, ma per la maggior parte dei media inglesi, di destra e di sinistra, lui è il narratore migliore che il collasso del Regno Unito potesse trovarsi.

Lanchester nasce come saggista, esperto di finanza ma anche di letteratura, figlio di padre di Hong Kong e di madre irlandese. La mamma è il suo grande tabù: scoprì la verità su di lei, il fatto che si fosse abbassata l’età di nove anni e che avesse preso un passaporto birtannico usando il nome di sua sorella, soltanto quando morì, nel 1998. Da quel momento Lanchester ha avuto problemi psicologici, attacchi di panico, come ha raccontato nel memoir (molto triste) “Family Romance”. Nel 2010 Lanchester ha pubblicato “Whoops!: Why everyone owes everyone and no one can pay” (1), un’analisi tecnica della crisi, scritta con un tono ironico, tanto che un recensore lo definì “devastantemente divertente”. In realtà, in “Whoops!” c’è poco da ridere, e Lanchester stesso non voleva far ridere: voleva essere impietoso e far emergere, dalla realtà, colpe e irresponsabilità così gigantesche da poter benissimo far parte di una fiction.

Ora è tornato con un romanzo, “Capital”, di cui il Telegraph ha pubblicato di recente un estratto (2). Il libro si svolge in una strada nel sud di Londra, Pepys Road, in quattro atti, dal dicembre del 2007 al novembre del 2008: la grassa capitale inglese nel mezzo del credit crunch. Il ritratto è fedele: l’aumento dei prezzi delle case ha trasformato il tessuto sociale della strada, così un banchiere e un calciatore-giovane-speranza della Premier League proveniente dal Senegal sono i vicini di casa di molti residenti di lunga data, ben più modesti: una vedova ottantenne che sta morendo di cancro, il proprietario d’origini pakistane di un negozio di alimentari. Poi ci sono quelli che lavorano lì: l’operaio polacco, l’immigrato dallo Zimbabwe che fa illegalmente il guardiano del traffico.

Secondo il Guardian, è “una panoramica ineguagliabile sulla bolla di Londra” (3), con racconti che vengono paragonati al “Falò delle vanità” di Tom Wolfe (per non parlare di come sono immortalate le mogli, tragiche e volgari nonostante anni di lezioni di bon ton). In seicento pagine, Londra appare in tutta la sua vulnerabilità, e lo stupore è lo stesso che si respirava veramente nella City nei giorni in cui la crisi scritta sui giornali si trasformò in giovani in giacca e cravatta con scatoloni tra le mani – la fretta della cacciata, l’incapacità di comprendere.

Secondo Lanchester, Londra non si è ripresa, resta mollemente adagiata sulla sua paura, in mezzo a un disfattismo che conserva un suo senso estetico, ma che è pur sempre il contrario della fiducia, dell’ottimismo, della crescita.

  1. http://www.amazon.co.uk/Whoops-Why-everyone-owes-one/dp/1846142857

  2. http://www.telegraph.co.uk/culture/books/9088694/Capital-by-John-Lanchester-Exclusive-extract.html

  3. http://www.guardian.co.uk/books/2012/feb/24/capital-john-lanchester-review