Due giovani precari, la storia è vera, che vivono a Londra more uxorio, vanno in banca per sapere delle condizioni per accendere un mutuo. Invece di informarsi su quali garanzie patrimoniali e/o di reddito i due avessero, è loro chiesto quali studi avessero fatto, ed in che cosa consistesse il loro lavoro.

Il funzionario preposto all’accensione dei mutui, al termine dell’incontro, arriva alla conclusione che la probabilità che i due giovani avranno un giorno un reddito elevato è alta. Di conseguenza, anche senza garanzie e con un reddito da precari, li è offerto il mutuo. I due, che sono italiani, s’imbarazzano e rifiutano. S’imbarazzano, perché non si aspettavano di “essere presi sul serio”, e si rifiutano, perché temevano di doversi impegnare troppo per pagare per anni quel mutuo. Fossero mai tornati in Italia, o finiti da un’altra parte, avrebbero dovuto vendere la casa e non potevano immaginare oggi a quale prezzo la avrebbero ceduta domani. Raccontano ad altri italiani, che ascoltano increduli, questa storia che li ha lasciati interdetti.



Anche alcuni commentatori radiofonici tedeschi, secondo il Financial Times, sono rimasti interdetti ascoltando il ministro del Tesoro degli Stati Uniti Henry Paulson, che ha dichiarato che “ai milioni di americani cui è negato il credito o che debbono pagare un maggior interesse per l’uso delle carte di credito riesce difficile finanziare gli acquisti di ogni giorno”. Per i tedeschi è difficile capire come si possa vivere a credito per le spese di ogni giorno. Agli occhi dei tedeschi il comportamento statunitense, che consiste nel vivere a credito, manca di moderazione e di misura (Mass und Mitte). I tedeschi, infatti, non s’indebitano, e comprano i beni che desiderano solo dopo avere risparmiato. Pochi sono i tedeschi con la carta di credito, e le loro banche non accendono un mutuo per il 100% del prezzo della casa.
 

Agli europei “continentali” non viene in mente di indebitarsi come gli anglosassoni. Alle banche europee il debito degli anglosassoni, sotto forma di mutui ipotecari e di carte di credito, racchiuso nella pancia delle loro molte obbligazioni, invece, piaceva e molto. Non ne vedevano i rischi, ed erano attratte dal rendimento.


 Dunque gli statunitensi hanno una gran propensione al debito, mentre gli europei continentali, per non parlare dei cinesi e dei giapponesi, hanno un alta propensione al risparmio. La discussione sul perché le cose siano messe in questo modo è complessa, e nessuno ha ancora trovato una risposta convincente. Facciamo il sunto di una delle ipotesi, quella, affascinante, che cerca di spiegare il comportamento economico degli statunitensi attraverso il loro individualismo sradicato dalla classe d’origine. Il ragionamento parte da un quesito: perché gli statunitensi, a differenza degli altri, hanno accumulato tanto debito per consumare, per mandare i figli a scuola, per comprare casa? La risposta non è quella ovvia: perché c’è l“offerta” di debito, l’avida finanza ed i suoi oscuri prodotti. La finanza è, infatti, ovunque, ma solo negli Stati Uniti “furoreggia”. Si deve spiegare la propensione culturale ad indebitarsi, ossia si deve partire dalla “domanda” di debito. Nota finale, il desiderio di indebitarsi non implica che uno desideri indebitarsi con prodotti strambi.
 

Gli statunitensi credono fermamente nella mobilità sociale, e quindi hanno un senso vago di appartenenza di classe; credendo nella mobilità sociale, finisce che le ineguaglianze, che non sono mai contestate, ma vissute come il premio per il duro lavoro, stimolino il ricorso al debito. Infatti, il desiderio di essere riconosciuti per il proprio merito, e non per la classe sociale in cui si è nati, spinge a mostrare i risultati del duro lavoro, non l’anello patrizio della nonna; si perseguono i consumi affluenti per mostrare a tutti, senza vergogna, i frutti del lavoro, ed anche per emulare chi ha avuto successo; alla fine, si risparmia poco o ci s’indebita; e si risparmia molto meno o ci s’indebita di più proprio nei periodi di crescita delle ineguaglianze, perché diventa sempre più difficile “stare al passo”.


In molti paesi ricchi la mobilità intergenerazionale, che è misurata come il reddito dei figli rispetto a quelli dei genitori, è simile a quella degli Stati Uniti. In alcuni Paesi, come quelli scandinavi, la mobilità degli estremi, i figli del 20% più povero che passano nel 20% più ricco, è persino maggiore di quella degli Stati Uniti. Nonostante le evidenze statistiche, gli statunitensi credono solo nella “loro” mobilità sociale. In effetti, se si pensa a Barack Obama, il cui nonno pascolava le capre in Africa, l’orgoglio ha un senso, se non statistico, almeno simbolico. Il 60% degli statunitensi alla domanda se i poveri sono pigri risponde “si”, contro un 26% di europei. Se chi è povero si “merita” la propria condizione, allora chi non lo è ha il “diritto morale” a godersi la propria condizione. E deve mostrarlo a tutti. Che fa a questo punto lo statunitense che crede nel merito, se non mostrare i “beni giusti”, dalle scuole al quartiere circondato da alte mura? Spende tutto il suo reddito, e, se non basta, s’indebita per avere quel che oggi deve avere. Spende oggi il guadagno di domani, che crede, lavorando duro, di poter ottenere. Non solo lavora duro, ma lavora di più. Le ore lavorate sono salite del 20% negli Stati Uniti e scese del 10% in Europa negli ultimi decenni.


L’ossessione europea per il “burino” aiuta a chiarire la tesi appena esposta. In una società dove la condizione è spesso ereditaria, uno non si sente fallito se sta zitto e buono dove è nato; se, invece, mostra il benessere appena acquisito è trattato con sufficienza. Accadde così ai tempi dell’esordio politico di Silvio Berlusconi, reincarnazione di Calogero Sedara, di cui si contestavano i molti comportamenti da “nuovo ricco”. Si ammiravano, invece, i comportamenti da “vero ricco” di Giovanni Agnelli, reincarnazione del Principe di Salina. Chi diventa ricco è guardato, se ostenta, con malcelato sospetto, chi, invece, nasce ricco, non avendone merito, è, invece, ammirato. Gli statunitensi hanno una cultura che li spinge ad avere oggi quel che scommettono di avere domani. Se penso che domani sarò un uomo di successo, invito oggi la mia amata al ristorante di lusso, e pago con la carta di credito, sintesi dello statunitense. Se penso che domani sarò un uomo di successo, invito oggi la mia amata in una pizzeria e le parlo del domani quando andremo al ristorante di lusso, sintesi dell’europeo continentale.



Trovato un movente non economico del grande debito, passiamo all’economia del grande debito. Il salvataggio in corso negli Stati Uniti ha assunto delle dimensioni ciclopiche. Tutto parte dai mutui ipotecari, ed ora si allarga al credito al consumo.


Le famiglie vogliono comprar casa, accendendo un mutuo. Le imprese finanziarie emettono obbligazioni, raccolgono il denaro, e lo prestano alle famiglie sotto forma di mutuo. Abbiamo dunque un debito delle famiglie verso le imprese finanziarie ed un debito delle imprese finanziarie verso i sottoscrittori di obbligazioni. Chi emette obbligazioni spalma il rischio individuale, prestando poi il denaro a migliaia di persone. Se qualcuno è moroso, qualcun altro non lo è, dunque la morosità della popolazione è in media bassa. Le obbligazioni emesse, avendo un rischio basso, raccolgono denaro ad un tasso inferiore a quello che raccoglierebbe il singolo mutuatario che va da solo in banca. Le imprese finanziarie possono alla fine prestare denaro al singolo mutuatario ad un interesse inferiore. Il sistema lavora a favore del mutuatario. Chi compra le obbligazioni con in pancia i mutui ipotecari, nel dubbio che le cose possano andare male, può sempre assicurarsi. Stila un contratto che gli consente di riavere i propri denari, se l’emittente dell’obbligazione fosse moroso. Il sistema americano del debito, se ben funzionante, non ha “tare”, il mercato finanziario attraverso le obbligazioni presta i denari alle famiglie a dei tassi inferiori, ed è pure garantito dalle assicurazioni sulle obbligazioni che compra. Insomma, un’economia “di carta” che funziona.
 

La crisi in corso è scoppiata, perché si sono prestati facilmente (e furbamente) i denari e perché chi assicurava non faceva (sic) gli accantonamenti dovuti. La crisi in corso ha come causa il pessimo controllo del rischio, non la metafisica della caduta dell’impero corrotto. Come che sia la crisi è scoppiata. Che cosa avrebbero dovuto fare la Banca Centrale ed il Tesoro? Cercare di contenere le prime falle, contando che il sistema tenesse. Poi man mano che si vedeva che le cose non tenevano, allargare sempre più il campo d’intervento.
 

Abbiamo all’origine le obbligazioni con dentro i mutui che crollano di prezzo. Cadendo di prezzo, si comprime l’attivo delle istituzioni finanziarie, il passivo diventa superiore all’attivo, ed il sistema diventa “insolvente”. In altre parole, i debiti sono superiori ai crediti. Il credito non è erogato come dovrebbe, e l’economia s’inceppa. Inceppandosi l’economia il sistema d’erogazione di credito al consumo va in crisi. Il meccanismo per finanziarie le carte di credito ricalca quello dei mutui ipotecari. Sono vendute delle obbligazioni con in pancia i futuri crediti sulle carte di credito. La cedola dell’obbligazione è pagata con gli interessi sull’uso del credito fatto dalle carte di credito. Vendendo il finanziamento del credito a milioni di persone, il rischio è minore di quello che si avrebbe nel caso del finanziamento ad un singolo. I denari sono raccolti ad un tasso inferiore e poi prestato ad un tasso inferiore a quelli che usano le carte di credito. I quali, pagando un interesse basso, sono incentivati a consumare usando la carta di credito.
 

Il voler consumare oggi quel che si pensa ci si potrà permettere domani, è all’origine della propensione al debito, sotto forma di credito al consumo, quindi carte di credito e credito per l’acquisto di autovetture. Tutto funziona fin tanto che il sistema è sano. Se s’inceppa, come è accaduto, perché non si è riusciti a controllare il rischio che si stava formando, sono dolori. 


La Banca Centrale ed il Tesoro degli Stati Uniti (BC&T) stanno cercando di rimettere in piedi il sistema centrato sui mercati finanziari che ha generato la gran crescita economica degli ultimi anni nel mondo, finanziando le banche quanto possibile ed assorbendo i titoli che nessuno vuole quando necessario. La cura della BC&T non sembra bastare, ed infatti è in discussione il varo di una manovra fiscale, ossia un’espansione del deficit pubblico, finanziata dalle obbligazioni emesse dallo stato, ciclopica. Il salvataggio dalla crisi nata all’interno del mondo della finanza privata, quella delle obbligazioni con in pancia i mutui ipotecari e le carte di credito, ora passa attraverso l’uso aggressivo della finanza pubblica, quella delle obbligazioni emesse dal Tesoro. Alla fine della crisi, gli Stati Uniti, a parità di individualismo sradicato dalla classe d’origine, avranno meno debito privato e più debito pubblico.
 

 Pubblicato su Diario del 12 dicembre 2008 e su Gazeta.ru il 18 dicembre 2008