Chi comprerà le obbligazioni statunitensi che rendono poco o nulla per di più in una valuta che perderà valore? Non gli statunitensi, se possono investire all’estero, e non l’estero che può starsene in casa.

I compratori saranno quelli “costretti” a comprare dollari, cioè i cinesi ed i giapponesi. Nel caso di Pechino, il saldo fra esportazioni ed importazioni è positivo con gli Stati Uniti. I cinesi vendono le loro merci e ricevono titoli di credito. Oltre un certo limite, cominciano a preoccuparsi. Un giorno li riscuoteranno?

Da qualche tempo i cinesi ed i giapponesi mandano segnali di nervosismo. Eisuke Sakakibara, ora semplice professore, ma una volta vice ministro delle Finanze e potente “puparo” dello yen, ha chiesto l’emissione d’obbligazioni denominate in valute diverse dal dollaro. Un fatto che ricorda i tempi di Carter quando fu richiesto agli Stati Uniti di emettere obbligazioni in marchi e franchi svizzeri, i “Carter Bond”, che oggi potrebbero essere chiamati “Obama Bond”.

Il governatore della Banca centrale cinese, Gao Xiqing, in una intervista all’Atlantic, ha mandato un segnale preciso agli Stati Uniti: “Siate carini con i paesi che vi prestano i soldi”. Sono segnali di sfiducia nel dollaro, o, come avrebbe detto il Generale De Gaulle: la presa d’atto che gli Stati Uniti godono di un “privilegio esorbitante”, ormai ingiustificato, nel battere l’unica moneta internazionale. Gli statunitensi debbono procurarsi la valuta e quindi non possono continuare ad acculare enormi disavanzi commerciali. Debbono, al contrario, accumulare degli avanzi commerciali, procurarsi la valuta e rendere il debito. Sembra una cosa innocente, ma il suo significato è che gli Stati Uniti dovrebbero crescere meno del resto del mondo per anni.

Pubblicato su Il Foglio il 18 dicembre 2008