La politica interna russa si forma secondo un meccanismo di doppie elezioni, parlamentari e presidenziali. Durante il fine settimana si terranno le elezioni per il parlamento, poi, il prossimo anno, quelle per la presidenza.


ll “putinismo” dovrebbe vincere con larghezza tutte e due le volte. Definiamo “putinismo” quel sistema che fonde l’elite che viene dagli apparati di sicurezza con quella delle grandissime imprese dell’energia, le quali, a loro volta, controllano una buona parte del sistema mediatico. Questa fusione è il potere forte russo.

Il potere politico aiuta la crescita del settore energetico, che fornisce le risorse al potere politico, che si chiude al centro, mettendo fuori le ali comuniste e liberali. Una volta che si sia formata una salda catena di comando all’interno, diventa molto più agevole muoversi all’estero. Le direzione della politica estera sono due: a) tornare ad influenzare i paesi che facevano parte dell’URSS e che sono diventati poi indipendenti, come l’Ucraina, la Georgia, le Repubbliche asiatiche, b) dare un qualche spazio a tutti quei paesi che possono formare un nuovo fronte “terzomondista”, dall’Iran al Venezuela. Gli strumenti sono l’uso della potenza energetica nei rapporti con gli altri paesi, il seggio al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, le forniture militari.


La politica di grande potenza ha bisogno di una ideologia. L’internazionalismo proletario non essendo un’opzione spendibile, resta quella nazionalista. La grande nazione russa ed il suo posto nel mondo, in opposizione al modello occidentale. Una nuova politica estera richiede una rilettura della politica interna. Putin, durante un comizio tenuto la settimana scorsa, ha detto che i comunisti non sono credibili, perché tutti ricordano gli anni della decadenza dell’Urss, e che nemmeno i liberali sono credibili, perchè tutti ricordano la miseria e la “svendita” dei beni pubblici dei tempi di Yeltsin. Le alternative al partito di Putin, Russia Unita, i comunisti ed i liberali, sono, nella retorica elettorale, messi fuori gioco, ricordando quanto danno essi hanno fatto sia al popolo sia al prestigio russo.

In questo senso il putinismo è una specie di convergenza al centro. Un centro non da intendere come moderatismo, come se fosse un democristiano, stretto fra comunisti statalisti e liberali libertini, ma come il ritorno della forza della nazione. I comunisti ed i liberali sono in qualche modo degli universalisti, non dei veri nazionalisti. Pensano infatti che chiunque possa godere dei beni del progresso. Insomma, la vera posta in gioco delle elezioni è quella di avere un leader, alla testa di un partito che cementi l’immensa terra russa, ed un popolo finalmente compatto.


Nella retorica putinista il disordine viene assimilato al parlamentarismo. Il partito di Putin infatti non partecipa ai dibattiti televisivi, che è come dire che le discussioni sono una gran perdita di tempo e che le decisioni, o le azioni, sono ben altra cosa. Il presidente della Duma, che è pure leader formale di Russia Unita, Boris Grizlov, ha sostenuto che il parlamento non è un luogo per discutere, ma per lavorare. Ricorda il politico e diplomatico spagnolo Donoso Cortez, il quale, nel primo ottocento, definiva la borghesia come la classe che (sa solo) discute (re). Una classe, secondo lui, che, messa di fronte alla scelta fra Gesù e Barabba, invece di decidere dove stia il bene e dove il male, organizza una commissione parlamentare. L’uomo d’azione è, invece, per usare immagini moderne, una specie di Clint Eastwood, naturalmente quello prima maniera, bello, rude, di poche parole e tanti pugni, che sa dove sta il bene e dove il male.


Il potere forte russo si avvia alle elezioni, che ha già politicamente vinto, nel senso che le alternative, comuniste o liberali, sono prive di peso, ma, nonostante questo, cerca l’effetto plebiscitario, che serve a Putin per stravincere con il partito al parlamento durante questo fine settimana. In questo modo, Putin può giustificare la nomina a primo ministro dopo le presidenziali, cui non può più concorrere, perché ha già avuto due mandati. Oppure, se non diventa primo ministro, di guidare la nazione russa, non perché abbia una qualche carica istituzionale, ma perché ha un rapporto speciale, una simbiosi col popolo. Questi rapporti simbiotici fra il leader ed il popolo sono diventati ultimamente di moda. In Italia Veltroni ha un rapporto simbiotico col popolo di sinistra, Berlusconi lo ha con quello delle libertà. Due leader “simbiotici” possono, paradossalmente, fare democrazia, uno solo è molto difficile.


La debolezza di una concentrazione forte come quella putiniana è che non riesce a favorire la crescita di una società civile molto avanzata, fatta di imprese medie e piccole, e di ceti che svolgono attività professionali. In altre parole, il putinismo non incentiva il sorgere di un sistema economico indipendente dalla ricchezza energetica. Le statistiche doganali più recenti mostrano come venga importato pressoché tutto, dai cavoli alle automobili. La Russia ha oggi un potere forte ed è nel complesso molto più ricca di dieci anni fa. Non è però ancora in grado di far vivere bene la gran parte della popolazione.

Essa non sembra aver intrapreso una strada di crescita e di allargamento della ricchezza, una strada, nel caso specifico, di sviluppo dei settori non energetici. Un paese, che esporta solo energia ed importa tutto il resto, può funzionare, se la popolazione è scarsa e i lavori manuali vengono svolti dagli immigrati senza diritti. Ma la Russia non è un Emirato.


L’allargamento e la crescita della ricchezza con a base il lavoro qualificato e non le materie prime, che sono solo dei beni che sgorgano dalle viscere della terra, dove la difficoltà è racchiusa nella tecnologia per estrarli, richiede non solo che vi siano, ma che abbiano voce politica gli imprenditori, i professionisti, gli studenti, gli operai specializzati, ecc. Queste sono persone che di solito preferiscono essere scettiche sui grandi temi. Esse in qualche modo sanno che la vera forza della democrazia è un governo debole (non corrotto ed inefficiente, ma limitato), il solo in grado di liberare le grandi energie che albergano silenti nella società civile.

 



Pubblicato su L'Opinione il 30 novembre 2007