Nelle prossime settimane il parlamento saudita discuterà la proposta di Salim Al Marri, vicepresidente della commissione per le imprese di pubblica utilità, che sostiene che ai sauditi conviene tagliare in parte le forniture di petrolio per conservare le proprie riserve. Secondo Marri “una minor estrazione di petrolio è un buon investimento perché tanto i prezzi saliranno”.


Sembra una stramberia, o almeno così poteva sembrare. C’è un aspetto, l’effetto stock, poco considerato, che spiega il comportamento degli Al Marri. Aspetto che sta emergendo lentamente nelle discussioni tecniche fra economisti. I sauditi sono tentati dal non pompare tutto il petrolio che potrebbero, stanno pensando di lasciarne una parte nei pozzi. Sembra strano, se il consumatore ti offre 130 dollari per un barile, tu produttore dovresti essere tentato dal vendere il tuo barile, non dal tenerlo nel pozzo. Gli “arabi”, potrebbe essere la conclusione, vogliono il disordine mondiale. O, ecco che emerge il fatidico dubbio, seguono un comportamento razionale?
 

Chiamiamo Emirato X, l’Arabia Saudita ed i paesi simili. L’Emirato X, poco popolato, esporta 100 dollari di petrolio ed importa 50 dollari di macchinari dalla Germania, ed investe i restanti 50 dollari in titoli degli Stati Uniti. Non è tentato dal tenere il petrolio nei pozzi. Anche complicando il ragionamento, si vede che gli conviene vendere tutto il petrolio che può. Se le obbligazioni in dollari hanno un rendimento basso e se il dollaro ogni anno si deprezza verso l’euro, l’Emirato X guadagna poco sulla propria ricchezza finanziaria e paga di più i macchinari tedeschi. Se, invece, il prezzo del petrolio sale, allora compra una quota maggiore di titoli di stato statunitensi e quindi ne bilancia il modesto rendimento. Se, invece, il barile sale quanto il dollaro scende verso l’euro, allora importa una quantità costante di macchinari tedeschi. L’Emirato X non è tentato dal tenere il petrolio nei pozzi.
 

E qui arriva il bello. Si passi da un ragionamento di soli “flussi” economico finanziari, ad un ragionamento dove si tiene conto degli “stock”. Ossia della ricchezza accumulata. Se l’Emirato X è molto ricco, se possiede “troppi” titoli di stato statunitensi, potrebbe essere indifferente nella scelta fra il petrolio sotto terra ed il titolo di stato. Se l’Emirato X: 1) prevede che il prezzo del petrolio crescerà quanto il tasso di inflazione; 2) e prevede che il rendimento del titolo di stato gli renderà quando l’inflazione, allora sarà indifferente di fronte alla scelta fra il possedere titoli obbligazionari oppure il petrolio nei pozzi. Ai suoi occhi di finanziere razionale, non a quelli del Mullah che alberga nel suo animo, le due attività, alla fine, si equivalgono. Consideriamo, infine, l’offerta delle due attività, titoli e petrolio. I primi possono essere comprati in quantità smisurata. Il secondo prima o poi finisce. Se l’Emirato X sa che sotto la sua terra c’è meno petrolio di quanto si pensi, e se è già ricco, come minimo diventa indifferente a quale attività preferire, come massimo preferisce il petrolio, che potrebbe registrare una crescita del proprio prezzo superiore al tasso di inflazione. Dunque lo tiene sotto terra.
 

Se il prezzo del petrolio non scenderà molto, si assisterà ad una campagna in cui si affermerà che “gli arabi” non vogliono la stabilità economica, con gioia dei “petrolieri avidi”. Ragionamenti che possono diventare pericolosi, perché si finisce per demonizzare un comportamento economicamente razionale, quando sarebbe meglio comprare automobili che consumano poco e prendere il treno.
 

Pubblicato su L'Opinione il 28 giugno 2008