In una società sempre più alle prese con emergenze sociali come la crescente domanda di servizi da parte delle fasce più povere della società, la crescita e l’invecchiamento della popolazione, i cambiamenti climatici,  la finanza ad impatto può rappresentare una risposta adeguata configurandosi come una forma di finanza alternativa che si pone come obiettivo primario il fine sociale. E’ quanto si auspica il Rapporto internazionale sugli investimenti ad impatto sociale redatto dalla Social Impact Investment Task Force (SIIT),  promossa in ambito G8, con esclusione della Russia, dal Premier Cameron e coordinata da Sir Ronald Cohen, il regista dell’ecosistema della finanza sociale inglese.

Si tratta di una vasta gamma di investimenti in iniziative di imprenditorialità sociale basati sull’assunto che i capitali privati possano intenzionalmente contribuire a creare, in alcuni casi in combinazione con i fondi pubblici, un impatto sociale e ambientale positivo e un rendimento economico non speculativo. La task force è giunta così ad una conclusione impegnativa: “è possibile riorientare nei prossimi anni circa 1 trilione di dollari dai mercati tradizionali agli investimenti a impatto sociale, cosicché il "cuore invisibile" dei mercati possa pulsare e migliorare la vita di milioni di persone”.

L’intenzionalità di produrre un impatto sociale è dunque l’elemento che caratterizza l’investitore sociale, che si attende di essere remunerato solo al raggiungimento dei risultati sociali stabiliti. In questo modo si intende favorire la crescita di una nuova generazione di investitori outcome oriented che privilegia il cambiamento effettivo vissuto dai beneficiari. A differenza della più tradizionale impostazione basata sugli output, gli investimenti ad impatto sono quindi costruiti su modelli di misurazione di tale impatto, la cui individuazione pratica si trova nella sua fase iniziale, e resi sostenibili attraverso un legame tra obiettivi di impatto raggiunti, remunerazione del capitale investito e rischio in capo all’investitore.

In sostanza un cambio di paradigma necessario per provare a superare la crisi e orientare il mercato verso processi economici basati su impatti misurabili e socialmente positivi. Sul fronte della spesa pubblica, è indubbio che gli investimenti ad impatto sociale potrebbero contribuire a ridurre il crescente gap tra le risorse pubbliche e i bisogni sociali con la funzione ulteriore di  attrarre capitali privati utili a rafforzare i servizi di welfare e migliorare così l’efficienza e l’efficacia della spesa pubblica. Secondo il Rapporto Istat 2014, sono cinque le aree in cui sarà maggiormente necessario sviluppare servizi per rispondere ai bisogni sociali ed avvicinarsi alla spesa media dell’Unione Europea. Queste aree rappresentano oggi il 20,85% della spesa sociale sostenuta dallo Stato e pari a 165 miliardi di euro.

Il nuovo orientamento della finanza come exit strategy da una lunga fase di recessione,  implica la trasformazione dell’imprenditorialità sociale al fine di favorire l’ingresso del capitale privato nelle imprese sociali seppur con delle limitazioni alla distribuzione degli utili e mantenendo fermi vincoli di missione e di non trasferibilità del patrimonio. Nel rapporto si legge che in Italia accanto alle 768 imprese sociali iscritte nell’apposito registro, possibile accostare altri segmenti di impresa riconducibili nei fatti all’imprenditorialità sociale e altri che potrebbero, in potenza, essere comprese nel novero delle imprese sociali. Ad esempio, esistono 404 imprese che fanno dell’imprenditoria sociale la missione primaria della loro attività; lo stesso vale per le 11.264 cooperative sociali. La maggioranza di queste ultime non ha, ad oggi, adottato la qualifica di impresa sociale ex lege nonostante ne abbiano diritto de facto (e non l''obbligo). Ciò è dovuto al fatto che sono scarsi i vantaggi derivati dall’acquisizione della qualifica, mentre sono numerosi gli adempimenti formali aggiuntivi da rispettare. Infine, ci sono le 88.445 imprese profit che operano nei settori di attività previsti dalla legge n. 155 del 2006 e che potrebbero in parte essere ricondotte nel novero dell''imprenditorialità sociale qualora ne rispettassero anche le altre prerogative di governance e accountability. Il 10 luglio 2014, il Governo italiano ha approvato una legge delega di riforma del terzo Settore e dell’impresa sociale, che, tra i diversi interventi, prevede la revisione dello statuto giuridico dell’impresa sociale.

Si dovrebbe pertanto favorire la creazione di un ecosistema regolamentare orientato ad interventi volti a favorire l’attrazione di capitale verso questo tipo di investimenti, nonché l’individuazione di un’appropriata offerta di capitale per i diversi profili di rischio-rendimento degli investimenti. Al momento nel contesto italiano strumenti altamente innovativi come  Social Impact Bond e i Development Impact Bond, sono del tutto assenti.

Accanto all’offerta di strumenti finanziari tipici il rapporto individua i soggetti potenzialmente attivi nel mercato degli investimenti ad impatto. Tra questi le banche potrebbero attivare il mercato del risparmio retail interessato ad investire secondo una logica impact, che in Italia rappresenta una quota importante del mercato totale degli investimenti. Accanto agli intermediari finanziari tradizionali, le fondazioni bancarie, soggetti non profit, privati ed autonomi, che hanno nella loro missione la dimensione sociale, gestiscono patrimoni di tale entità per cui la giusta combinazione di metriche di misurazione dell’impatto sociale generato, di vantaggi fiscali, insieme ad un’azione di moral suasion, potrebbe creare le condizioni per favorire uno spostamento veloce delle risorse investite da tali soggetti verso una classe di investimenti ad impatto sociale.

In conclusione, a differenza del mercato dell’economia sociale, che ad oggi è stimato intorno a 175 miliardi di euro, per l’economia ad impact investing trovandosi ancora in fase di primo sviluppo risulta complesso quantificarne la portata. In via del tutto prudenziale, ed assumendo come orizzonte temporale il 2013-2020, nel  rapporto si comunque si stima che l’impact investing in Italia possa crescere fino a rappresentare almeno l’1% degli attivi gestiti sul mercato dei capitali al terzo trimestre del 2013, per arrivare nel 2020 ad un mercato potenziale in grado di generare risorse pari a circa 28,9 miliardi.

Il rapporto è consultabile al link: http://www.socialimpactinvestment.org/reports/Rapporto%20Italiano%20Ultima%20versione.pdf