Le ultime battute della crisi greca e le elezioni amministrative spagnole sono l'oggetto del flash. Come mai i mercati finanziari si sono mossi poco?

La Grecia ha un gran debito pubblico in gran parte (80%) detenuto dalla Trojka (Unione Europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale), sul quale paga un interesse ridicolo (intorno al 2%, quanto la Germania paga sul suo). Il problema della Grecia non perciò il debito, ma le sue scadenze. Molte di esse sono concentrate nei prossimi mesi. Sono minuscole, ma la Grecia è una piccola economia per di più disastrata. Le scadenze mensili sono qualche volta pari alla metà del PIL mensile.

Se si ha una concentrazione di scadenze, e se le entrate (e la cassa) dello stato non sono sufficienti, ecco che il governo greco deve scegliere se pagare le pensioni e i dipendenti pubblici, oppure rimborsare il debito. Ovvio che preferisca pagare le pensioni ed i salari. Quindi il governo greco ha ragione. Ma hanno ragione anche i creditori. Solo un programma di risanamento vero e non composto di promesse nebulose può rimettere in carreggiata l'economia greca, che così, nel corso di molti anni, tornerà ad essere in grado di pagare il debito acceso con le Istituzioni (come si chiama adesso la Trojka).

Il compromesso ancora possibile è quello che vede la Trojka rinnovare il debito che va in scadenza (ossia sostituire le obbligazioni scadute con quelle nuove), mentre il governo greco fissa delle riforme credibili e fattibili. E qui si gioca la partita degli ultimi giorni. Ai greci non conviene uscire dall'euro, e all'Europa non conviene una Grecia fuori dall'euro. I primi avrebbero una moneta che vale poco, i secondi vedrebbero rompersi simbolicamente l'idea che l'euro è il veicolo per forzare l'unità politica europea.

In Spagna si sono tenute le elezioni amministrative, quelle politiche si terranno a fine anno. Il partito al governo, il Partito Popolare, è stato ridimensionato. Il secondo partito, il Partito Socialista che è all'opposizione, anche, ma meno del primo. Il terzo partito, di estrema sinistra, è diventato Podemos (“possiamo”). Il quarto partito, di destra liberale, è ora Ciudadanos (“cittadini”). Abbiamo così due partiti di destra, e due di sinistra. I governi locali si potranno fare quasi ovunque solo con alleanze di destra – i Popolari e i Ciudadanos, oppure di sinistra – i Socialisti e i Podemos.

Podemos è una specie di Syriza – l'unione delle sinistre che ha vinto a gennaio in Grecia con Tsipras. Il programma – per quel che valgono i programmi – recita che lo stato deve sia intervenire per creare “posti di lavoro di qualità” sia riprendendo con le nazionalizzazioni il controllo dei settori strategici. Inoltre, le pensioni non saranno più commisurate ai contributi versati, ma alle necessità, e la soglia per avere la pensione è abbassata a 60 anni dai 67 di oggi.

Tutto questo funziona (?), se è cancellato il vincolo al pareggio di bilancio, e, coerentemente, con la banca centrale che deve essere subordinata al potere politico. Ossia, la banca centrale, che resta nel programma di Podemos la banca centrale europea, finanzia il maggior deficit pubblico, in una economia nazionalizzata. I giudizi scettici che – per le mente sospette - potrebbero sorgere saranno però bilanciati da un'agenzia di rating europea che – per le menti aperte – sarà in grado di spiegare che i rischi sono contenuti.

Semmai questo programma potesse – vinte a fine anno le elezioni – essere messo in atto, avremmo una riedizione della vicenda di Syriza. All'inizio un grande entusiasmo e poi la realtà degli accordi internazionali, dei vincoli di bilancio, e via elencando. Ovvio che, dal punto di vista di un investitore estero, le obbligazioni spagnole, se il programma fosse mai applicato, diventerebbero ben poco attraenti. Per ora i mercati finanziari non sembrano preoccupati, tanto che i Bonos (i titoli decennali del Tesoro di Spagna) hanno un rendimento inferiore al due per cento.