Colpisce della manifestazione di Bologna promossa dalla Lega il programma - più o meno reso esplicito: gli italiani deboli, che sono maggioranza, vanno difesi a tutti i costi. E, alla fine, vanno difesi con l'intervento pubblico. Il quale ultimo di conseguenza si allarga. Non si capisce come quest'ultimo possa allargarsi, se non aumentando le imposte. Ma le imposte non le si vogliono aumentare.

 

Cresce perciò con l'intervento allargato e con la stessa base imponibile il deficit dello stato e quindi il debito pubblico. Il debito pubblico crescente va sottoscritto, già ma da chi? E qui il discorso diventa intricato. C'è chi propone che gli italiani comperino il proprio debito come i Giapponesi, e che, per incentivarli a farlo, si offrirebbe un sovra rendimento “patriottico”, c'è chi pensa che debba provvedere la Banca d'Italia che lo sottoscrive senza fiatare. A ben guardare, la nazionalizzazione del debito insieme alla sottomissione al potere politico della banca centrale. Possono sembrare delle proposte grottesche. Ma se appena torniamo indietro nel tempo le troviamo in bella mostra.

Una volta il debito pubblico era detenuto dalle banche italiane. Esso era facilmente governabile, perché le banche erano in gran parte pubbliche. Poi, il debito pubblico è passato nelle mani delle famiglie. Esso era di nuovo facilmente governabile, perché in cambio di rendimenti molto elevati, queste lo sottoscrivevano. Insomma, si aveva un meccanismo di consenso abbastanza semplice. La politica governava il deficit e quindi il debito prima attraverso le “sue” banche e poi attraverso gli alti rendimenti. In questo modo non si poteva formare un giudizio di merito sul debito italiano. Nel primo caso gli investitori erano “catturati”, nel secondo “sedotti”. In breve, il Principe non faceva molta fatica per riceve il consenso degli elettori. Il debito si sarebbe poi scaricato sui “non nati”, che non votano.

Arriva però in Italia, alla fine e per fortuna, il momento del “mercato”. Nella doppia direzione degli italiani che possono investire all'estero, e dell'estero che può investire in Italia. I giudizi di merito si possono dunque formare. Qual è – per esempio - il premio – il maggior rendimento richiesto - per detenere il debito italiano rispetto a quello tedesco? E via andando. In breve, il Principe doveva adesso convincere gli italiani e i non italiani che il suo debito era sottoscrivibile. Cambia la natura del rapporto: il Principe prima non faceva fatica, il Principe adesso s'affatica. Nel primo caso il Principe non doveva convincere nessuno intorno alla tenuta del debito (la coerenza inter temporale delle politiche economiche), nel secondo, invece, deve farlo.

Insomma e in conclusione, le proposte di Bologna sono “iper-politiciste”, perché mettono la politica al centro della scena. Non si hanno contrappesi. I politici possono tornare ad essere i Sacerdoti che si occupano del benessere altrui, e, in particolare, dei più deboli.

Vincessero queste proposte le prossime elezioni, le cose non prenderebbero una gran piega. Per non far vincere queste proposte si deve però avere del consenso. Il quale consenso in qualche modo deve catturare l'elettorato che vuole protezione. Protezione delle pensioni di anzianità, protezione dalle imposte sulla casa, e via andando. Il bilancio pubblico non migliora – o migliora meno – proprio perché è usato per evitare il peggio.

Il bilancio pubblico che migliora meno non è una vicenda di cui ci si possa disinteressare. Se ci fosse di nuovo una crisi, se si rialzassero i rendimenti (e quindi il costo) del debito pubblico una volta che politiche monetarie ultra espansive di Draghi finissero, eccetera, si dovrebbe agire per contenere i danni partendo da una condizione di debolezza – una riesumazione di quanto accadde nel 2011 con Monti. La maggiore debolezza per affrontare una eventuale crisi porterebbe subito acqua al mulino degli “iper-politicisti”, che non è detto che appoggerebbero di nuovo un governo detto “tecnico”, specie dopo un decennio di crisi.

Una vicenda non dissimile si era avuta lo scorso anno ai tempi delle elezioni europee:

http://www.linkiesta.it/it/article/2014/05/25/il-voto-europeo-e-il-mito-della-spesa-pubblica/21396/