Rieccoci con la rubrica dove ragioniamo sulle maggiori notizie. Questa settimana gli argomenti maggiori sono: 1) le elezioni spagnole e il confronto con l'Italia, 2) lo scetticismo degli investitori sulla borsa statunitense, 3) le complessità degli andamenti del petrolio, 4) in allegato: i conti comparati di Spagna e Italia.

 

Dalla Spagna all'Italia

In Spagna non esiste un vero premio di maggioranza – esso è risicato perché si forma solo nei piccoli collegi e non a livello nazionale - e non c'è il doppio turno. Se nessun partito riesce a vincere le elezioni, come è avvenuto con le ultime dell'anno scorso celebrate appena a dicembre, ecco che, se non si riesce subito a formare una coalizione, il sistema si blocca e bisogna tornare a votare di nuovo. (Con un secondo turno i partiti debbono trovare un accordo in poco tempo, oppure gli elettori scegliere un nuovo partito, senza doppio turno, invece, i tempi si allungano fino a diventare un impedimento veloce per trovare una maggioranza).

In Spagna si tornerà a votare a fine giugno, appena sei mesi dopo le elezioni precedenti. Una nuova maggioranza si potrebbe formare con un partito che prevale e che impone ad un secondo partito un'alleanza. Abbiamo quattro partiti maggiori, nell'ordine: Partito Popolare con meno del 30% dei voti, il Partito Socialista col 22% dei voti, Podemos col 20% dei voti, e Ciudadanos, con meno del 15% dei voti. I seggi sono poco diversi dai voti ottenuti perché il premio di maggioranza, come abbiamo detto, è risicato, e quindi le coalizioni potenziali - anche dopo le prossime elezioni - sono tre: la “Grande Coalizione” dei Popolari e dei Socialisti, la “Coalizione di Sinistra” dei Socialisti e di Podemos, la “Coalizione di Centro” fra Popolari e Ciudadanos.

In Spagna in questi ultimi mesi – nonostante l'assenza di un governo che non sbrigasse solo gli affari correnti - non è accaduto niente – s'intende sotto il profilo finanziario. Il Bonos rende meno del 2%. L'effetto della politica monetaria della Banca Centrale Europea che compra i titoli di stato ha avuto certamente un effetto.

La Spagna fa pensare a quel che potrebbe accadere in Italia. Se alle amministrative di giugno ci fossero – come è possibile – delle maggioranze diverse da quelle di governo, e se al Referendum di ottobre (1) ci fosse una maggioranza – come è possibile - diversa da quella di governo, che cosa accadrebbe? Renzi resterebbe, oppure si andrebbe alle elezioni con la nuova legge elettorale (2), quella che prevede un enorme premio di maggioranza per chi arrivasse al secondo turno anche con pochi voti? Per chiudere con la riflessione comparata, in Italia non ci sarebbe il “tira e molla” spagnolo grazie al premio di maggioranza anche per una minoranza, ma non si avrebbe, a differenza della Spagna, la quasi garanzia che al governo possa andare solo chi ha una cultura di governo. Difficile che si possa andare a nuove elezioni con la nuova legge elettorale, se Renzi perdesse il Referendum. Quest'ultima, infatti, non prevede il "bicameralismo perfetto". Se il referendum lo mantenesse (ossia, se invecessero i "no"), la legge elettorale dovrebbe venir riscritta. Da qui il dilemma di Berlusconi: spingere per il "si" al Referendum - e quindi sposare il "bipolarismo", ossia due partiti centristi che si contendono il voto, rafforzando di fatto Renzi, oppure spingere per il "no", e quindi dare un colpo tremendo al bipolarismo, un suo vecchio programma, indebolendo Renzi?

1 - https://it.wikipedia.org/wiki/Referendum_costituzionale_del_2016_in_Italia-

2 - https://it.wikipedia.org/wiki/Legge_elettorale_italiana_del_2015

 

Lo scetticismo degli investitori ex corporations

La settimana scorsa avevamo visto che negli Stati Uniti il cash flow e il nuovo debito piuttosto che finanziare gli investimenti reali finiscono nell'acquisto di azioni e nella distribuzione dei dividendi. Riducendosi il numero di azioni cresce – a parità di profitti - il profitto per azione (EPS=Earning per share). Le azioni paiono così meno care. Come stanno reagendo gli investitori, si sono accorti che è in opera un meccanismo che “forza” il mercato in una direzione ascendente basata sul debito (e sul suo costo “schiacciato”) piuttosto che sul miglioramento dei conti aziendali? Nel caso dei clienti della Bank of America–Merryl Lynch tutti vendono salvo le imprese che comprano le proprie azioni. Inoltre le vendite “scoperte”, quelle per le quali si guadagna se i prezzi scendono, sono ai massimi dal 2009 (3).

3 - http://www.bloomberg.com/news/articles/2016-05-03/these-six-charts-show-investors-don-t-have-faith-in-u-s-stocks

 

Le complessità dell'andamento del petrolio

Si ha una forte relazione fra l'andamento del petrolio e le borse. Una relazione crescente, come mostra il primo grafico del Fondo Monetario (4). Ci si poteva aspettare un andamento opposto: se scende il costo della materia prima, chi la usa guadagna di più. Eppure... Fra le tante ragioni che spingono in una direzione contro-intuitiva – prezzo del petrolio giù, economie mondiali mosce, e borse altrettanto (5) - qui preme sottolineare quella fra prezzo del petrolio e l'andamento dell'inflazione che “spiazza” la politica monetaria espansiva, così preme sottolineare come il debito legato al petrolio “spiazzi” anche una politica monetaria restrittiva.

L'inflazione ex petrolio poniamo che sia al 1%, e poniamo che il petrolio in caduta la porti - quindi l'inflazione cum petrolio - allo 0%. Se la media del tasso di interesse nominale praticato dalla banca centrale e i rendimenti nominali decennali è del 1%, allora il tasso reale al netto dell'inflazione cum petrolio diventa del 1% (1%-0%=1%). Quando la media del tasso di interesse nominale praticato dalla banca centrale e i rendimenti nominali decennali era del 3% e l'inflazione (cum petrolio) era del 2%, quindi non molto tempo fa, si aveva un tasso reale come quello di oggi (3%-2%=1%). Ergo la politica monetaria è "nominalmente" espansiva, ma in termini "reali" non lo è. Perciò il prezzo del petrolio basso "spiazza" la politica monetaria espansiva.

Si ha poi l'effetto dell'esposizione creditizia ed obbligazionaria dei Petro-paesi e di molte compagnie petrolifere, che, pur di pagare gli interessi e le cedole per non finire in default, non possono che seguire la corsa dei prezzi bassi pur di avere dei ricavi sufficienti. Quindi concorrono - insieme al vincolo dei Petro-stati di finanziare quasi ad ogni costo lo stato sociale - a tenere alta la produzione per avere dei ricavi e quindi a tenere in basso i prezzi. Il timore che possa crearsi una crisi finanziaria nei Petro-stati e nelle compagnie petrolifere inibisce la banca centrale statunitense dall'alzare i tassi. Ergo la politica monetaria, se volesse diventare più restrittiva, rischierebbe di mettere in crisi il sistema finanziario. Perciò il prezzo del petrolio basso "spiazza" anche la politica monetaria restrittiva.

4 - https://blog-imfdirect.imf.org/2016/03/24/oil-prices-and-the-global-economy-its-complicated/

5 - http://www.centroeinaudi.it/le-voci-del-centro/send/2-le-voci-del-centro/871-perch%C3%A9-il-petrolio-a-buon-mercato-non-ci-ha-restituito-il-sorriso.html

 

Allegato: i conti comparati di Spagna e Italia

Si hanno deficit correnti elevati in rapporto al PIL – la prima tabella (DC). Allo stesso tempo il deficit primario in rapporto al PIL – quello che si ha prima del pagamento degli interessi – per di più corretto per gli effetti del ciclo – ossia quello che si avrebbe in assenza di crisi – non è sufficientemente elevato. Il deficit primario corretto per gli effetti della crisi (DPCC) è la seconda tabella. Messa in rapporto all'Euro-zona e messa in rapporto all'Italia, la Spagna non è proprio un modello di virtù fiscale (come la Francia). Anzi, durante la crisi si è potuta permettere dei deficit simili a quelli statunitensi e britannici.

 

DC 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017
E-zona -6,3 -6,2 -4,2 -3,7 -3 -2,6 -2 -1,9 -1,5
Spagna -11 -9,4 -9,5 -10,4 -6,9 -5,9 -4,5 -3,4 -3,5
Italia -5,3 -4,2 -3,5 -2,9 -2,9 -3 -2,6 -2,7 -1,6

Fonte: IMF, Fiscal Monitor, Aprile 2016

DPCC 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017
E-zona -2,2 -2,4 -2,1 0,1 1,1 1,1 1,1 0,8 0,8
Spagna -9,1 -6,7 -5,2 -1,2 0 0,4 0,3 0,5 0,6
Italia 0,4 0,4 1,1 3,3 3,5 3,4 3 2,6 3

Fonte: IMF, Fiscal Monitor, Aprile 2016