Si dibatte se la banca centrale statunitense (FED) stringerà e quanto la politica monetaria, così come si dibatte – ma meno appassionatamente - dei tempi del percorso che la banca centrale europea (BCE) prima o poi dovrà seguire. In breve, di quanto saranno alzati i tassi e semmai si venderanno i titoli che hanno in portafoglio. L'interpretazione di queste complesse questioni ha mosso la curva dei redimenti, schiacciando lo spread fra i titoli a lunga e a breve, ed ha mosso all'ingiù il cambio del dollaro. Insomma, trattasi di argomento piuttosto importante.

Una volta si osservava una relazione fra la ripresa economica e la crescita dei salari, con questi ultimi che salivano man mano che il tasso di disoccupazione scendeva. La banca centrale di fronte alla prospettiva di una ripresa dell'inflazione, che iniziava a manifestarsi con il proseguimento della ripresa, alzava i tassi con cui finanziava il sistema del credito ordinario. Il rialzo dei tassi si estendeva alle famiglie ed alle imprese e quindi frenava la crescita della ripresa, e quindi dell'inflazione. Oggi si ha un'inflazione che con fatica arriva al due per cento, una crescita dei salari stabile appena sopra il due per cento, nonostante una notevole discesa della disoccupazione, quella che esclude chi ha rinunciato del tutto a cercare lavoro. E allora perché alzare i tassi preventivamente? Non è forse meglio aspettare che l'inflazione si manifesti per poi di fronte all'evidenza agire?

Il dilemma è questo: il rialzo dei tassi (ed eventualmente la vendita dei titoli) sarà il cappio al collo della ripresa prima e della crescita poi? Questo è il dilemma oggi solo della FED, ma domani della BCE. Messo mai che la FED decida in prima battuta di alzare i tassi per ragioni - diciamo - macroeconomiche (ossia impedire in anticipo all'inflazione di rinvigorirsi), essa dovrebbe subito dopo allargare il campo dell'analisi. Tralasciamo qui la discussione se è il caso o meno di vendere i titoli obbligazioni del Tesoro e dei privati e concentriamoci sul problema del debito.

Abbiamo, infatti, il problema del debito delle imprese quotate che è eccessivo (il debito netto è oggi pari a poco più di due volte il margine lordo, contro poco di una volta come era prima della crisi iniziata dieci anni fa). L'incremento del debito delle imprese quotate è stato negli ultimi dieci anni pari a otto trilioni di dollari, mentre gli aumenti del capitale al netto dei dividendi distribuiti e delle azioni proprie comprate è stato negativo per tre trilioni di dollari. Insomma il mercato azionario non finanzia più le imprese, come avveniva fino a prima della crisi iniziata dieci anni fa. Queste ultime si rivolgono nella ricerca di risorse che vadano oltre a quelle generate internamente al mercato obbligazionario ed sistema del credito. Un rialzo del tassi metterebbe in difficoltà le imprese, che dovrebbero pagare di più il debito con le banche e quello verso gli obbligazionisti, e, forse, non comprerebbero più copiosamente le azioni proprie. Avremmo così, fra le molte cose negative, anche una debolezza del fronte azionario.

Insomma, i problemi della politica monetaria negli Stati Uniti non sono concentrati solo nell'ambito dell'inflazione e dei salari.

Approfondimenti:

i tassi attesi della FED sono ormai da molti anni maggiori di quelli attesi dai mercati e questi ultimi hanno finora avuto ragione: https://www.washingtonpost.com/news/wonk/wp/2017/06/14/larry-summers-5-reasons-why-the-fed-may-be-making-a-mistake/?utm_term=.13d081a50be2; se però il “premio a termine” fosse negativo quanto appena detto non è sarebbe del tutto vero: https://www.ft.com/content/fa4e9a69-b4ac-3e72-913d-7a2fad04b867;

come che sia il dibattito tecnico, è sbagliato alzare i tassi oggi: https://www.ft.com/content/4ed3efa6-54ff-11e7-80b6-9bfa4c1f83d2;

resta in opera l'effetto del comportamento asimmetrico della politica monetaria, che, alla fine, alimenta le distorsioni: http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/4660-ifigenia-fra-bolle-e-stagnazione.html; quella dei mercati finanziari si è accentuata da qualche tempo: http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/4681-asset-allocation-aprile-2017.html; l'effetto di queste politiche ha provocato una rottura della meccanica della protezione dei portafoglio: http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/4546-il-punto-sui-mercati-come-uscirne.html;

segue che è molto difficile per le banche centrali cambiare direzione non solo nel campo dei tassi, ma anche in quello della riduzione dello stock dei titoli accumulati: http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/4675-quando-le-banche-centrali-dimagriscono.html; dietro il dilemma del rialzo dei tassi abbiamo la questione della stagnazione secolare, ecco gli scritti del guru della medesima: http://larrysummers.com/category/secular-stagnation/; e sull'argomento: http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/ricerche/4593-stagnazione-secolare-e-mercati-finanziari.html;

il rialzo dei tassi e la vendita dei titoli obbligazionari detenuti dalla banca centrale hanno un effetto depressivo sul bilancio pubblico tanto maggiore è il debito di partenza, tanto minore è la sua durata, e tanto minore è la crescita attesa. L'effetto depressivo è legato ai maggiori interessi che si debbono offrire per la sottoscrizione del debito in scadenza. I maggiori interessi spingono a tagliare le voci dinamiche della spesa pubblica, come quella per investimenti. Sulla vita media del debito: http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/ricerche/4699-la-vita-media-del-debito-pubblico.html; sul calcolo del valore attuale del debito: http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/ricerche/4438-il-debito-pubblico-futuro.html;