Un gruppo di economisti franco-tedeschi si è riunito per definire le grandi linee di una Unione Europea riformata (§1). Rileva ricordare: 1) la costruzione europea è sempre andata avanti per crisi e strappi (§2), ciò che è avvenuto entro una modalità politica definita (§3), le divergenze di fondo fra Francia e Germania sono “strutturali” e quindi “non negoziabili” (§4-1), ma la Germania potrebbe “addolcirsi” per evitare una eventuale crisi maggiore (§4-2).

1 - Ecco i punti affrontati nell'incontro franco-tedesco e il loro commento

http://www.linkiesta.it/it/article/2018/02/06/leuropa-della-proposta-franco-tedesca-litalia-ce-la-puo-fare-pagandola/37031/

2 - L'Unione Europea: di crisi in crisi

Si può sostenere che l'Unione Europea sia sempre cresciuta per crisi successive. Tutto sembrava ormai finito, ma poi tutto ripartiva. Dopo la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA) – evento epocale sorto subito dopo la Seconda Guerra, si provò con la Comunità Europea di Difesa (CED). Questa nel 1954 fu bocciata dai francesi – allora (?) gelosi della propria proiezione militare e imperiale, ma ecco che pochi anni dopo si passò alla Comunità Economica Europea (CEE), sorta con i Trattati di Roma del 1958. Nel 1965 la Francia – per non essere imbrigliata da Bruxelles, praticò la “politica della sedia vuota”, non presentandosi alle riunioni. Si trovò una soluzione l'anno dopo con l'istituzione del diritto di veto dei singoli Paesi. Negli anni successivi l'amministrazione - soprattutto in campo economico, prese il sopravvento sulla politica attraverso i regolamenti. Da qui il consolidarsi del mercato europeo comune (MEC). In seguito, la caduta del Muro di Berlino diede luogo alla riunificazione della Germania che, a sua volta, diede luogo a due eventi di primaria importanza: la nascita dell'Euro insieme alla primazia della Banca Centrale Europea (BCE). E siamo all'oggi.

Per approfondire: AA.VV. Un futuro da costruire bene, pagine 66-69, e 71-73, Guerini 2017.

3 – Uno mondo noioso senza “duci”

Non si sostiene qui che la politica è stata assente, anzi, essa era dietro le quinte. Dopo la Seconda Guerra, avuta l'esperienza del popolo che si riconosceva direttamente nel leader, con la volontà politica che saltava tutti i pesi e contrappesi della democrazia liberale, si pensò di ricostruire un mondo “noioso”. Un mondo dove i leader – o meglio i “duci” - non c'erano più, e tutto si svolgeva con il ritorno alla democrazia delegata di stampo liberale – Parlamento, Corti Costituzionali, ma con una grande novità: lo “stato sociale”, ossia la combinazione di un sistema liberale classico con l'intervento sociale dello stato. Nel progetto si riconoscevano i cristiano-sociali, i socialdemocratici, ed i liberali. Queste sono le forze che erano e sono ancora al governo in Europa. Torniamo all'oggi. 

Per approfondire: Pamphlet sull'Austerità - Ultima parte

4 – L'asse franco tedesco e l'egemone riluttante 

Ed eccoci all'oggi. L'asse per la costruzione dell'Europa è indubitabilmente quello franco tedesco. Abbiamo due nodi da discutere: 1) è davvero possibile un accordo fra questi due Paesi, 2) è nell'interesse tedesco uscire dalla combinazione “austerità / mercantilismo” che caratterizza la sua politica.

4 – 1 - Le diversità franco tedesche

La contrapposizione fra l'“austerità” - voluta dalla Germania, e, in generale, dai Paesi del Nord - e la “flessibilità” - voluta dalla Francia, e, in generale, dai Paesi Latini - non è sorta durante la crisi recente. Essa – nello specifico della contrapposizione nel campo della politica economica fra Francia e Germania - ha origine nel lontano Secondo Dopoguerra, come elaborazione della tragedia che si era appena conclusa. La sua lontana origine ne ha nascosto la portata durante i primi tre decenni di euforia dopo la guerra – i cosiddetti “Trenta Gloriosi”. Anche a seguito degli accordi di Maastricht – quelli sui vincoli di deficit e di debito - la contrapposizione non si è palesata, perché non stava accadendo nulla di grave, mentre essa è emersa con la crisi finanziaria, più precisamente con la vicenda greca.

Prima della Seconda Guerra, e per tutto il secolo precedente, la Francia era stata - nonostante la tradizione “super-centralista” - un Paese “mercatista”. Prima della Seconda Guerra, e per tutto il secolo precedente con la forzatura “ultra-dirigista” nel periodo nazista, la Germania era stato un Paese “dirigista”.

Oggi è il contrario. Perché? Si fanno queste ipotesi:

La sconfitta nella seconda guerra spinge i francesi nella direzione dell'intervento pubblico, quindi verso il “dirigismo”. Quest'ultimo era visto come il demiurgo di uno stato forte, a sua volta concepito come uno strumento per non perdere più le guerre con la Germania (ben tre in meno di un secolo: 1870, 1914, 1940).

Al contrario, la sconfitta totale del Nazismo spinge i tedeschi verso la delimitazione dell'intervento pubblico. L'esperienza li spinge verso il “mercatismo” per impedire la formazione di uno stato forte, che, nel caso tedesco, era diventato “totalitario”. Nel caso tedesco, il “mercatismo” assume la forma dell'“Ordoliberalismus” - laddove lo stato decide le regole della competizione “vera” e interviene solo a favore dei bisognosi.

Proviamo ora ad elencare i punti che esprimono il punto di vista francese, e, per confronto, quello tedesco. Come si vede, si possono riconoscere molte delle tesi che sono sostenute anche in Italia, laddove si hanno sia quelle di sapore francese - la norma con i governi “politici”, sia quelle di sapore tedesco - la norma con i governi “tecnici”. Come si vede ancora, questi opposti punti vista hanno caratterizzato lo scontro politico ed economico degli ultimi anni:

Francia - le regole sono soggette al processo politico e possono essere rinegoziate. Germania - le regole “sono regole”: se si sa che sono negoziabili nessuno le rispetterà fin dall'inizio. Francia - dal punto precedente emerge che le crisi vanno gestite con flessibilità. Germania - se si immagina che la flessibilità possa palesarsi, ecco che le regole non saranno rispettate.

Francia – limitare la libertà di movimento dei governi – per esempio l'indebitarsi - è antidemocratico. Germania – forse è antidemocratico non indebitarsi rispetto alle generazioni in vita, ma è certamente antidemocratico indebitarsi quando il costo sarà scaricato sulle generazioni future che oggi non votano e quindi non sono rappresentate.

Francia – la politica monetaria non può avere come obiettivo la stabilità dei prezzi, perché deve tener conto della crescita. Germania – non è compito della politica monetaria stimolare la crescita, il compito è quello di garantire un quadro di certezze, come l'assenza di inflazione.

Francia – se un Paese è in deficit con l'estero e l'altro è in surplus, il secondo deve espandere la domanda per importare le merci del primo per ottenere un pareggio. Germania – il deficit dipende da una carenza di competitività. Il sistema diventa più efficiente se non si aiutano i meno competitivi a sopravvivere.

Francia – degli equilibri multipli sono possibili, ma non tutti sono accettabili. Un rendimento ingiustificatamente elevato di un'obbligazione del Tesoro, se lasciato sedimentare “perché il mercato lo vuole”, può inibire la crescita di un Paese, che si trova, alla fine, costretto a pagare molto il proprio debito a danno, per esempio, degli investimenti pubblici. Germania – a guardare troppo il presente – nel caso un elevato e ingiustificato rendimento richiesto per sottoscrivere il debito pubblico – si perde di vista il futuro. Il futuro deve emergere come “coscienza” dei mercati, come una responsabilità, e dunque non come il frutto degli interventi delle autorità.

Per approfondire: http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/4698-quale-accordo-fra-francia-e-germania.html; http://www.centroeinaudi.it/le-voci-del-centro/send/2-le-voci-del-centro/1370-l-ue-e-le-spinte-economiche-dei-diversi-stati.html

4 – 2 – Dell'evitare crisi peggiori

Messa nei termini degli ultimi capoversi sembra che un accordo strategico fra Francia e Germania sia impossibile. Eppure... si può argomentare che “per evitare il peggio”, ossia una crisi dell'Euro zona che trascinerebbe anche la Germania, quest'ultima possa cambiare approccio. L'approccio da cambiare è quello dell'”egemone riluttante”, ossia un Paese incapace di una proiezione “imperiale”.

La Germania è trainata dalle esportazioni verso il resto del Mondo, mentre i Paesi dell'Est Europa sono trainati dalle esportazioni verso la Germania. Al contrario, i Paesi del Sud sono trainati - o meglio non sono più trainati come in passato - dai consumi interni. L'austerità non crea perciò tensioni nei Paesi esportatori, che crescono, ma li può creare nei Paesi centrati sul consumo interno, come la Francia, l'Italia, e la Spagna, che crescono poco.

Anche se nell'euro zona si generasse una crescita sufficiente per evitare le tensioni maggiori, il Populismo, che rimane vivo e vegeto, potrebbe spingere verso una sorta di referendum sull'euro in stile Brexit. Se le cose andassero così, ossia con un Brexit in salsa gallica, ed italica, l'Europa rimarrebbe con due tipologie di Paesi: quelli dell'Europa settentrionale e orientale, che rimarrebbero nell'euro, e quelli del sud o mediterranei che sarebbero spinti ad adottare un nuova moneta.

Una siffatta divisione sarebbe dirompente. Non appena gli investitori iniziassero a temere una svalutazione dell'euro del sud, le attività denominate in euro del nord diventerebbero immediatamente più attraenti. I sistemi bancari dei paesi dell'euro del sud imploderebbero per la fuga di capitali. L'inondazione di capitali nell'Europa centrale farebbe aumentare il valore dell'euro del nord, danneggiandone le esportazioni.

Stabilizzatosi l'euro del sud a un tasso di cambio più basso, gli investitori dei Paesi dell'euro del sud vorranno i titoli di stato dell'euro del nord come assicurazione contro un ulteriore deprezzamento della propria moneta. Come copertura contro un'ulteriore svalutazione, gli investitori di euro del sud sarebbero disposti ad accettare dei rendimenti molto bassi sulle loro attività in euro del nord, così come oggigiorno gli investitori europei detengono attività svizzere a basso interesse e i Paesi asiatici detengono buoni del Tesoro statunitensi a basso rendimento.

I Paesi dell'euro del nord potrebbero a loro volta investire i proventi delle vendite delle loro attività “sicure” all'estero andando alla ricerca di rendimenti più elevati, ciò che avverrebbe comprando delle attività estere. Per ottenere questi maggiori rendimenti sugli investimenti esteri, i paesi dell'euro del nord correrebbero il rischio che i loro investimenti esteri possano perdere valore a causa di uno shock valutario o di altre crisi. Perciò i Paesi dell'euro del nord resisterebbero a un simile accumulo di attività esterne, lasciando la loro valuta apprezzarsi, almeno fino a quando ciò non generi un impatto significativo sulle loro esportazioni.

La minaccia della Francia e/o dell'Italia di lasciare l'euro potrebbe spingere la Germania e i suoi alleati ad accettare una condivisione dei rischi all'interno per evitare qualsiasi uscita, ciò che avverrebbe con l'emissione di un debito comune, e/o una combinazione di svalutazioni su larga scala del debito, e/o di politiche fiscali espansive.

Ciò richiederebbe uno spostamento politico da parte dei tedeschi, che hanno puntato sull'austerità. Se però il governo tedesco non facesse nulla in questa direzione i referendum sull'euro zona diverrebbero più probabili.

Se siffatti referendum prendessero piede in Francia e/o in Italia, il risultato non avrebbe importanza, poiché il semplice annuncio di tale voto spingerebbe gli investitori a spostare i loro depositi dalle banche del paese referendario - e possibilmente da ogni altro stato periferico dell'UE - nelle banche in Germania e negli altri stati europei centrali per proteggersi dalla svalutazione.

La Germania si troverebbe quindi di fronte a una scelta insidiosa: il cosiddetto dilemma dell'egemonismo riluttante. Potrebbe imparare a far fronte a una valuta sopravvalutata emettendo in gran quantità del nuovo debito sovrano (via deficit di bilancio) per assorbire la domanda estera delle sue attività. Attualmente vi è una carenza di debito sovrano tedesco, sia perché il paese ha un bilancio dello stato in leggero surplus sia perché la BCE sta acquistando una buona parte parte del debito pubblico tedesco disponibile nel suo programma di allentamento quantitativo.

Insomma, alla Germania conviene abbandonare l'austerità (intesa come bilanci pubblici sempre o quasi in pareggio) e il mercantilismo (inteso come crescita trainata dalle esportazioni) non per “generosità” verso gli altri Paesi, ma come calcolo per non “finire in un angolo”. La Germania per evitare il peggio dovrebbe cercare di avere dei bilanci pubblici in disavanzo volti ad emettere in quantità obbligazioni allo scopo di evitare un eccesso di rendimenti bassi o negativi dovuti all'esplosione della domanda estera di attività sicure a fronte di un'offerta limitata.

Per approfondire: http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/4842-la-germania-fra-svizzera-e-stati-uniti.html; http://www.limesonline.com/cartaceo/la-germania-rischia-di-implodere