La settimana era incominciata con una flessione anche marcata dei corsi delle azioni (e del petrolio). Poi i mercati azionari sono saliti (e anche il prezzo del petrolio). I rendimenti delle obbligazioni però sono scesi. Si ha una divaricazione fra gli ottimisti (l’industria finanziaria) e gli scettici (le banche centrali, i fondi pensione). Proviamo a esporre i punti di vista.

Il petrolio e le scorte


Negli ultimi anni si aspettava – con trepidazione – di conoscere il dato relativo alle scorte di petrolio. Se le scorte erano alte, il prezzo scendeva; se basse, saliva. La logica economica sottostante era che, se le scorte fossero state elevate, allora la domanda di petrolio sarebbe stata meno tesa; e viceversa. Il prezzo scendeva; e viceversa. Negli ultimi tempi le scorte sono salite e il prezzo è salito: un fatto anomalo, come il mostra il grafico. Attenzione, nel grafico la variazione annuale delle scorte è – nella scala di destra – invertita proprio per mostrare «visivamente» la relazione. Ci sono evidentemente altre componenti in gioco. I cinesi che accumulano scorte, indipendentemente da quelle statunitensi? Forse. Resta il fatto che il petrolio ha, da qualche mese, un comportamento anomalo. La conclusione cui si giunge è che, se le relazioni storiche tornano a prevalere, il prezzo del petrolio dovrebbe scendere. Ecco il grafico:
http://4.bp.blogspot.com/_8rpY5fQK-UQ/So3wnhj2NZI/AAAAAAAAHwE/e5DCKxwGogU/s1600-h/oilvsreserves.png


Le azioni, gli utili attesi e di picco
 

Il prezzo delle azioni è molto elevato rispetto agli utili. Addirittura, se si prendono i risultati societari che tengono conto di tutte le poste ordinarie e straordinarie, sono i più alti nella storia (sic). Dal 1935 fino al 1985 il rapporto prezzo/utile si è mosso da un valore massimo di 20 a un minimo di 7. Dal 1985 al 2007 da un massimo di 40 a un minimo di 20. Sulle ragioni di questo mutamento epocale – di questo salto all’insù (il doppio) nella valutazione delle azioni – sono state scritte biblioteche. Ecco il grafico:
http://www.ritholtz.com/blog/wp-content/uploads/2009/08/20090821.gif  

Che cosa accade se invece di usare i dati puntuali (il grafico, infatti, si ferma con i risultati del primo semestre del 2009), rettificati con le poste straordinarie, usiamo i dati attesi – i risultati del 2009 – con e senza rettifiche delle poste straordinarie? Otteniamo un rapporto prezzo/utile fra 27 (con le rettifiche) e 18 (senza). Una forchetta di numeri che resta comunque nella banda alta. Dal che segue che lo spazio per salire è modesto. I numeri sono ricavati dal sito che elabora le previsioni raccolte a sua volta da Standard & Poor’s:
http://www.decisionpoint.com/TAC/SWENLIN.html 

L’unica giustificazione per comprare oggi le azioni è che gli utili – nel corso del tempo – si muovono sempre in salita. E dunque per ogni caduta si può immaginare un ritorno (quanto meno) al picco precedente. In questo caso si prendono i prezzi correnti e li si mette a confronto con gli utili del picco ultimo noto (metodo di Hussman) – quindi, i prezzi di oggi con gli utili del 2007. Attenzione, quelli del 2007 erano utili ottenuti con i grandi profitti delle banche dalle obbligazioni (successivamente dette) tossiche, e con la domanda sempre in crescita che veniva dalle famiglie (super) indebitate. Se uno pensa che si possa tornare in poco tempo a quei livelli di utile, allora ha ragione a comprare azioni anche a questi prezzi. Altrimenti si torna all’argomentazione precedente, quella che sostiene che i prezzi sono molto elevati. I grafici sui prezzi e gli utili di picco si trovano scorrendo la pagina proposta in precedenza, ma andando in fondo:
http://www.decisionpoint.com/TAC/SWENLIN.html

Riprendiamo il punto del (possibile e veloce) ritorno agli utili di picco. L’ascesa dei corsi delle azioni bancarie non trova – almeno ai nostri occhi – una spiegazione se si prendono i prezzi delle obbligazioni tossiche, ossia le obbligazioni con in pancia i mutui ipotecari, di cui le banche sono grandi detentori. Quelle con in pancia i mutui del 2007 avevano a gennaio un prezzo di 37,5 (quindi, circa un terzo del prezzo alla scadenza, se l’emittente è in grado di pagare completamente – ossia 100 – il debito). Fra marzo e giugno il prezzo è passato a 25. Da giugno è arrivato a 35. Ora però è tornato a 27,5. Non si vede il miglioramento che dovrebbe giustificare l’ascesa dei corsi delle azioni bancarie, che di fatto registra l’«uscita dalla crisi dei mutui». Inoltre, dall’inizio dell’anno a oggi sono fallite – negli Stati Uniti – 81 banche, e secondo alcuni si dovrebbe arrivare a 300. L’attenzione è puntata sui grandi istituti, quelle che ottengono gli utili dal trading, mentre si ignora il settore bancario nel suo complesso. Sui fallimenti:
http://www.calculatedriskblog.com/2009/08/meredith-whitney-300-banks-to-fail.html



Gli scettici non hanno «gettato la spugna»


Leggendo i titoli dei giornali e ascoltando la radio e la televisione, si può arrivare alla conclusione che la crisi è pressoché terminata. Chi scrive ha sentito dire alla radio che Ben Bernanke ha dichiarato che la crisi è terminata. Un falso. Secondo il «Financial Times», Bernanke ha dichiarato che «[The] economic activity “appears to be leveling out both in the US and abroad.” The most dangerous phase of the crisis was now past. But while Mr Bernanke said “we have avoided the worst”, he stopped short of declaring that the crisis was over». Sempre secondo il quotidiano inglese: «Axel Weber, Bundesbank president, has sought to rein in expectations, warning in a German newspaper interview this week that “the economy is not yet standing on its own feet, and the financial markets are still reliant on central bank help”. Other European Central Bank policymakers have also warned that a self-sustaining recovery may take longer to emerge – which also suggested the ECB will be in no rush to reverse the exceptional steps it took to combat the eurozone’s recession».

Se un banchiere centrale dichiara che «abbiamo evitato il peggio», gli viene attribuito di aver dichiarato che «la crisi è finita». C’è la stessa differenza che si ha quando un paziente è «fuori pericolo» oppure è «quasi guarito».
 
Detto dei media, che cosa (si passi l’espressione antropomorfica) «dicono» i mercati? Nel mese di agosto i rendimenti delle obbligazioni sono, nonostante l’ascesa delle azioni, calati. Di solito, se le azioni sono comprate, le obbligazioni sono vendute. Con la ripresa – questo è il ragionamento – gli utili salgono e anche alla fine i dividendi, mentre le cedole sono fisse. I portafogli incorporano una quota maggiore di azioni, e questo avviene con la vendita di una quota di obbligazioni (quindi i rendimenti salgono perché il prezzo – a causa delle vendite – scende, mentre la cedola è fissa). Tutto ciò, in «condizioni normali». Quando poi si registra, proprio come avviene oggi, una massiccia emissione di debito pubblico volto a evitare, attraverso la crescita del deficit, l’avvitamento della domanda, i prezzi delle obbligazioni dovrebbero – a maggior ragione – scendere (i rendimenti salire). Ossia, in condizioni di ripresa i rendimenti dovrebbero salire, e di più dovrebbero farlo in condizioni di ripresa con una massiccia emissione di debito pubblico.
 
Invece, non salgono. L’acquisto di obbligazioni del Tesoro da parte della banca centrale non è in grado da solo di reggere un’uscita «in massa» dalle obbligazioni da parte dei privati e delle altre banche centrali. Quindi qualcuno compra. Non tutti hanno la «memoria corta». La borsa oggi è tornata – dopo il gran balzo – allo stesso livello di dieci anni fa (sic). I fondi pensione spesso non hanno comprato le azioni durante il «rally» o hanno addirittura venduto. Non possono, infatti, permettersi di avere un attivo «ballerino», quando devono erogare pensioni. Se si osservano i flussi dall’estero verso gli Stati Uniti nel mese di giugno, si vede che gli acquisti sono essenzialmente rivolti alle obbligazioni e solo in misura minima alle azioni. Si arguisce che le banche centrali asiatiche hanno continuato a comprare il debito statunitense.



Conclusioni


Il mercato azionario statunitense – che guida gli altri perché è quello che di gran lunga produce il maggior numero di informazioni – da maggio a metà luglio è rimasto immoto. Poi è esploso sui risultati del secondo trimestre, valutati migliori delle attese (attenzione: gli utili sono stati migliori, non i fatturati e neppure le «linee guida»). Si stava spegnendo agli inizi della settimana scorsa, quindi a metà agosto, e poi, all’improvviso, è salito.


Quali nuove informazioni possono portarlo ancora più in alto? Gli utili attesi per il terzo trimestre 2009 indicano una flessione del 22% sul terzo trimestre del 2008. La flessione massima si ha nel settore energetico e chimico: –70%. L’unico (sic) settore che dovrebbe registrare utili in ascesa – a parte quello dei consumi discrezionali, che dovrebbe presentare risultati migliori in misura minima, +3% – è quello finanziario. Il quale dovrebbe mostrare utili del 600% circa superiori a quelli del terzo trimestre dell’anno precedente. Vedremo come li farà, dal momento che i cattivi crediti stanno montando. Soltanto con il trading? A ottobre si vedrà. 


Chissà se il terzo trimestre partirà, come il primo e il secondo, con una grande banca «miracolata» – una di quelle in procinto di «saltare» solo pochi mesi prima – che dichiara risultati formidabili. Intanto che la borsa sale – con pochi volumi – gli scettici comprano le obbligazioni del Tesoro. Alla fine sapremo chi avrà ragione.