Gli accadimenti del secondo semestre del 2011 sono ancora vivi nella memoria dei governanti di allora, ma anche degli investitori, ed entrambi sono alla ricerca di risposte. E' frequente la tendenza in ognuno di noi a ricorrere a spiegazioni astratte di fronte ad eventi complessi, Come nell’antichità l’uomo cadeva in prostrazione di fronte a fenomeni naturali inspiegabili e travolgenti - pensiamo all’effetto delle eclissi di sole che ancora oggi è fonte di turbamento. Non pensiamo che la ragione debba o possa sconfiggere la capacità di stupirsi e spaventarsi di fronte a situazioni improvvisamente inspiegate. Per quanto riguarda questo specifico fenomeno - la crisi del debito italiano dell’estate 2011, che ha portato alla ribalta lo spread - è possibile introdurre un paio di elementi tecnici che provino a dare un pò di forma agli eventi.

L’idea di un attacco al debito italiano con vendite innescate dalle banche tedesche su indicazione della Bundesbank è sostanzialmente vera ma è innescata da fenomeni alimentati nel corso degli ultimi anni che si sono scaricati improvvisamente ma non inspiegabilmente:

1) la crescita dei debiti pubblici dell’area euro ha messo in competizione gli emittenti governativi e quindi ha obbligato i grandi detentori di debito pubblico (banche e istituzioni) a ridurre il peso sul debito pubblico italiano, storicamente elevato ma precedentemente isolato e non pressato dagli altri debiti. Se si ragiona in termini di investitori passivi, coloro che replicano nei loro portafogli il peso del debito in circolazione, significa che, fatto 100 il portafoglio, se il debito tedesco e francese aumenta di peso rispetto a quello italiano ciò comporta una riduzione forzata (e quindi la vendita) della parte di debito italiana diventata eccessiva, a prescindere dalla sua appetibilità.

2) i vincoli regolatori svolgono anche loro una parte rilevante nella dinamica dell’estate 2011. Standar&Poors declassa l’Italia a settembre ma già prima di allora avviene lo scarico dei titoli italiani, in parte anticipando l’abbassamento del rating. Il passaggio da A+ ad A- accelera il fenomeno per la necessità di rispettare un livello medio di rating sulla base di criteri interni ed esterni che vincolano i portafogli in termini di rischiosità media. Ad aggravare la situazione per le banche tedesche, e non solo, è la presenza di una quota elevata di titoli tossici con rating molto basso che non hanno mercato ovvero non sono vendibili. Per mantenere il rischio invariato vengono venduti i titoli con rating intermedio, come l’Italia,e acquistati titoli con rating molto elevato, come la Germania.

La combinazione dell’effetto quantità (crescita di tutti i debiti pubblici mondiali) e qualità (peggioramento dei bilanci delle banche e del rating italiano) ha innescato la crisi; peraltro, è innegabile che l’Italia fosse in difetto su entrambi i fronti, anche se stabilmente e da molto (troppo) tempo: quantità eccessiva di debito pubblico e qualità modesta della gestione della spesa pubblica, principale alimento del debito. La nascita del governo tecnico è stata determinata dalla necessità di una risposta che affrontasse la crisi per ciò che era ed è: l’obbligo per l’Italia di uscire dalla straordinarietà ricorrente (un ossimoro?) degli anni precedenti al 2008 e guardare in faccia le fragilità e inefficienze non più perpetuabili.