L'economista francese Thomas Piketty ha scritto un libro – Le Capitale au XXIe siécle - che è al centro del dibattito internazionale. La ragione del suo successo è che offre una panoramica dell'andamento dei redditi e della ricchezza su due secoli. Laddove si evince che la dinamica di lungo termine è la persistenza di una diseguaglianza elevata, che è si è ridotta dalla fine della Prima Guerra fino agli Settanta, ma che ora sta riprendendo.

Con delle novità rispetto all'Ottocento: 1) cresce il reddito da lavoro – quello dei super manager - in rapporto al reddito da capitale soprattutto negli Stati Uniti, con il reddito da capitale che in buona parte è ereditato che pesa molto, anche se in misura inferiore al passato; 3) mentre cresce il numero di persone che - anche con una eredità non stellare - possono vivere meglio della gran parte della popolazione.

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Grafico della crescita del reddito del 10% della popolazione USA che guadagna di più rispetto al reddito nazionale: http://piketty.pse.ens.fr/files/capital21c/pdf/G0.I.1.pdf; Grafico della concentrazione USA/Europa della ricchezza: http://piketty.pse.ens.fr/files/capital21c/pdf/G10.6.pdf;

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Insomma, si ha una polarizzazione dei redditi da lavoro super pagato e dei patrimoni che spingono nella direzione di una società “neo-signorile”. Questa dinamica preoccupa molto gli statunitensi, soprattutto quando sono “liberal”. C'è, infatti, molta differenza fra una società “ereditaria” - come quella europea di una volta – ed una di “merito” - come sono gli Stati Uniti almeno nella loro narrazione: una società senza classi, perché gli individui salgono e scendono nella scala sociale in base al lavoro, che approssima il merito. La preoccupazione dei liberal è che viene meno la “legittimità” del modello statunitense. Se le differenze sociali fossero il misterioso frutto della “volontà divina”, come si credeva ai tempi dell'aristocrazia, ecco che forse si potrebbe accettare di avere una posizione sociale “ingessata”. Ma se le differenze sociali oggigiorno si accettano solo se sono differenze di merito, ecco che diventano illegittime le differenze che si formano per ereditarietà. Il passo successivo è discutere quanto pesino le politiche correnti sull'eccesso di diseguaglianza, se la favoriscano o meno, e come la si possa ridurre, se si pensa che questa abbia degli effetti negativi.

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Qui trovate il dibattito: http://ftalphaville.ft.com/2014/04/24/1834732/further-further-further-piketty/

E qui i favorevoli ed i contrari:

Capital Punishment
Piketty is right
Why we’re in a new Gilded Age
The most important book ever is all wrong
“Capital” and its discontents
Piketty day at Berkley

Qui trovate la gran quantità di grafici e tabelle che sostengono le tesi di Piketty:

http://piketty.pse.ens.fr/files/capital21c/pdf/

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Ripubblico il mio riassunto del libro di Piketty, come uscito su Il Foglio del 23 aprile, cui ho aggiunto solo dei grafici.

Si torna a parlare di “ricchi” e “poveri”, contrapposti in un mondo dove, come denunciano piazze e intellettuali, “il 99% della crescita finisce nelle mani del 1% della popolazione”. I nuovi ricchi non sono più gli affettati gentiluomini di Parigi o di Londra, che, più che inventare la ricchezza, la ereditavano. Oggi i “nemici di classe” sono i rudi fondatori di nuove imprese e gli ossessionati dirigenti delle grandi imprese, saliti nella scala sociale studiando prima e lavorando poi. La diseguaglianza, con una nuova concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, torna con prepotenza nel discorso politico e culturale, presentata come l'antagonismo della nuova epoca.

A studiarla, come era ieri e come si presenta oggi, non poteva che essere un francese, un economista che trasforma in numeri l'indagine della ricchezza vecchia e nuova alla quale si erano dedicati i romanzieri del XIX° secolo, da Balzac a Stendhal, e la porta nel Duemila. La ricerca di Thomas Piketty, “Le Capital au XXIe siécle", ha fatto irruzione in un dibattito dominato da anni dagli anglosassoni. Anche perché la Francia offre un “laboratorio” speciale: nel 1791 con la riforma fiscale, che fa emergere anche la ricchezza della nobiltà e del clero, si introduce la registrazione dei beni posseduti e che possono essere ereditati. In questo modo, i diritti di proprietà e di trasmissione della stessa sono garantiti. Grazie alla natura “borghese” della Rivoluzione, Piketty può studiare con precisione la dinamica della ricchezza nel corso dei secoli. Una ricerca senza precedenti per ricchezza statistica, che mette in imbarazzo – con l'idea che la dinamica della ricchezza rispetto al reddito sia crescente invece che convergente – il pensiero economico dominante.

In Europa – dal XIX° secolo fino alla Grande Guerra - il possesso del capitale (immobiliare e mobiliare) generava un reddito (rendite fondiarie, affitti, dividendi, cedole) cospicuo. Dalla Grande Guerra fino ai primi anni Cinquanta del '900 il peso del capitale in Europa si è contratto, perché l'inflazione ha quasi azzerato il valore delle obbligazioni e si è avuto una crisi notevole delle imprese, oltre alla perdita delle rendite coloniali. Questi sommovimenti nel corso di qualche decennio hanno abbattuto il capitale e quindi il reddito dei ricchi. Nel secolo scorso finisce l'epoca del “rentier”. Nel Secondo Dopoguerra, sempre in Europa, mentre si comprime il peso dei ricchi, il ceto medio accumula un patrimonio significativo, soprattutto immobiliare. Si ha perciò in cima un mondo di ricchi, ma meno ricchi di quanto fossero in passato, in mezzo si ha un mondo benestante, e, alla base, si ha chi possiede una ricchezza modesta o nulla, ma che è protetto dallo Stato Sociale. I redditi da lavoro nel XIX° secolo - anche quando ben pagati - non potevano avvicinarsi al reddito da capitale quando questo fosse stato corposo, e dunque, se uno avesse avuto la possibilità di sposarsi bene, ossia di entrare nel mondo dei “rentier”, non gli sarebbe convenuto lavorare. Le strategie per vivere bene senza lavorare (l'“appendere il cappello”) raccontate in Le Père Goriot incontrano l'ammirazione di Piketty, che trova l'analisi di Balzac di grande precisione, nonostante non disponesse di statistiche ricche come quelle di oggi.

Negli Stati Uniti la situazione nella prima parte del XIX° secolo era diversa: una concentrazione della ricchezza minore di quella europea, perché la terra era abbondante (la rendita fondiaria era bassa) e perché chi emigrava non aveva ricchezze (nessuno nasceva ricco). Negli Stati schiavistici del Sud le cose non erano però molto diverse da quelle europee. Gli Stati Uniti hanno poi registrato una concentrazione crescente della ricchezza fino agli anni Venti dello scorso secolo – l'epoca del “Grande Gatsby”. Con la Grande Depressione, la concentrazione di patrimoni si è ridotta, ma molto meno che in Europa, per poi ripartire dagli anni Ottanta. Con una novità: la concentrazione di ricchezza è alimentata anche dagli enormi redditi da lavoro dei dirigenti delle grandi aziende. Un fenomeno che comincia a palesarsi anche in Europa. I redditi da lavoro ben pagati nel XXI° secolo possono avvicinarsi al reddito da capitale quando questo non è troppo corposo, e dunque, se uno/una ha la possibilità di guadagnare molto, può, a differenza del passato, evitare di ereditare o di sposarsi bene, vale a dire può nascere “male” e sposarsi “per amore”.

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Ecco il grafico del dilemma fra l'“appendere il cappello” e il “sposarsi per amore”: http://piketty.pse.ens.fr/files/capital21c/pdf/G11.10.pdf

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Come mai la ricchezza dei pochi - dopo essere caduta dal 1914 al 1980 in Francia e negli altri Paesi Europei - torna a crescere? Per una ragione meccanica: è sufficiente che il reddito da capitale – che ruota nel lungo termine, secondo i calcoli dell'economista francese, intorno al 4% - cresca più del reddito nazionale – che, sempre nel lungo termine, è a un passo dal due per cento. Se si consuma solo una parte del quattro per cento – poniamo il due per cento - e si investe quanto resta – quindi il due per cento – si ha il capitale che cresce al quattro per cento contro una crescita economica del due per cento. Il capitale, anche non reinvestendo tutto il reddito che genera, acquisterà un peso sempre maggiore, con un peso che sarà tanto maggiore, quanto maggiore è il risparmio. Se però il rendimento del capitale alla lunga fosse decrescente – come è nei modelli economici - e se il risparmio fosse stabile o crescente, si avrebbe una caduta prima e un annullamento poi del rendimento del capitale. Se il rendimento del capitale fosse decrescente, l'edificio di Piketty mostrerebbe delle crepe. L'economista francese pensa però che l'idea del rendimento decrescente sia priva di base empirica, anche se è comprensibile in via logica.

Oggi negli Stati Uniti la concentrazione della ricchezza si sta avvicinando ai livelli degli inizi del XX° secolo, in Europa e in Giappone non ancora. Come che sia, la ricchezza con annessa quota di reddito è in parte “inventata” ex nihilo dagli imprenditori, e in parte ricevuta in eredità, per “lotteria biologica”. Quanta parte della ricchezza è ereditata e quanta inventata? In Francia dal 1850 al 1910 il 90% della ricchezza era ereditato (perciò il 10% era frutto dell'iniziativa e inventiva imprenditoriale). Nel 1970 veniva ereditato meno del 50%. Oggi è il 60%. Questa è la ricchezza complessiva – lo stock. Osserviamo ora la parte dello stock di ricchezza che ogni generazione eredita – il flusso.

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Peso dei patrimoni ereditati sul totale dei patrimoni: http://piketty.pse.ens.fr/files/capital21c/pdf/G11.7.pdf; Peso del reddito ereditato sul reddito complessivo>: http://piketty.pse.ens.fr/files/capital21c/pdf/G11.8.pdf;

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Nel XIX secolo il 10% di ogni generazione riceveva in eredità un reddito pari a quanto guadagnava nel corso della vita il 50% della popolazione meno abbiente. Poi si è avuto il crollo fra le due Guerre, quando solo il 2% di ogni generazione aveva un reddito ereditato pari al reddito di una vita dei meno abbienti. Negli ultimi tempi siamo tornati sopra il 10%. Se oggi si ereditano 750 mila euro, si guadagna quanto una persona con un reddito di 15 mila euro – il reddito normale della gran parte della popolazione meno abbiente - guadagna in 50 anni di vita. Anche un'eredità che non stupisce per la propria consistenza consente oggi di vivere con una libertà che altri sognano.

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Peso per ogni generazione di una eredità sufficiente per vivere meglio della metà meno retribuita della popolazione http://piketty.pse.ens.fr/files/capital21c/pdf/G11.11.pdf

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Il frutto del lavoro imprenditoriale e manageriale – misurato come quota di nuova ricchezza sullo stock di patrimoni - è emerso nel XX° secolo: l'imprenditore lascia un'eredità cospicua, così come il grande dirigente d'azienda. Anche queste eredità crescono per effetto del tasso di rendimento della ricchezza che è maggiore della crescita del reddito. E dunque, anche se in origine si aveva una ricchezza “da capitalista”, questa, per effetto delle eredità, diventa una ricchezza “da rentier”. La concentrazione della ricchezza sembra avere una natura permanente - un'idea non nuova, che richiama Pareto. La si lascia correre, oppure la si tassa di più per attenuare i suoi effetti? E, se la si tassa di più, quanto di più? La si tassa in modo lieve, oppure con intenti da confisca?