Internet of Things, sharing economy e Collaborative Commons: il nuovo ordine economico globale promuove principi di collaborazione, condivisione, autoproduzione ed estinzione della proprietà privata. Il capitalismo scompare o piuttosto esplora nuovi scenari?

L'eclissi finale del capitalismo ha sempre avuto i suoi profeti e anche oggi non mancano gli autori che annunciano l'imminente disfatta dei nostri tradizionali modelli di produzione e consumo. Secondo il celebrato autore di best sellers Jeremy Rifkin, le nuove tecnologie informatiche muteranno i principi fondamentali su cui è organizzata la nostra società, rendendola inevitabilmente più distribuita, aperta, collaborativa e fondata sui network. Per cominciare, la collaborazione sostituirà la competizione di mercato. Piuttosto che inseguire il mero profitto, gli individui saranno impegnati a collaborare tra loro in maniera libera e creativa per il raggiungimento di obiettivi condivisi su scala planetaria, secondo la logica dei Creative Commons. I giovani, secondo Rifkin, ormai vedono se stessi più come partecipanti a un sistema-mondo che come lavoratori. Tendono a dare più valore ai talenti che alle competenze e preferiscono esprimere la propria creatività nei social networks, piuttosto che dietro alla scrivania di un arido ufficio, con mansioni strettamente assegnate e monitorate. L'economia sociale che deriva da questi mutamenti offre grandi opportunità in termini di auto-impiego, sostiene Rifkin, promettendo ricompense maggiori rispetto ai modelli classici di gestione del lavoro. Con la sharing economy, inoltre, possesso e proprietà verranno sostituiti da accesso e servizio, mutando completamente le modalità di distribuzione dei beni. Anche l'emerito studioso di Harvard Yochai Benkler insiste da tempo sul concetto di “common-based peer-production” come nuova forma di produzione distinta alla classica logica di mercato fondata su prezzo, contratto, proprietà e obbligo di impresa.

Le grandi organizzazioni commerciali organizzate verticalmente e le multinazionali si dissolveranno in conseguenza di queste trasformazioni, perché sostituite da attività decentralizzate. La tecnologia intelligente, inoltre, sarà capace di autoreplicarsi indefinitamente e svolgere per noi i lavori più pesanti, così che il lavoro come è conosciuto oggi semplicemente scomparirà. Secondo Rifkin, tuttavia, saranno soprattutto il settore energetico e l'Internet of Things a rendere possibile un'immensa trasformazione collettiva. Le energie alternative e le smart grid subentreranno a un'economia fondata sui combustibili fossili, e l' internet della comunicazione, dell'energia e dei trasporti diventeranno i tre pilastri di un sistema interattivo unificato, in cui i Big Data potranno essere generati, gestiti e condivisi in modo collaborativo a livello globale. Grazie a un' interconnessione ininterrotta di uomini, servizi, trasporti, elettricità, energia pulita, flussi di riciclo, istruzione online e marketing dei social media, si potrà dare vita a un sistema economico estremamente produttivo, in cui i bisogni materiali potranno essere soddisfatti quasi gratuitamente. Ci sarà infatti un costo marginale prossimo allo zero nella produzione di informazione, nella generazione di energia, nella fabbricazione di prodotti, e nella diffusione della conoscenza.

L'Internet of Things sarà gestito direttamente dai cittadini, che creeranno una società dell'abbondanza piuttosto che della scarsità, stravolgendo gli attuali scenari economici, sociali e politici. Gli esseri umani impareranno infine a divenire profondamente empatici e il mondo raggiungerà finalmente un equilibrio stabile, completamente high-tech e peer-to-peer. Ma fino a che punto è affidabile questa visione del futuro prospettata da Rifkin?

Purtroppo quest' idea ultra ottimistica di sviluppo socio-economico non è convincente almeno per una ragione: descrive soltanto metà di una possibile storia, senza considerare quei fortissimi elementi oppositivi che la complicano a dismisura. Collaborazione, condivisione tra network ed empatia fanno sicuramente parte di una nuova mentalità che attraverso Internet sta ormai emergendo felicemente a livello sociale ed economico. Nella realtà però Internet è ben lontano dall'avere quella dimensione neutrale e pacificata che Rifkin prospetta. Al contrario, Internet è oggetto di immensi appetiti commerciali e non si può pretendere che l'esperienza collettiva dei cittadini li attraversi indenne. È improbabile che la logica del capitalismo venga sostituita del tutto dal collaborazionismo. Piuttosto il capitalismo si adatterà ai nuovi scenari sociali come ha sempre fatto nel corso della storia, trovando ulteriori occasioni di introito. E non è affatto difficile immaginare quali saranno. Le infrastrutture computazionali dove avvengono le interazioni tra cittadini, ad esempio, rappresentano oggi nuovi e redditizi continenti digitali da colonizzare. Con le loro attività di intermediazione, le piattaforme online trasformano in unità di capitale il valore creato dalle collaborazioni peer-to-peer, e di fatto se ne appropriano Ciò rende la decentralizzazione dell'economia e dei servizi sempre molto relativa, e lo stesso Rifkin non ci spiega in che modo dovremmo giungere alla proprietà condivisa delle infrastrutture, perché esse siano aperte a tutti.

Ciò vale anche per la produzione e la distribuzione di energia. Se è vero che i cittadini diventeranno autoproduttori di energia rinnovabile grazie a milioni di microgeneratori, questi funzioneranno però attraverso le architetture centralizzate delle smart grid e dell'Internet of Things. Abbiamo già analizzato in un precedente articolo l' alto potenziale distopico di questa tecnologia, gestita a livello planetario dai colossi dell'informatica. Il tecno-comunismo di Rifkin vede l'Internet of Things come strumento di solidarietà e di scambio democratico gestito direttamente dai cittadini, ma è la stessa la realtà a contraddirlo clamorosamente, andando nella direzione opposta.

Il capitalismo, ci sembra di capire, godrà ancora a lungo di ottima salute, anche perché l'ethos utilitaristico, che fa parte della natura umana, è straordinariamente adattivo. Peter Barnes sostiene che il capitalismo si evolverà in una forma 3.0, con una sorta di doppia anima: da una parte la logica d'impresa e la ricerca di profitto, dall'altra la costruzione e la difesa del bene comune attraverso principi di collaborazione, equità e sostenibilità. Queste due anime però non devono essere necessariamente distinte. Esiste una terza via, secondo Edward Freeman: si tratta di comprendere che il vero motore del capitalismo non è la ricerca del profitto – elemento importante ma secondario – ma piuttosto la creazione di un obiettivo da parte dell'imprenditore. “Gli affari sono una istituzione profondamente umana, ma il fine non è quello di fare soldi il più possibile. Il fine è qualcos'altro. Dobbiamo allora riportare questo fine nell'ambito del capitalismo, perché gli affari hanno a che soprattutto con un fine e con la creazione di valore per gli altri” (dall'ebook Business in Society, 2016). Questo scenario dinamico e creativo che unisce mondo degli affari ed etica è sicuramente una via percorribile per il futuro, e forse è più affascinante di quella pax tecnologica idilliaca quanto improbabile prospettata da Rifkin.