Le Borse Valori sono rappresentate dall’indice che sintetizza l’andamento complessivo delle società quotate che lo compongono secondo modalità non sempre analoghe. In alcuni casi conta la capitalizzazione, in altri casi viene utilizzato solo il flottante, altri indici si basano solamente sul prezzo delle azioni.

Se si investe sulle singole società la composizione dell’indice e il suo metodo di calcolo interessano solo in termini relativi per eventualmente capire se la scelta di investimento è stata premiante rispetto alla possibilità di investire sulla Borsa, ovvero sull’indice che la rappresenta, piuttosto che sul singolo soggetto. Uno studio di Credit Suisse (*) ci fornisce uno spaccato storico della composizione della Borsa americana dove si evidenzia come la complessità delle Borse valori sia ben maggiore di quanto il loro sintetico indice racconti.

La vicenda è complicata e ricca di risvolti non sempre di facile intuizione. Il periodo dell’analisi è di quarant’anni, sufficientemente lungo da essere certamente significativo e abbastanza corto da non rendere ancora più intricata la dinamica degli accadimenti. Il punto su cui si concentra il lavoro è la numerosità delle società quotate. Nel 1976 in USA erano quotate 4.796 società. Dopo vent’anni il numero era salito a 7.322, non il doppio ma quasi. Oggi le società quotate sono 3.671, dimezzate rispetto al 1996 e al di sotto di oltre mille unità rispetto al 1976.

Già si vede che qualcosa di significativo è successo se in questi quarant’anni si è passati dalla crescita esponenziale alla contrazione verticale del numero di partecipanti al mercato azionario. Aggiungiamo altri elementi di complicazione. La capitalizzazione del mercato azionario (ovvero la cifra che si ricava sommando il valore di Borsa di tutte le società quotate dato dal prodotto tra prezzo e numero di azioni emesse) è solamente cresciuta: dai circa 3 miliardi di dollari si è passati a 12 miliardi dopo vent’anni per arrivare agli attuali 25 miliardi.

Prima considerazione: la capitalizzazione media (totale valore del mercato azionario diviso il numero di società quotate) è passata da circa 600 milioni di dollari agli attuali 6.900 milioni di dollari, valore più che decuplicato. Seconda considerazione: la riduzione del numero di società quotate è stata solo parzialmente compensata dall’ingresso sul mercato degli ETF (Exchange Traded Funds) azionari ovvero i cosiddetti prodotti passivi che replicano l’indice stesso a parti dell’indice azionario.

Un’ultima, ma non conclusiva, considerazione si basa sull’osservazione della coincidenza tra la fase di discesa incessante dei tassi avvenuta degli ultimi venti anni e l’impressionante processo di concentrazione. Le aziende maggiori hanno inglobato le aziende nascenti o di minore dimensione riducendo contestualmente gli investimenti diretti. Questo fenomeno ha determinato la crescita della marginalità (misurata dal CFROI, Cash Flow Return On Investment) che è passata da un valore medio del 5,5% del primo ventennio al 9,1% del secondo ventennio.

(*) Credit Suisse, “The Incredibile Shrinking Universe of Stocks”, 22 marzo 2017

 

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