1. Il countdown è iniziato: meno di un anno alle elezioni presidenziali del 2012.
Fino a qualche tempo fa si poteva pensare che la rielezione sarebbe stata una passeggiata per Barack Obama. Oggi, però, è lecito nutrire qualche dubbio. A pesare come un macigno sulla sua rielezione sono un’economia che non pare volersi riprendere; una guerra, quella in Afghanistan, che non pare volersi chiudere; la sua stessa riluttanza a fare “racconto,” ossia a rendere “narrativo” il suo discorso politico. Quest’ultima ragione parrebbe paradossale se non fosse la più insidiosa. Obama deve sì la sua fortuna personale alle buone vendite dei suoi libri autobiografici, ma quando si tratta di spiegare in poche parole la sua visione politica pare trovarsi in forte difficoltà. In un’epoca in cui la promozione di un messaggio politico è simile alla promozione di una merce qualsiasi, un buon politico deve saper condensare il proprio pensiero politico in una “narrative” chiara e fruibile.

Facciamo un esempio concreto e ben conosciuto. Uno dei motivi del successo di Ronald Reagan fu quello di portare alle estreme conseguenze il racconto, la “narrative”, della Guerra Fredda. “Comunismo” era la parola chiave di Reagan e dinanzi all’elettore americano si apriva un intero universo narrativo.

Lo capiamo bene anche noi in Italia, perché ad un certo punto qualcuno pensò bene di suggerire a Silvio Berlusconi di usare lo stesso termine per conseguire lo stesso risultato. Come è noto, la cosa ebbe successo.

L’esempio italiano ci porta a formulare una prima ipotesi sul perché Obama abbia potuto decidere di non usare questa tecnica. Dopo un po’ stanca e si trasforma in boomerang. Chi usa oggi la parola chiave “comunista”, in Italia come in America, non ottiene nulla e appare ridicolo (tanto che negli Stati Uniti la parola chiave “communist” è stata sostituita con “socialist”).
Uno dei motivi della vittoria di Obama fu la decisione di usare un discorso non-narrativo: invece di evocare racconti attraverso l’uso di “parole chiave”, Obama preferì puntare sull’esemplarità della sua persona, che era in sé così evocativa – un nero alla Casa Bianca – da poter essere veicolata con la sola presenza fisica sul proscenio.

La tecnica si dimostrò vincente, tanto che ognuno vide in Obama quello che voleva vedere: un liberal, un radical, un nero, un americano post-etcnico, un accademico, un uomo che si è fatto da solo, un attivista, un avvocato, un amico della Scuola di Chicago, un socialista, ecc.

Il problema venne dopo. Una volta eletto, un elettorato abituato a essere intrattenuto da racconti attraverso l’uso strategico di parole chiave si ritrovò con un Presidente che non rispondeva alle aspettative. Tecnicamente non era neppure il primo afro-americano alla Casa Bianca perché figlio di un africano e di una donna bianca, non di un discendente degli schiavi neri d’America. Quindi il problema: una volta eletto Obama ha cessato di essere l’incarnazione di un racconto ed è divenuto un enigma. Ha smesso di narrare.