Il recente decreto anti-crisi prova a favorire la circolazione del denaro mettendo mano ad una riforma organizzativa e del contenzioso in materia di investimenti e interventi strategici. Al riguardo, sono stati previsti nuovi commissari governativi e regionali, responsabili dell'attuazione delle grandi opere, nonché ulteriori norme per accelerare i processi amministrativi, con l'intento anche di dissuadere il contenzioso in materia. Ma non sarebbe meglio rivedere la complessità delle procedure e della normativa sui lavori pubblici?

Tutti commissariati i nuovi investimenti e interventi strategici 
Per superare la crisi, il Governo punta con decisione anche sulle grandi opere pubbliche. L'idea di fondo è che i soldi devono "girare" il più in fretta possibile. Individuato l'intervento e fatto l'investimento, l'Esecutivo vuole essere certo che il denaro non resti impantanato nelle paludi burocratiche e in quelle dei processi amministrativi. In questa prospettiva, nel decreto legge c.d. "anti-crisi" approvato il 28 novembre è stato deciso: 
• di finanziare la prosecuzione degli interventi strategici previsti dalla legge obiettivo (legge 443/2001, attuata dal decreto legislativo 190/2002), autorizzando la concessione di «due contributi quindicennali di 60 milioni di euro annui a decorrere dal 2009 e 150 milioni di euro annui a decorrere dal 2010»; 
• di introdurre nuove regole in relazione agli interventi, statali e regionali, «ritenuti prioritari per lo sviluppo economico del territorio nonché per le implicazioni occupazionali e i connessi riflessi sociali, nel rispetto degli impegni assunti a livello internazionale». 
A proposito di queste ultime disposizioni, il decreto legge stabilisce che gli investimenti necessari per la realizzazione delle opere strategiche — e per «la messa in sicurezza delle scuole» — devono essere individuati da un decreto, a seconda della rilevanza territoriale, del presidente del Consiglio o del presidente della Giunta regionale. Tale provvedimento deve individuare i tempi di realizzazione e il quadro finanziario, nonché nominare commissari straordinari chiamati a sovrintendere e garantire l'esecuzione delle opere. 
In particolare, avvalendosi degli uffici delle amministrazioni interessate, questi ultimi devono monitorare l'adozione degli atti necessari per l'esecuzione dell'investimento; vigilare sulle procedure di autorizzazione e di realizzazione, nonché sulla stipula dei contratti; esercitare tutti i necessari poteri di impulso sugli enti coinvolti al fine dell'esecuzione delle opere nel rispetto dei finanziamenti e dei termini stabiliti; comunicare ritardi e circostanze che li hanno determinati al ministro competente o al presidente regionale. 
Con riferimento a ogni fase dell'investimento e a ogni atto necessario per la sua esecuzione, i commissari possono sostituirsi alle autorità amministrative competenti, prendendo al loro posto tutti gli atti e le decisioni occorrenti. Essi sono sottoposti al controllo dei ministeri e delle strutture regionali competenti, che devono segnalare alla Corte dei conti le ipotesi di ritardo nella realizzazione dell'investimento. Infine i compensi: saranno decisi con appositi decreti ministeriali e finanziati attingendo agli investimenti effettuati. 

Processo in materia di opere strategiche: la sindrome di Speedy Gonzales 
Nell'ottica della massima semplificazione e velocità delle procedure, il decreto legge dispone che i provvedimenti in materia di interventi strategici devono essere comunicati agli interessati mediante fax o posta elettronica. 
Tempi più stretti anche per l'accesso ai documenti dei procedimenti relativi a investimenti e interventi strategici: esso è consentito entro dieci giorni da quando è inviato il provvedimento principale. 
Ma è soprattutto sul fronte dell'eventuale processo amministrativo avverso gli appalti di aggiudicazione di opere strategiche che il testo normativo varato dal Governo introduce importanti novità, disegnando un rito estremamente accelerato. 
Il ricorso deve essere proposto entro trenta (anziché sessanta) giorni e depositato entro cinque (anziché trenta) giorni, mentre le parti diverse dal ricorrente che intendano intervenire in giudizio devono costituirsi entro dieci (anziché cinquanta) giorni dalla notificazione. Entro venticinque giorni dalla notificazione del ricorso deve essere fissata l'udienza di discussione del processo, al cui termine deve essere pubblicato il dispositivo della sentenza. Eventuali provvedimenti cautelari del giudice — di cui il più importante è la sospensione dell'aggiudicazione — non possono incidere sul contratto già stipulato. Il decreto limita anche la tutela risarcitoria, consentendo soltanto il risarcimento per equivalente, che comunque non può essere superiore all'utile che il ricorrente avrebbe conseguito se fosse risultato vincitore dell'appalto. 

Commissari e opere strategiche: responsabilizzare uno per deresponsabilizzare molti? 
Va elogiato il tentativo dell'Esecutivo per "sbloccare" i cantieri e per supportare la ripresa economica favorendo la rapida circolazione del denaro pubblico investito nelle grandi opere pubbliche. 
Grazie alla "trovata" dei commissari, gli eventuali sperperi di soldi pubblici e i ritardi avranno un nome e un cognome: appunto quello del commissario nominato ad hoc. Ne risulta esaltato il principio di responsabilità. 
Sul piano operativo, per quanto la distribuzione delle competenze non sembri toccata dalla riforma e il commissario dovrebbe intervenire solo quando si verificano ipotesi di mancato esercizio di funzioni, è facile prevedere casi e dubbi di sovrapposizioni con i compiti dei dirigenti degli enti interessati dall'opera strategica e dei responsabili unici dei procedimenti di appalto. I commissari rischiano poi di trasformarsi in una sorta di "parafulmini" delle inefficienze amministrative e delle problematiche connesse alla gestione del dissenso (si pensi ad opere contestate dalle collettività interessate). Anziché affrontarle e risolverle, gli enti pubblici coinvolti potrebbero trovare più comodo attendere l'intervento del commissario. 
Infine, quanto ai compensi dei commissari, possono fugarsi accuse qualunquistiche di sperpero di denaro pubblico. Essi saranno pagati attingendo agli investimenti stessi che dovranno sovrintendere, che ammontano sempre a svariati milioni. Pertanto, non saranno certo gli stipendi di tali organi a incidere su quelle somme e, comunque, se tali organi assicureranno effettivamente lo svolgimento dei lavori saranno soldi ben spesi. 

I nuovi termini dei processi Tar: vince chi (ri)corre di più 
Quanto al processo, è fin troppo facile prevedere che a ricorsi e atti processuali di parte estremamente rapidi non corrisponderanno sentenze Tar altrettanto solerti. 
I termini per ricorrere saranno interpretati come perentori, mentre quelli per adottare le sentenze... «canzonatori» (come definiti da E. Redenti). Questo perché l'inosservanza dei primi porterà a declaratorie di inammissibilità da parte dei Giudici, mentre il mancato rispetto dei secondi rimarrà privo di sanzione. 
C'è poi da chiedersi se sia costituzionalmente legittimo fissare tempi così ridotti per esercitare il diritto di difesa. Dal punto di vista formale parrebbe di sì: la violazione della Costituzione sussisterebbe solo qualora si impedisse del tutto l'esercizio di quel diritto. 
Ma un'interpretazione meno rigida degli articoli 24 e 113 della Carta fondamentale potrebbe portare a esiti diversi. Tempi troppo stretti per ricorrere significa, in buona sostanza, vanificare l'esercizio del diritto di tutela giurisdizionale nei confronti degli atti amministrativi. 
Senza contare il fatto che se un Tar decide in fretta un ricorso in materia di opere strategiche, ciò significa che lo fa passare davanti ad altri processi, giacenti e "in coda" da (e per chissà ancora) quanto tempo. Come dire: ci sono cittadini/cause di serie A, altri di serie B. E qual è il criterio discriminatore? I soldi, naturalmente. 
Né dall'opposizione possono sollevarsi critiche a riguardo. Il fine di accelerare le controversie sulle opere pubbliche e prevedere specifici poteri decisori in materia è stato perseguito tanto dal centro-sinistra, quanto dal centro-destra. Basti ricordare l'art. 19 del decreto legge 67/1997 (convertito e modificato dalla legge 135/1997); l'art. 4 della legge 205/2000, che ha introdotto l'art. 23-bis nel corpo della legge 1034/1971; infine, l'art. 14 del decreto legislativo 190/2002. Tutti provvedimenti che finiscono soltanto con il creare confusione, innestando regimi speciali su regimi speciali, il cui filo conduttore è la convinzione dell'apparato politico che i colpevoli del blocco dei cantieri siano i Tar (/il Consiglio di Stato) e le imprese. 
È però censurabile questo atteggiamento della "politica", capace solo di fare fretta agli operatori. Strano però che a nessuno venga in mente che le opere pubbliche troppo spesso incontrano ostacoli procedurali che immancabilmente si scaricano nelle aule di tribunale perché le norme sono oscure e di difficile interpretazione/applicazione; perché il codice dei contratti pubblici è un testo ipertrofico che racchiude in 247 articoli e 20 allegati tutta la disciplina interna e comunitaria in materia di appalti; perché i funzionari e dirigenti, per quanto preparati e animati da senso istituzionale, sono chiamati a destreggiarsi tra procedimenti di aggiudicazione sempre più complessi e ingarbugliati, che immancabilmente producono decisioni viziate e qualitativamente modeste.