Pochi sembrano essersene accorti. E poco se ne è parlato. Ma la scomparsa, nel naufragio collettivo delle tante componenti della sinistra, dei verdi italiani, è un fatto politico importante, traumatico per un'area politica e culturale del Paese. E questo sia che se ne vogliano cogliere i siparietti giudiziari un po' imbarazzanti (con le alterne fortune della famiglia Pecoraro Scanio), sia che si contempli il malinconico tramonto di un sole che aveva brillato per una stagione politica ormai ventennale, il sole che ride.
La storia è nota: c'erano gli anni ottanta dell'ecologismo un po' naif di club e liste verdi fioriti sul territorio, quelli legati ai radicali e quelli più schiettamente marxisti, contigui a Democrazia proletaria; con risultati interessanti in diverse tornate elettorali a cavallo con gli anni novanta, vicini al dieci, al quindici per cento in alcuni paesi montani. Erano gli anni delle strizzatine d'occhio reciproche tra verdi e socialisti craxiani, in prima fila Claudio Martelli con i suoi esperimenti politici e l'avventato "no" al nucleare di cui molti, in seguito, si pentirono. Poi vennero gestioni successive, da Carlo Ripa di Meana a Luigi Manconi a Grazia Francescato ad appunto Alfonso Pecoraro Scanio. Con l'incontro, soprattutto durante la reggenza di quest'ultimo, coi temi del pacifismo e del movimentismo antiglobal. E quella scelta, nel 2008, di fondersi con gli altri partiti della sinistra alternativa, con i comunisti insomma. Il problema sta tutto qui, e cioè che mentre l'ecologismo a livello mondiale conosce in questi anni un deciso revival su posizioni più "tecniche" che ideologiche, sulla scia di allarmi climatici (veri o presunti), pamphlet sul surriscaldamento del globo, programmi politici ambientalisti adottati anche dai movimenti conservatori (il "go green" di David Cameron per intenderci), in Italia ancor prima di ricevere la batosta elettorale del 13 e 14 aprile i Verdi avevano già scelto di diluire la propria identità nel contenitore indistinto della sinistra bertinottiana.
Alla vigilia delle elezioni, Carlo Ripa di Meana annuncia che voterà per Berlusconi: quanti lo ricordavano a festeggiare in piazza Santi Apostoli ai tempi del primo Ulivo hanno fatto un salto sulla sedia. Un segno dei tempi, che un padre nobile dell'ecologismo volti così clamorosamente le spalle. E che poi Gianni Alemanno lo chiami, come sta facendo, ad occupare la poltrona di assessore all'ambiente nella nuova giunta capitolina. La "fuga" di Ripa di Meana è solo una, nella piccola grande diaspora dei Verdi italiani, dopo il distacco di Ermete Realacci, passato a fare il portavoce del Pd; di Luigi Manconi, finito nel Pd pure lui; o di personaggi prestati alla politica come Reinhold Messner e Fulco Pratesi, che dopo brevi esperienze politiche sono tornati ad occuparsi di ambiente nei "loro" rispettivi campi d'origine, la montagna e il Wwf. E così via.
Negli altri paesi le cose vanno in modo un po' diverso. Prendiamo la Germania, dove i verdi, da sempre i più organizzati sul continente, raramente scendono sotto il 6%, quando non sfiorano il dieci. Conquistando intere fasce di popolazione. Quello che è successo ai verdi tedeschi, e che ne ha segnato la storia in termini di rinnovamento ideologico, di svecchiamento, è stato il matrimonio con "Buendnis 90", Alleanza 90, movimento della Germania dell'Est che si era opposto al comunismo, con una tradizione insomma piuttosto moderata e soprattutto l'attenzione ai diritti civili. Una tappa in più si fece col dibattito sull'intervento in Kosovo, nel 1999: partner della coalizione rosso-verde con l'Spd, i verdi dovevano decidere se sostenere l'intervento Nato o far crollare il governo. Quest'ultima opzione prevalse, e fu il distacco definitivo dalle seduzioni ideologiche della sinistra antagonista. Con il risultato che ora la mappa sociopolitica dei Grünen restituisce l'immagine di un elettorato moderato, urbano, colto, sostanzialmente post-ideologico. Simile a quello austriaco, concentrato in alcuni quartieri di Vienna, o a quello francese, forte soprattutto a Parigi e nei centri città. Dell'Inghilterra si è già fatto cenno. E in Italia? Basti dire che sui verdi nostrani gira ancora quella vecchia, muffita, battuta: "sono come i cocomeri, fuori verdi ma dentro rossi". Vecchia, muffita, ma, a quanto pare, sempre in voga.