Come tutti i turnaround in Italia, le imprese si autodistruggono durante gli estenuanti processi che coinvolgono i manager, i sindacati e i politici alla ricerca di una soluzione per un business che non ha senso estinguere, ma deve trovare un'organizzazione diversa. "Trovare un'organizzazione diversa" è un modo poco espressivo per dire che deve cambiare azionista.

Non occorre accanirsi oltre sui limiti dell'azionista di oggi. Se non è riuscito a raddrizzare i conti (e il servizio reso ai cittadini) fino ad oggi, è improbabile che ci riesca da adesso in poi. Solo che nessuna delle opzioni in campo sembra affermarsi risolutamente.
L'opzione di cessione a (o fusione in) Air-France KLM è attrattiva finanziariamente. Attratta nell'orbita del grande gruppo, la compagnia dovrebbe estinguere i suoi guai finanziari. Anche perché l'accordo genererebbe sinergie industriali. Peccato che l'opzione non piaccia né ai politici lombardi, e la Lombardia è pur sempre la maggior regione d'Italia per produzione di reddito, né ai sindacati. L'opzione AirOne-Intesa ha dalla sua il pregio di offrire un mix di finanza e di strategie industriali, ma a chi scrive non convince la convenienza della convivenza di un vettore con una banca.
D'accordo che le banche devono allocare il denaro, ma sul fatto che l'operazione comporti per l'azionista di Intesa un rendimento atteso tale da compensare il costo del capitale aggiustato per il rischio (e la sua concentrazione) nutriamo qualche perplessità. A meno che l'obiettivo sia di salvare gli onori della bandiera, ma allora perché con le risorse di una banca privata?
La cordata promossa (o promessa) dall'aspirante premier del centro-destra ci lascia ancor più perplessi. Intanto, è curiosa l'eterogeneità degli operatori, tutto meno che operatori in campo aereonautico. Un mercato difficile quello dell'aviazione commerciale. La domanda di passeggeri per km tende ad aumentare ma i prezzi pagati per passeggero per km tendono a scendere tutti gli anni dalla metà degli anni novanta: sono gli effetti della concorrenza e del progresso tecnico e non tendono ad affievolirsi. In questo contesto, è importante avere una visione chiara che il business di Alitalia è possibile solo se efficiente e dunque il nuovo azionista deve riuscire a far volare gli aerei con il minimo costo, il minimo disservizio, il minimo degli scioperi e cambiando i contratti con i lavoratori.
Del resto, se Air France è titubante non è tanto per l'attrattività industriale del business, ma per l'incertezza che il nuovo amministratore delegato, eventualmente francese, non riuscirebbe a fare ciò che invece si è potuto fare in Francia o in Olanda. Tutte le grandi linee aeree sono passate per cure dimagranti e di efficienza. Chi non l'ha fatto o non vi è riuscito, è sparito, oppure è in procinto di farlo, come potrebbe accadere ad Alitalia.
A questo punto una proposta (la quarta!) la facciamo anche noi. Anzi la rubiamo a un vecchio programma di Margaret Thatcher, che nel 1983 vendette la società pubblica di Hovercraft che attraversavano il Canale della Manica, in stato prefallimentare a causa della incapacità di organizzare efficientemente il servizio, e non per l'impossibilità di farlo, ai suoi stessi dipendenti per il valore simbolico di una sterlina. Due anni dopo, risanata la società, gli stessi dipendenti rivendettero la società per 4,3 milioni di sterline. Il caso di Alitalia non ci sembra così diverso da non potersi meritare una soluzione analoga.