In continuità con le uscite su Isis pubblicate nei mesi scorsi, Agenda Liberale dedica due approfondimenti all’analisi delle caratteristiche e degli sviluppi del sedicente Stato islamico. In questo primo articolo (il secondo, intitolato “Stato islamico: bilanci e prospettive”, è di Paolo Migliavacca), in particolare, si evidenziano i parallelismi tra la rivoluzione d’Ottobre, capeggiata dai bolscevichi di Lenin, e la guerra di conquista combattuta dai jihadisti di al-Baghdadi.

Le violenze della Russia bolscevica

Nel novembre del 1917 i giornali europei dettero la notizia di quella che poi entrò nei libri di storia (per un trucco di calendari) come la rivoluzione d'Ottobre con tre-quattro giorni di ritardo. Un trafiletto di poche righe che riferiva di un ennesimo tafferuglio a Pietrogrado, uno dei tanti scontri tra fazioni in un Paese devastato da una guerra, ai margini dell'attenzione di un continente in preda a un conflitto senza precedenti. Quando si scoprì, qualche mese dopo, che questo episodio apparentemente insignificante aveva portato al potere in un territorio in perenne estensione una forza nuova, si rimase stupefatti, impietriti, quasi increduli di fronte alla sua inusitata violenza. La Russia bolscevica che emergeva da testimonianze e racconti non stava vivendo soltanto un avvicendamento di regime, ma un sovvertimento totale del modello stesso della società umana conosciuta fino a quel momento. Un cambiamento qualitativo. Dello Stato precedente, delle sue strutture, delle sue regole ed élite, della sua organizzazione e  gerarchia, della sua cultura e morale non era rimasto più nulla. Orde di persone uscite fuori apparentemente dal nulla uccidevano, spodestavano, bruciavano e imprigionavano. Le esecuzioni sommarie, pubbliche, erano comuni, nessun diritto o proprietà erano più garantiti, uscire per comprare il pane e sparire nel nulla era diventato normale. Il premio Nobel Ivan Bunin nel 1919 appuntava nei suoi diari, pubblicati in seguito come “Giorni maledetti”, testimonianze di un "fratricidio inaudito, un circo sanguinario, da incubo, le cui conseguenze mostruose saranno innumerevoli". Milioni di persone vennero cacciate dalle loro case, processate e incarcerate o uccise, decine di monumenti, incluse chiese e biblioteche, furono saccheggiati e distrutti. “I giudizi sommari della strada sono un fenomeno quotidiano, e ogni caso aumenta e aggrava la crudeltà morbosa e ottusa della folla", annotava un simpatizzante dei bolscevichi come Maxim Gorky, nel dicembre 1917. Il mondo ascoltava atterrito le poche notizie che giungevano da una terra conquistata da un'entità violenta, nata dal nulla, guidata da sconosciuti, che più che una “rivoluzione”, come la chiamavano i suoi protagonisti, appariva come un'Apocalisse, la barbarie incombente che stravolgeva la civiltà.

Dieci parallelismi con l’avvento dello Stato islamico

L'avanzata dello Stato Islamico, apparso all'improvviso prima in Medio Oriente e poi anche sugli orizzonti europei, ha provocato sentimenti e pensieri contrastanti. Qualcuno paragona questa nuova minaccia a una nuova riedizione delle crociate, ma si fa anche il paragone con il nazismo, probabilmente soprattutto per l'utilizzo massiccio della violenza intimidatoria mossa da un'ideologia che colpisce soprattutto per la sua rigida spietatezza. Per chi ha studiato la storia e le dinamiche del fenomeno della Russia comunista, appaiono però lampanti anche i parallelismi con quello che è accaduto nel 1917. Ovviamente, ricorrere ai parallelismi è sempre un esercizio che pone dei limiti, ma trovare “dieci similitudini” tra i bolscevichi di Lenin e i jihadisti di al-Baghdadi permette anche di avere un angolo visuale diverso su un fenomeno di cui non abbiamo ancora saputo e capito abbastanza.

  1. La Russia bolscevica nasce sulle rovine di un failed state devastato da una guerra, nel vuoto di potere dove lo zar (Assad) non è più in grado di governare, mentre spinte centrifughe etniche e politiche dilaniano il Paese. Una nazione arretrata, economicamente, socialmente e culturalmente, alle prese con una modernità non ancora conquistata ma che sta già distruggendo le strutture sociali e familiari tradizionali. Un sistema che non riesce a trovare la solidità per riformarsi e sente di poter finire travolto, anche dalle spinte di diverse potenze straniere che intervengono con vari strumenti (militari, di intelligence, con finanziamenti a vari gruppi in lotta) nel caos.
  1. Quello che emerge da questo caos non è un nuovo gruppo di potere, ma una struttura completamente inedita che pratica un'ideologia escatologica e antagonista, con l'obiettivo nientemeno che la costruzione di un “mondo nuovo” previa demolizione di quello precedente, e il postulato che questo obiettivo è possibile sono con la distruzione fisica di chi si oppone. Un pensiero radicale che divide il mondo in due, dove gli “altri” possono convertirsi, o morire. Nessun compromesso di coesistenza, o diritto di cittadinanza per i dissidenti interni: come i bolscevichi sterminavano i socialdemocratici “opportunisti” ancora prima dei borghesi, così gli jihadisti prendono di mira soprattutto i musulmani moderati, colpevoli di “apostasia”. In entrambi i casi è la versione più estremizzata e volgarizzata, per analfabeti armati, di un pensiero già esistente, ma l'Islam predicato dall'Isis sta al Corano come la dittatura del proletariato, che fucilava passanti solo perché “vestiti da borghesi”, sta al Capitale, interpretato con la rigidità di un codice religioso. E' un'ideologia di guerra (e l'Islam, religione nata nel corso di una guerra tra tribù arabe e che dedica alle modalità della guerra molto spazio, si presta all'operazione), che prende piede molto rapidamente: è semplice, lineare, e alimenta la rivalsa, il risentimento nietzschiano, riassunta nell'amara barzelletta dell'epoca della contessa che interroga la cameriera sul trambusto in piazza e si sente rispondere che è in corso la rivoluzione. “Ah sì, e cosa vogliono”, chiede la nobildonna. “Che non ci siano più ricchi, madame”, replica la ragazza. “Che strano, pensavo che volessero che non ci fossero più poveri”, commenta la contessa, prima di sparire nel vortice rivoluzionario.
  2. Come il bolscevismo, il sogno della umma islamica è universale e universalista, anzi, non si può compiere fino a che la rivoluzione non trionferà in tutto il mondo degli “infedeli”. Musulmani di tutti i paesi, unitevi, e il tratto distintivo dell'Isis sono i foreign fighters che arrivano a migliaia, da altri Paesi arabi e musulmani, ma anche da quelli occidentali, e non sono solo immigrati, e non solo musulmani. Rispetto ai predecessori come al-Qaeda l'Isis è molto più globale, e la sua ideologia è infinitamente più esportabile perché non si basa soltanto su contenziosi territoriali e clanici locali (anche se vi attinge e li sfrutta), ma su un'idea di rifacimento generale del mondo, dove gli ingiusti verranno puniti e gli ultimi saranno i primi. Come la Mosca comunista, Raqqa offre sostegno, consiglio, asilo, finanziamento, indottrinamento e armi a chiunque voglia aderire al nuovo regno (di pochi giorni fa è il primo appello di reclutamento degli jihadisti in cinese. I volontari da tutto il mondo diventano la forza d'urto dello Stato islamico in Siria e Iraq: privi di legami parentali, patrimoniali e tribali con questi Paesi, dipendono in tutto dall'organizzazione che li ha condotti fin lì.
  3. L'Isis pratica il terrore come principale forma di esistenza, non solo per governare, ma per plasmare l'"uomo nuovo". "Viviamo in un regime di terrore e violenza. Ma dobbiamo ricordare che l'uomo discende dalla bestia, gli è facile cadere, ma difficile rialzarsi. Coloro che con rabbia condannano a morte masse di loro simili, e con soddisfazione eseguono le condanne, così come coloro che vengono costretti con la forza a partecipare, difficilmente potranno restare creature che pensano e sentono come umani", scriveva il premio Nobel Ivan Pavlov a Molotov nel 1934. L'ex ministro della Giustizia di Lenin aveva perfettamente compreso che si trattava non di un'esplosione di furore popolare, ma di un sistema: "Il terrore è un sistema, creato e legittimato dal regime come piano di intimidazione, coercizione e sterminio di massa, è un elenco preciso di punizioni, repressioni e minacce con le quali il governo terrorizza, tenta e costringe" (Isaas Steinberg, ex ministro della giustizia di Lenin, Gewalt und
    Terror in der Revolution. Berlin, 1974).
  4. L'Isis pratica una sorta di socialismo, o comunismo di guerra, dove ai militanti viene assegnato d'ufficio, gratis o con forte sconto, tutto: cibo, case, mogli. L'economia dell'Isis si basa sulla rapina, la requisizione di quello che prima apparteneva ai “nemici”, il 44% delle entrate secondo le fonti dello stesso califfato (Lorenzo Trombetta, ANSA, 5 dicembre 2015), seguito da un altro 23% di entrate da tasse sulla popolazione. I jihadisti vanno a occupare le case altrui (i proprietari vengono uccisi, o riempiono i campi profughi europei) e godono di comfort che non avevano mai sperimentato. Come i proletari che si insediavano negli appartamenti dei borghesi fuggiti o ammazzati. L'organizzazione diventa la fonte principale di sostentamento oltre che di avanzamento sociale.
  5. Come il bolscevismo, e come ogni rivoluzione l'Isis arruola giovani, sfruttando la frustrazione e l'eccesso di adrenalina di individui ancora non formati, alla ricerca dell'accettazione da parte di un gruppo. L'analisi dei reclutati occidentali mostra come spesso sono dei disadattati, che si sentono soli, frustrati, incompresi e non apprezzati a livello personale, e discriminati a livello sociale. La rivoluzione ribalta i ruoli sociali e anagrafici sulla canna di un fucile, fornisce loro potere di vita e di morte, permette loro di dettare le regole, in una sorta di feroce festa della disobbedienza adolescenziale. Nella Russia del 1917 si poteva venire uccisi per una cravatta “da borghese”, i giovani khmer rossi di Pol Pot trucidavano chi portava gli occhiali, le ragazze reclutate dall'Isis frustano con entusiasmo chi non ha il velo abbastanza lungo.
  6. Qui merita una nota il ruolo delle donne. Apparentemente il comunismo offriva molta più emancipazione dell'islamismo, e infatti  nella rivoluzione del 1917 le donne erano numerose, e il 40% erano aristocratiche, borghesi o intellettuali. Per molte di loro era un'avventura letteraria, esattamente come per le ragazze inglesi o russe che oggi scappano con l'Isis. Ma le jihadiste hanno molto più “women power” di quanto appaia al nostro occhio europeo: guerrigliere, martiri, poliziotte soddisfano i loro istinti di potere, anche se probabilmente lo Stato islamico resta poco adatto per chi ha aspirazioni più “borghesi” di vita familiare.
  7. Anche i leader (dell'Isis come del comunismo storico) spesso sono dei drop-out rispetto al sistema. Gli attentatori delle ultime stragi non vengono mai dagli strati più disagiati degli immigrati, semmai il contrario (i kamikaze di Londra 2005 erano studenti universitari, quelli di Parigi 2015 possedevano locali), così come i capi bolscevichi non erano quasi mai degli operai in nome dei quali lottavano. Due terzi di loro appartenevano a minoranze etniche diverse dai russi e a ceti istruiti e famiglie mediamente benestanti. Famiglie in transito da una condizione inferiore a una superiore, e laddove i padri si accontentano di quello che hanno conquistato, anche perché ben consci delle condizioni da cui erano partiti (vale soprattutto per gli immigrati), i figli si sentono diseredati rispetto ai loro coetanei della “maggioranza”. In altre parole, più che la salvezza dalla povertà, cercavano maggiori diritti di cittadinanza, percepiti come negati o concessi in quantità insufficiente a gruppi etnici e/o sociali emergenti rispetto all'ordine costituito. Nella rivoluzione Lenin, Trozky e compagni cercavano quel potere che, con lo zar, avrebbero impiegato probabilmente altre due generazioni ad avvicinare (per gap culturali e sociali, o per pregiudizi, come nei confronti degli ebrei). Maurice Paleologue, ambasciatore francese alla corte dello zar, autore di preziose memorie, nel 1917 descriveva Lenin come "utopista e fanatico, profeta e metafisico, estraneo all'idea dell'impossibile e dell'assurdo, impermeabile a ogni sentimenti di giustizia e pietà". Potrebbe essere il ritratto di al-Baghdadi.
  8. La chiamata a raccolta degli emarginati, o comunque persone che si percepiscono come tali, riproduce il fenomeno della quinta colonna. Con la nascita della Russia bolscevica i proletari del resto del mondo furono visti all'improvviso come minaccia. Ogni singolo incidente ora poteva incendiare una rivolta perché i proletari avevano alle spalle un'entità che li difendeva. Oggi il “nuovo proletariato” dei musulmani viene visto da molti occidentali come un esercito di potenziali militanti assassini, e singoli folli, come a San Bernardino o Londra, trasformano la loro frustrazione individuale in battaglia ideologica: vai ad accoltellare chi ti ha chiamato sporco arabo in nome dell'Isis. La paura dell'Urss ha portato in Occidente i sindacati, le 8 ore lavorative e lo Stato sociale. Resta da vedere se la paura della “quinta colonna musulmana” porterà a nuove moschee e quote in parlamento per le minoranze di cui cercare il consenso, o se prevarrà l'idea di confinarli (grazie al fattore “straniero”, impossibile da applicare contro i proletari autoctoni).
  9.  Non è un caso infatti che le simpatie per l'Islam, ancora prima dell'Isis, albergavano soprattutto nei mondi nostalgici del comunismo (ma anche frange di estrema destra, o gruppi con storie completamente diverse, come gli afroamericani musulmani di Farrahan), e che i convertiti occidentali spesso fanno una predica antisistema assimilabile a retoriche dell'estrema sinistra. Il senso coincide: siamo ingannati e sfruttati, siamo le vittime del mondo moderno e globale governato dal profitto, i nostri nemici sono americani, ebrei e liberali, i musulmani sono le vittime del XXI secolo, che non hanno da perdere nulla se non le loro catene. Non per arrivare al radioso avvenire, ma per ritornare in un ideale passato arcaico, e qui sta una delle poche differenze ideologiche. Ma in entrambi i casi si tratta di un mondo utopico, che si persegue nella vita terrena con una tenacia fanatica.

Cosa suggerisce la storia sul futuro dell’Isis

I parallelismi possono continuare. Proseguendo il confronto, se non vuole franare come ogni teocrazia fanatica e ogni comunismo di guerra, l'Isis dovrebbe a un certo punto produrre un Stalin che ammazzerà il Trozky della circostanza e sostituirà la festa della rivoluzione permanente con un nation building serio. Rimanderà la rivoluzione globale a data da definirsi e cercherà un qualche tipo di coesistenza con il resto del mondo. Del resto, qualcuno in Occidente già comincia a dire che bisogna riconoscere l'Isis come Stato. Come fu riconosciuta dagli Usa, dopo 30 anni di braccio di ferro, la Cina di Mao. “La comunità internazionale ha spesso cercato di ostracizzare movimenti rivoluzionari, solo per poi riconoscerli malvolentieri una volta che la loro capacità di durare è stata dimostrata”, scrive Stephen M. Walt. Il primo paese ad aver riconosciuto l'Unione Sovietica, nel 1924, è stato il Regno Unito, seguito subito dopo da tutti gli altri Paesi europei e dagli Usa. E ci sono voluti 70 anni di confronto militare ed economico per abbattere lo Stato nato nel 1917, mentre stiamo ancora a subirne le conseguenze. Resta da sperare che il mondo contemporaneo viaggi più veloce, e che l'Isis non duri per 70 anni.