Con la vicenda panamense abbiamo a che fare con il denaro degli autocrati e con una massa di denaro che non può avere effetti sistemici, ma che si presta ad affrontare – in modo semplice - i nodi della “diseguaglianza”, dell' “evasione”, eccetera.

In seguito (questa è la storia “ufficiale”) ad una segnalazione di un dipendente (“ribelle”) di un grande studio legale e fiscale panamense (che però nega, perché la sottrazione, secondo loro, è avvenuta con un “attacco informatico”), un gruppo di giornalisti, in origine solo tedeschi, incomincia ad indagare sui clienti dello studio (che intanto nega ogni irregolarità). Ne nasce un'inchiesta che coinvolge dei personaggi che sono potenti, ricchi, e famosi. Ed ecco che tutti ne parlano.

Si ha una vicenda di natura generale (perché costoro stipano i denari in paradisi opachi?), ed una di natura particolare (se un italiano stipa i denari a Panama, ma lo ha dichiarato, oppure non lo ha dichiarato, ma poi si è applicato alla voluntary disclosure, è nella legge ...). Qui discutiamo la vicenda di natura generale.

Se la democrazia è quel sistema che consente il ricambio della classe dirigente senza spargimento di sangue, allora un autocrate ha interesse a stipare i denari all'estero per poter sopravvivere, se perdesse il potere. Un politico eletto democraticamente, una volta che abbia perso il potere, può, invece, ritirarsi a vita privata senza paura di ritorsioni. Perciò, nella vicenda dei conti esteri opachi si ha una giustificazione (come “razionalità rispetto alla scopo”) per gli autocrati, ma non per il politico democratico. Che poi l'autocrate, perso il potere, difficilmente riesce a scappare è altra storia. A guardare la lista dei Panama Papers si ha un gran numero di autocrati - alcuni dei Paesi arabi, ed altri delle Repubbliche ex-sovietiche. Ciò che non smentisce quanto appena affermato.

Poi si hanno le “élite senza potere”, come i divi dello spettacolo. Il movente di questi ultimi nello stipare i propri denari nei Paesi opachi è meno evidente del movente degli autocrati, potendo essi sopravvivere allo spegnimento delle luci del sipario senza alcun timore. Il movente potrebbe essere quello dell'elusione fiscale.

Fra questi due estremi si hanno le imprese e i dirigenti d'impresa. Le prime possono essere interessate ad avere dei conti che servono a oliare i meccanismi delle commesse (e quindi abbiamo i nuovo una “razionalità rispetto allo scopo”), mentre con i secondi rientriamo nella casistica dei divi dello spettacolo.

Alla fine, colpisce - da quel che si intravvede dalle carte panamensi - la mancanza, salvo qualche raro caso,  dei ricchi e dei potenti che possiamo definire come “occidentali”. Questi hanno tutti i loro denari nei Paesi d'origine? Può essere, ma forse hanno stipato almeno una parte della propria ricchezza in altri paradisi, meno esotici di Panama. Per esempio, oltre che in alcuni Paesi europei, in alcuni Paesi asiatici.

Perciò la vicenda di Panama – nella sua essenza - può essere osservata in questo modo: gli autocrati stipano i propri denari a Panama, mentre i ricchi “occidentali” nemmeno ci pensano, perché, semmai, vanno da altre parti. Gli autocrati dei Paesi arabi e dell'ex Unione Sovietica hanno meno dimestichezza con la finanza. I primi sono diventati ricchi negli ultimi decenni, gli altri nell'ultimo ventennio. Hanno perciò una “curva di esperienza” nella gestione della ricchezza meno ripida. Sono nelle prime fasi della ricchezza e quindi non conoscono ancora le “buone maniere” dei ricchi da tempo.

La vicenda panamense è stata trattata da alcuni come la prova dell'esistenza di grandi ricchezze che sfuggono ai sistemi fiscali. Ricchezze che, se non sfuggissero, potrebbero essere usate per finanziare lo “stato sociale”. E quindi, per questa via, per avere una riduzione delle diseguaglianze. La vicenda panamense è stata trattata da altri come una ricchezza che sfugge e che interviene con peso nelle cose del mondo. Questa ricchezza, per quanto cospicua, è però poca cosa rispetto a quella gestita dalle assicurazioni, dai fondi pensione, e dai fondi comuni.

In conclusione, con la vicenda panamense abbiamo a che fare con il denaro degli autocrati e con una massa di denaro che non può avere effetti sistemici, ma che si presta ad affrontare – in modo semplice - i nodi della “diseguaglianza”, dell' “evasione”, eccetera.