Sebbene i Panama Papers non rappresentino di per sé una novità eclatante - ricchi possidenti che cercano, anche al limite della legalità, di proteggere i propri capitali - il coinvolgimento nella vicenda di diversi capi di governo potrebbe provocare scivoloni politici e ripercussioni considerevoli

All’indomani dell’esplosione globale innescata dai Panama Papers, non pochi Americani hanno pensato che le rivelazioni siano vento in poppa alla candidatura di Bernie Sanders alla presidenza degli Stati Uniti. Il candidato democratico non ha mancato infatti di commentare l’impatto dei Panama Papers con un prosaico “I told you so” (ve l’avevo detto) ricordando di essersi sempre opposto al Panama Free Trade Agreement ed osservando che le dimensioni delle manovre finanziarie mirate ad evadere il pagamento di tasse sono “maggiori di quel che temevo”. Se verrò eletto Presidente – promette Sanders – cancellerò l’Agreement entro sei mesi e “aprirò un’immediata indagine su banche, aziende e individui che hanno occultato denaro a Panama per evitare tributi”.  

Lo scandalo dei Panama Papers conferisce un significato realistico e credibile alle enunciazioni di Sanders in fatto di accordi e pratiche commerciali, a cominciare dall’impegno di rinegoziare tutti i trattati commerciali degli Stati Uniti. Detto questo, era inevitabile che venisse paragonato all’aspirante repubblicano Donald Trump che, sin dagli inizi, ha fatto sapere che intende sbarazzarsi di tutti i “cattivi accordi” in atto e di sostituirli con migliori accordi. La conseguenza più promettente per Sanders è che lo scandalo gli permette di denunciare il voltafaccia di Hillary Clinton che, dopo aver avversato l’Agreement durante la campagna elettorale del 2008, si schierò a favore della sua approvazione quando divenne Segretario di Stato. Sul piano politico ed sociale, la conseguenza dei Panama Papers è di alimentare e intensificare la rabbia (un termine che ricorre spesso nel presente frasario elettorale americano) per l’innegabile fatto che le massicce evasioni fiscali dei plutocrati sottraggono fondi alle entrate dei governi risultando in un maggior carico fiscale sulla classe media, che finisce col soffrire un fardello sproporzionato. In pratica, si dà luogo ad un vero e proprio trasferimento di ricchezza dai contribuenti con redditi modesti ai plutocrati assistiti dallo studio legale Mossack Fonseca.  

Quanto ai beneficiari degli intrallazzi di Mossack Fonseca, un dato eclatante è che tra essi figurano dodici attuali o passati capi di stato. I Panama Papers coinvolgono un universo di personaggi di grande spicco nei campi della politica, dello spettacolo e sport, una pletora di persone ricchissime ed in aggiunta un sorprendente numero di criminali, molti dei quali condannati da varie magistrature. I clienti americani dei Mossack Fonseca rappresentano in verità solo una piccola parte delle attività dello studio. Sarebbero infatti solo duecento le compagnie registrate con titolari americani. La ragione è presto detta: la “corporate law” degli Stati Uniti è tale che non è necessario aprire una “shell company” ossia un’entità di comodo all’estero. Di fatto, quindi, lo scandalo dei Panama Papers investe principalmente l’Europa, come dimostra del resto l’interessante particolare che la stampa maggiore degli Stati Uniti, e segnatamente il New York Times, è stata esclusa dal circuito delle rivelazioni. Altrettanto interessante è la rivelazione che trentatré titolari dei conti segreti sono persone e aziende “blacklisted”, ossia segnate nella lista nera dagli Stati Uniti per i loro rapporti commerciali con Hetzbollah, la Corea del Nord e l’Iran.  Non meno rilevante è la scoperta che la Cina è il Paese più coinvolto, anche per conto dei suoi leader, nelle operazioni di investimento occulto all’estero.

Esperti fiscali americani osservano che lo “offshore banking” ovvero il possesso di conti bancari all’estero, inclusi i paradisi fiscali, è completamente legale. Ma gli Americani che dispongono di conti superiori ai 10.000 dollari devono denunciarli alla IRS, l’agenzia delle entrate americana. In caso contrario, possono essere perseguiti per evasione fiscale. Il reato sorge quando il processo di false registrazioni introdotto da Mossack Fonseca ed altri studi legali permette ai megaricchi di lavare denaro ed evitare tasse e sanzioni. Per molti anni, il governo degli Stati Uniti ha fatto ben poco per regolamentare i conti “offshore” e per imporre il rispetto della regolamentazione esistente. Ma dal 2009 a questa parte, il Dipartimento della Giustizia ha stretto i freni nei confronti di banche estere che permettevano ai cittadini americani di depositare fondi per evitare il pagamento di imposte negli Stati Uniti. Due banche in particolare venivano prese di mira, Credit Suisse e UBS, che ammetteva di aver facilitato l’evasione fiscale e poi accettava di pagare 780 milioni di dollari sotto forma di multe, interessi e restituzioni. Da quel momento, era una cascata di centinaia di indagini della magistratura a carico di soggetti fiscali coinvolti nello “offshore banking”. Molti venivano condannati per evasione fiscale, ma la maggioranza correva ai ripari pagando tasse arretrate. Una nuova legge entrata in vigore nel 2010, il Foreign Account Tax Compliance Act, ha introdotto un più severo sistema di controllo dei conti bancari mantenuti all’estero da cittadini americani. La legge FATCA impone agli istituti finanziari non americani di identificare quei cittadini americani residenti all’estero (si calcola che siano 8.700.000) titolari di beni esteri. In pratica, la FATCA scopre beni anziché redditi. La legge sta avendo un enorme impatto per l’erario americano, se si pensa che fino a tempi recenti questo perdeva annualmente tra i 40 e 70 miliardi di dollari per la mancata riscossione di tasse offshore. Stando ad uno studio della Commissione Tributaria del Congresso americano, l’applicazione delle norme FATCA dovrebbe fruttare 8 miliardi 700 milioni di dollari di gettito fiscale addizionale in un periodo di undici anni. Vale la pena di rilevare che le conseguenze della legge sono assai pesanti nel campo bancario internazionale, ma la ricaduta più immediata è che il numero dei cittadini americani all’estero che rinunciano alla cittadinanza è aumentato sette volte a partire dal 2010. In sostanza, gli Americani all’estero sono “terrorizzati” dalla prospettiva di ingenti multe e dall’impossibilità di aprire e mantenere conti esteri. Resta da segnalare che la FATCA ha generato un mare di proteste da parte delle associazioni di Americani residenti all’estero e non pochi ricorsi alla magistratura che denunciano una presunta violazione della Costituzione.

Per concludere, tornando ai Panama Papers ed al gigantesco volume di illegalità connesse con la costituzione di società di comodo, la realtà è che lo studio Mossack Fonseca è solo uno delle migliaia di intermediari che per decenni hanno permesso a 210.000 aziende, trust funds, fondazioni e ricchi personaggi di procedere ad evasioni fiscali e lavaggi di denaro nel mondo. Vero è che in molti casi i “loopholes” ossia le scappatoie dei ricchi per non pagare le tasse non sono illegali, ma la portata dello scandalo è tale che gli Stati dovrebbero renderle tali. In una congiuntura internazionale caratterizzata da estrema diseguaglianza e da massicci problemi sociali, gli effetti dell’evasione fiscale praticata dai ricchi e potenti mettono a dura prova la capacità delle società di sopravvivere e fornire servizi sociali. Le ingiustizie tributarie e gli eccessi del capitalismo globale, come quelli denunciati da Bernie Sanders, minano la democrazia nel mondo. C’è da sperare che lo shock globale, che ha già prodotto la caduta del primo ministro islandese, metta in moto una revisione di quel capitalismo globale tollerante degli eccessi tra cui primeggia l’evasione fiscale che altro non è che una forma imperante di corruzione.