Amplificati da televisione e social media, i recenti atti di violenza condotti contro civili inermi e forze di polizia, alimentano paure e isterismi nella società americana.

La violenza, dalle cruente azioni terroristiche in Europa alla guerra scatenata da elementi fanatici contro le forze di polizia negli Stati Uniti, ha spalancato le porte ad una crescente incertezza circa l’evolversi della campagna elettorale americana ed il suo esito. Mentre il Presidente Obama non fa che ripetersi condannando “il lavoro di codardi che non parlano per nessuno”, è un fatto che la violenza estrema contro i poliziotti cominci ad apparire come routine. Il fattore che sta rivelandosi sempre più incendiario è la comunicazione dei social media che nel giro di pochi minuti rivelano al mondo intero l’efferatezza delle uccisioni di uomini di colore, come è avvenuto nel caso della fidanzata di Philando Castile che ha diffuso su Facebook le sconvolgenti immagini della morte dell’uomo, freddato da un poliziotto mentre era seduto al posto di guida della sua auto con la figlioletta nel sedile posteriore. Il movimento di protesta dei neri americani non ha mancato di segnalare che la successiva uccisione di cinque poliziotti a Dallas non si sarebbe verificata se migliaia di persone non fossero scese in piazza per dimostrare contro la violenza ad opera della polizia.

Sulla spinta dei social media, la frase Black Lives Matter è ormai incisa nelle coscienze di una gran parte degli americani. Le immagini di uomini neri che muoiono ripresi dai video di spettatori dell’ingiustificata violenza della polizia hanno creato un vero e proprio trauma nazionale. A questo trauma se ne è ora aggiunto un altro, anch’esso cristallizzato da una frase, Blue Lives Matter, il colore delle divise delle forze dell’ordine. Nell’ultimo attacco in ordine di tempo contro la polizia, l’uccisione di tre agenti di Baton Rouge (Louisiana) da parte di un ex marine, è emerso che l’assalitore aveva frequentato vari web sites contenenti accuse alla polizia da parte di circoli e cittadini di colore. Già al tempo dei gravi incidenti di Ferguson provocati dall’uccisione di Michael Brown, gli osservatori avevano denunciato il ruolo dei social media nel richiamare sul luogo delle violente dimostrazioni di protesta un gran numero di elementi facinorosi da località distanti, anche fuori dello stato. La situazione creatasi in tal modo aveva costretto le forze dell’ordine a dislocare speciali unità con il compito di isolare gli elementi esterni più pericolosi dalla massa dei dimostranti pacifici.

Non vi è dubbio che la violenza presentata dalle trasmissioni televisive ed in misura crescente dai social media non manca di produrre in certi spettatori effetti sotto forma di iniziative violente indotte, se non altro perché producono comportamenti che, in normali circostanze, gli stessi non prenderebbero in considerazione. Sin dai giorni della sommossa egiziana del 2011, gli studiosi hanno analizzato l’espandersi degli spazi interconnessi, da quello fisico rappresentato dalla protesta in atto, a quello analogico (la televisione satellitare e altri media mainstream) ed infine a quello digitale (internet e social media). La cosiddetta “sfera pubblica amplificata” che ne deriva definisce, a detta degli stessi studiosi, l’ambiente informatico che si crea quando ogni spazio informa gli altri. Nel caso più eclatante, quello dell’Egitto, fu così che lo spazio fisico “internazionalizzato” della piazza di Tahir fu amplificato dai social media in una copertura totale mainstream.

La corrente esplosione di conflittualità negli Stati Uniti tra la gente di colore e gli organi di polizia dimostra, secondo vari esperti, come la crescente polarizzazione possa trasformare gli stessi media in attori che istigano il conflitto. Ma vi è un altro fenomeno che prorompe sulla scena sociale d’America, la figura del “lone wolf”, il lupo solitario le cui azioni criminali vengono istantaneamente attribuite ad un copione tragicamente familiare, quello dell’estremista islamico ispirato da al Quaeda o, nella versione contemporanea, dall’ISIS. Di nuovo c’è il fatto che il lupo solitario, che generalmente attaccava bersagli “civili”, da qualche tempo fa strage tra militari; balza alla memoria il caso di Mohammad Youssuf Abdulazzez che nel 2015 uccise cinque marines a Chattanooga. Per quanto Abdulazzez sia stato collegato ad al Qaeda, ISIS, Siria e Yemen, il Federal Bureau of Investigation (FBI) continua a classificarlo come “un estremista violento home grown” ossia cresciuto in casa. Ed ora il lupo solitario fa strage tra gli uomini in blu ed è tanto più pericoloso per il fatto che è estremamente difficile individuarlo e neutralizzarlo con una difesa preventiva. Uno studioso del terrorismo, Ramon Spaaij, è giunto alla conclusione che i lupi solitari tendono a creare le proprie ideologie che associano frustrazioni personali con più ampie lagnanze politiche, sociali o religiose. Un’altra osservazione degna di nota è che, per quanto i lupi solitari non siano per definizione affiliati con organizzazioni terroristiche, sono simpatizzanti di tali gruppi estremisti e, in certi casi, si identificano con essi. Le organizzazioni terroristiche infatti offrono “ideologie convalidanti” ai lupi solitari e permettono loro di trasferire le frustrazioni personali in altre manifestazioni trasgressive. Di nuovo c’è uno sviluppo mediatico nel senso che, mentre in passato i lupi solitari non comunicavano ad altri le loro intenzioni, adesso fanno uso delle reti disponibili attraverso il computer.

Il lupo solitario di Baton Rouge, Gavin Long, ha lasciato infatti molte tracce digitali, dai post su siti web ai video su YouTube ed ai podcast, che includono informazioni biografiche e personali. Dalle sue dichiarazioni e conversazioni emerge il ritratto di un personaggio afflitto da paranoia, che in varie occasioni si presentava come membro di una comunità online di individui presi di mira da armi di “mind control”. In una discussione sulle vittime di colore della violenza da parte di forze di polizia, Long auspicava una “risposta di sangue” invece che proteste successive alle uccisioni. L’unica risposta – affermava – è quella di reagire “lottando e versando sangue”. In breve, Long non risponde allo stereotipo di un individuo plagiato dall’islamismo estremo, ma piuttosto presenta tutte le caratteristiche di un nazionalista nero.

Per molti casi di stragi ad opera di lupi solitari vale dunque la definizione di “domestic terrorism” ossia di terrorismo interno. Ma l’accezione che è andata diffondendosi è quella che associa la figura del lupo solitario al “terrorista islamico”. Uno dei problemi che solleva è che la categorizzazione di individui solitari come terroristi spinti ad agire da una certa ideologia oscura molti altri fattori che di fatto determinano il ricorso alla violenza. Una cosa è certa infatti, che i terroristi solitari si differenziano dalla società generale in quanto uno su tre accusa seri problemi mentali o disturbi di personalità prima di dar corso ad atti di violenza politica. Un argomento che spunta regolarmente all’indomani dell’azione criminosa è che avrebbe potuto essere evitata se gli individui a rischio avessero ricevuto un trattamento mentale prima che facessero ricorso alla violenza.

Resta il fatto che il lupo solitario è “il nuovo incubo” dell’America, una spada di Damocle che viene percepita come più pericolosa dell’ISIS o al Qaeda. Razionalmente, gli Americani non dovrebbero perdere il sonno per la minaccia del lupo solitario. Dal 1940 al 2012, 136 persone sono rimaste vittime di attacchi terroristici individuali, un’inezia al confronto con i 14.000 omicidi che l’FBI registra in media ogni anno. L’escalation retorica sul “nuovo incubo” si accompagna purtroppo a terrificanti descrizioni di ispirazione politica come quelle sciorinate alla Convenzione Repubblicana dallo sceriffo della contea di Milwaukee, David Clarke, secondo cui gli Americani devono far fronte ad una ‘”guerriglia urbana”. Lo sceriffo si è lanciato in una dura requisitoria contro il movimento Black Lives Matter accusandolo di perseguire una rivoluzione contro lo stato basato sulla legge. Quella del lupo solitario è “una falsa narrativa” – ha affermato dinanzi ai delegati plaudenti - ed “è giunta l’ora di venire in soccorso della polizia, i soldati sulla linea del fuoco in una guerra che non è terrorismo”.

Ed infine, quello che preoccupa il settore libertario degli Stati Uniti è che le contromisure invocate dagli organi nazionali di sicurezza danneggiano una società libera per una ragione precipua, quella di permettere a tali organi di raccogliere informazioni con sensori e altri metodi sofisticati, che non mancherebbero di distruggere totalmente la privacy dei cittadini americani. In conclusione, le ricorrenti tragedie di uccisioni di uomini neri e gli ingiustificabili attacchi contro le forze di polizia sono indubbiamente collegati tra loro, ma i pericoli che pongono congiuntamente alla società sono ben più complessi, per non parlare delle paure e degli isterismi che portano ad inasprire sia il terrorismo vero e proprio, sia l’apparizione dei lupi solitari.