Nell'Europa dell'Est si è creata una fascia di Stati autoritari e illiberali. Società che a loro tempo avevano scelto la libertà e l'economia di mercato ora sono inclini a ripudiare questa scelta storica. Come conseguenza, l'Europa occidentale si trova circondata da vicini pericolosi, che vanno presi sul serio.

Con la caduta del blocco orientale e dell'Unione Sovietica (1989-91), la metà orientale dell'Europa – una regione enorme che si estende dall'Oceano Artico al Bosforo, e dagli Urali all'Adriatico – è diventata terreno di cambiamenti politici e socioeconomici epocali. Dal 1989 al 2018 la percezione prevalente dei vari eventi all'interno di ogni singola società, e nella regione in generale, era intrisa di ottimismo. La fine dell'esperimento comunista veniva vista come un segno della speranza per l'espansione delle libertà e dell'emancipazione degli abitanti dei Paesi postcomunisti e postsovietici. Probabilmente, proprio per questa ragione la svolta illiberale nell'Est ha colto molti di sorpresa.

L'ottimismo dei politici, degli studiosi e dei giornalisti all'inizio si manifestava nei termini della teoria della transizione: si credeva che le società dell'Europa orientale avrebbero imboccato il “corso normale della storia”, che implica la democrazia liberale e il capitalismo di mercato. Queste idee hanno ispirato gli ingegneri dei nuovi Stati e delle nuove economie e i ricercatori e gli esperti impegnati a monitorare l'istituzionalizzazione delle libertà politiche ed economiche. L'indice Freedom in the World venne creato proprio nella cornice di questo approccio teorico.

All'inizio del XXI secolo questa convinzione venne ridimensionata all'ottimismo meno ambizioso della teoria della democratizzazione. Il lento sviluppo e alcuni segnali di regresso nell'Est europeo venivano visti come una realtà spiacevole, che avrebbe dovuto comunque portare agli obiettivi auspicati della transizione. Il caso della Slovacchia, che all'inizio arrancava dietro la vicina Repubblica Ceca, per poi compiere rapidi progressi tra il 2001 e il 2004, alimentava l'ottimismo. Il frutto di quell'epoca è stato il Democracy Index.

Gli approcci ottimisti sopramenzionati verso lo studio dello sviluppo della libertà nell'Est sono solidi e fondati. Essi però si concentrano sull'establishment e sull'utilizzo delle istituzioni formali della democrazia: un metodo insufficiente per accorgersi della crescita degli istituti informali di potere, e della diffusione di simpatie illiberali. Per questa ragione, gli accademici occidentali hanno per molto tempo descritto la Belarus come “l'ultima dittatura d'Europa”, anche se un approccio più realistico avrebbe dovuto definirla il primo regime autoritario nato dopo la caduta del comunismo.

In una visione ispirata al realismo, il processo della costruzione dello Stato, dell'economia e della nazione nei Paesi postcomunisti è avvenuto in condizioni molto specifiche di istituzioni di governo in rovina, di caos nell'economia e della sicurezza sociale distrutta. Come ha indicato Balint Magyar nel suo fondamentale libro ‘Post-Communist Mafia States’, la transizione postcomunista non iniziò da una tabula rasa, bensì da una esperienza specifica di società vissuta in regimi totalitari.

Le prassi e i modi di comunicare generati da questa esperienza, insieme all'ottimismo infondato dei nuovi costruttori degli Stati, hanno predeterminato uno sviluppo bilaterale. In superficie le società postcomuniste mostravano in effetti nuove istituzioni democratiche e di mercato. Ma sotto la superficie, stavano germogliando metodi di fare politica e business assai differenti, definiti in seguito “mafie” (da Magyar) o “reti patronali” (da Henry Hale). Questi metodi ignoravano la differenza tra sfera pubblica e privata e si sono sviluppati in forma di gruppi informali che controllavano i centri del potere e i principali flussi finanziari, oltre a garantire ai loro membri un certo grado di protezione nelle nuove società, caratterizzate da un livello di rischio estremamente elevato. In termini realistici possiamo dire che la transizione postcomunista stava creando sistemi politici ed economici nuovi, con una facciata che sembrava occidentale e un nucleo patronale. Gli accademici occidentali hanno coniato per questo fenomeno la debole definizione di “corruzione sistemica”.

Abbandonando la visione ottimista dell'Est e applicando invece un'ottica più realistica, si vede che l'Europa orientale si sta trasformando in una regione dalle forti tendenze autoritarie, sostenute dalla diffusione nelle società locali dell'illiberalismo. Questo cambiamento nella natura dei sistemi politici è stato di recente registrato dall'indice Freedom in the World Index (figura 1) e dall'indice Economist Intelligence Unit's Democracy (figura 2).

Figura 1 - Riduzione nel Freedom in the World Index negli ultimi dieci anni

mik 1
mik 1

Fonte: Freedom in the World Index Freedom House

 

Figura 2 - Democracy Index, anno 2017

 

mik 2
mik 2

Fonte: The Economist Intelligence Unit

 

Entrambi i sistemi di misurazione però erano troppo focalizzati sulle questioni di facciata per registrare tempestivamente la svolta illiberale.

Osservando il sottobosco patronale si ottiene una visione molto diversa dell'Europa orientale. La diversità dei regimi dell'Est con un nucleo patronale può essere descritta in quattro tipi di sistemi politici. Questa differenziazione si basa sul grado di istituzionalizzazione raggiunto dalla politica patronale, e sul livello di sostegno che essa riceve dalle élite locali e dalla popolazione.

La prima tipologia è un autoritarismo esplicito. Regimi di questo tipi sono stati instaurati negli ultimi decenni in Azerbaijan, in Belarus e in Russia. In questi casi la politica patronale ha assunto la forma di una “verticale di potere”, un sistema che sottomette tutti i rami del governo e le amministrazioni centrali e locali a un unico centro di potere. Grazie a una crescita lenta e accurata questi sistemi non richiedono repressioni di massa, e funzionano con un sostanziale appoggio delle rispettive società.

Il secondo tipo di società patronali è un autoritarismo competitivo. Gli esempi più evidenti sono l'Armenia, la Georgia, la Moldova e l'Ucraina. In questi Paesi i gruppi informali restano predominanti su quelli formali, ma il livello di competizione è talmente elevato che il tentativo di uno dei clan di costruire una propria “verticale di potere” viene fatto fallire dai clan concorrenti, che spesso si alleano con gruppi sociali più ampi, a volte con proteste che assumono la forma di rivoluzioni (come nella rivoluzione delle Rose in Georgia, durante l'Euromaidan in Ucraina o le recenti proteste in Armenia). Grazie alla competizione dei clan il regime conserva sempre un certo livello di pluralismo politico, anche se i rischi di rivolta, povertà e secessionismo sono molto elevati.

La terza categoria di sistemi politici dell'Europa orientale è una democrazia illiberale conservatrice. In Ungheria, Lettonia, Lituania o Polonia le strutture informali competono con quelle formali. Queste ultime sono state sviluppate negli ultimi trent'anni sotto la supervisione dell'Occidente, e soffrono di una carenza di appoggio interno. In questi Paesi la democrazia sempre di più significa governo della maggioranza, non il governo della legge. La maturazione di un populismo etnocratico che erode i progressi democratici è particolarmente visibile in Ungheria e Polonia.

Il quarto tipo di regimi dell'Est Europa è quello dei signori della guerra negli Stati non riconosciuti. Questa categoria – che resta invisibile per i due sistemi di misurazione menzionati sopra – comprende oggi sei entità: l'Abkhazia (parte della Georgia, in secessione dall'inizio degli anni Novanta), il Nagorny Karabakh (staccatosi dall'Azerbaijan dai primi anni Novanta), l'Ossezia del Sud (parte della Georgia, in secessione dall'inizio degli anni Novanta), la Transnistria (regione secessionista della Moldova, dai primi anni Novanta), e due territori che vogliono separarsi dall'Ucraina (le repubbliche popolari di Donetsk e di Luhansk, LNR e DNR, dal 2014). In queste entità, amministrate dai signori della guerra o da servizi di sicurezza che controllato amministrazioni locali di autogoverno di tipo ibrido ed economie molto povere, vivono più di quattro milioni di europei. Questo Stati de facto si trovano sono sanzioni internazionali e sono esclusi dal commercio internazionale, ma oggi sono abbastanza influenti presso tutti i movimenti secessionisti europei.

Insieme alla Turchia, un nuovo Stato autoritario e repressivo del Sudest europeo, la fascia autoritaria sta formando una realtà geopolitica sconcertante, che disprezza i confini dell'Unione Europea, l'ordine internazionale e la democrazia liberale. L'illiberalismo e il patronalismo sono contagiosi, e rappresentano il rischio di contagio per altri Paesi dell'Europa orientale e centrale.

Per quanto la svolta autoritaria possa essere significativa, esistono anche diversi Paesi che continuano a seguire una via di sviluppo alternativa. La Romania, l'Estonia, l'Uzbekistan e la Macedonia mostrano alcuni progressi rispetto al governo della legge e alla buona governance. L'Europa dell'Est è in difficoltà, ma non è senza speranza. Oppure sono troppo ottimista?