Dopo il commento “a caldo” di giovedì, ecco un ragionamento più esteso. La Banca Centrale Svizzera (BCS) per evitare un eccessivo rialzo del franco – dovuto alla domanda di franchi da parte di chi voleva uscire dall'euro – decide – nell'estate del 2011 – di fermare il cambio a 1,2 franchi per euro. Per fermare – meglio “fissare” - il cambio la BCS deve comprare euro e vendere franchi. Ossia, compra i titoli del Tesoro denominati in euro. E compra solo i titoli con il merito di credito maggiore – AAA e quasi AAA. Per dire, compra titoli tedeschi e francesi ma non italiani e spagnoli.

La BCS ne compra proprio tanti, fino ad avere riserve in attività finanziarie estere pari al proprio Prodotto Interno Lordo. Ossia, circa 500 miliardi di euro. Queste riserve per la metà sono in euro e per un quarto sono in dollari. Con la svalutazione dell'euro verso il dollaro e con il cambio del franco fissato contro l'euro, la BCS si trova ad avere delle riserve in gran parte ancorate alla valuta debole (l'euro) e meno pesata verso quella forte (il dollaro). La debolezza e la forza dell'euro e del dollaro si spiegano con le politiche monetarie che si stanno divaricando: più espansive nell'Euro-area più restrittive negli Stati Uniti.

Nel caso di una nuova crisi finanziaria, ossia nel caso ci fosse una nuova fuga verso il franco, la BCS dovrebbe comprare altri euro per tenere il cambio. Ma le obbligazioni denominate in euro a tripla A o assimilabili con un rendimento (a termine) positivo sono sempre meno. La gran parte delle obbligazioni ad alto merito di credito nell'Euro-area ha infatti un rendimento negativo almeno fino ai cinque anni. La BCS dovrebbe perciò comprare le obbligazioni italiane e spagnole per avere dei rendimenti positivi.

In caso di crisi la BCS si troverebbe di fronte ad un bivio: 1) comprare ancora le obbligazioni dei Paesi detti “ben messi” di corta e media durata con rendimento negativo, oppure comprare le obbligazioni a lungo termine degli stessi Paesi con un rendimento positivo ridicolo – intorno al 0,5%; 2) comprare le obbligazioni dei Paesi detti “mal messi”, come l'Italia e la Spagna, che hanno un rendimento positivo ma ridicolo lungo quasi tutto lo spettro delle scadenze – a dieci anni il 1,5% - ma sempre pari – a dieci anni - al triplo di quello altrui – 0,5%.

Di fronte al bivio hanno pensato che conveniva “mollare” il cambio ancorato a 1,2 franchi per euro. Possono anche aver pensato che se la Banca Centrale Europea (BCE) decide di comprare sul mercato secondario i titoli di stato – il famigerato Quantitative Easing (QE) – ecco che la BCS può vendere i titoli denominati in euro senza pesare troppo sull'offerta. Una vendita cospicua fatta in presenza di una domanda di un operatore della dimensione della BCE non dovrebbe pesare troppo sui prezzi e perciò favorire l'uscita parziale della BCS dai troppi titoli denominati in euro senza troppi danni.

Fin qui tutto bene – la decisione sembra una cosa saggia. Ma – ed è cosa non di poco conto - resta l'urto verso l'economia reale svizzera. Le esportazioni della Svizzera nell'Euro- area sono il 50% delle sue esportazioni. Una rivalutazione del cambio che dal livello ante crisi – quindi di quattro anni fa - di 1,6 franchi per euro fino a 1 franco per euro non può non avere un effetto devastante. Effetto devastante che non può essere compensato dal minor costo delle importazioni di beni intermedi dell'Euro-area che servono alla produzione del beni finali svizzeri. La borsa svizzera è, infatti, flessa molto sia giovedì sia venerdì.

I titoli di stato dell'Euro-area - in questi giorni di crisi legati alla rivalutazione del franco - non si sono mossi, perché a maggior ragione scontano l'arrivo del QE della BCE. A maggior ragione, perché senza il QE alle porte la decisione della BCS non si spiegherebbe. Lo stesso vale per le azioni, che sono salite, perché contano sui benefici del QE. Che poi questi benefici siano modesti sull'economia reale, non vuol dire che non lo siano per quella finanziaria. Tanto più bassi restano i rendimenti delle obbligazioni, tanto maggiore è l'incentivo ad avere azioni.