All'inizio di dicembre abbiamo avuto la riunione della Banca Centrale Europea (BCE), a metà dicembre quella della Banca Centrale statunitense (FED). La prima ha scelta una politica monetaria meno espansiva rispetto alle attese, la seconda una politica monetaria meno restrittiva sempre rispetto alle attese. Intanto, l'OPEC ha deciso di non tagliare la produzione, ciò che ha fatto cadere il prezzo del petrolio. Intanto che accadeva tutto questo, è emersa in Italia un'aspra polemica sulle banche minori per la loro emissione di obbligazioni “subordinate”. Questi tre temi sono affrontati separatamente più avanti. Mostriamo prima le nostre conclusioni in tre punti.

A - I mercati finanziari sono oggi in una condizione di “sospensione”, ossia non mostrano una direzione. In termini generali, le azioni hanno un rendimento (dividendo su prezzo) in linea con le medie storiche, mentre quelli obbligazionari (pubblici e privati) hanno un rendimento (cedola su prezzo) decisamente inferiori alle proprie medie storiche, come mostra il primo grafico.

 

anomalie di lungo periodo
anomalie di lungo periodo

 

B - L'anomalia è quindi tutta nel campo delle obbligazioni. E qui si ha il dibattito: l'anomalia è temporanea – ossia dipende dalle politiche monetarie così come sono oggi, oppure è il segno di un andamento profondo, che possiamo classificare come quello della “stagnazione secolare”? Il dibattito va ben oltre le vicende finanziarie e porta agli snodi di politica economica.

C - Per restare nel campo finanziario, se l'anomalia fosse temporanea, allora il rialzo futuro (un paio di anni, un anno?) dei rendimenti porterebbe ad un sommovimento del prezzo delle obbligazioni (i prezzi delle obbligazioni emesse che scendono per equiparare i rendimenti delle vecchie emissioni con quelli delle nuove emissioni), e per conseguenza anche in campo azionario - per la prima volta da molti anni il rendimento alternativo a quello azionario diventerebbe attraente e quindi le azioni dovrebbero rivedere il “premio per il rischio”. Ciò che avviene con i prezzi in flessione. Queste sono domande molto “pesanti”, di cui si dibatte, ma non come si dovrebbe. Non si è, in ogni modo, ancora avuta una rotazione degli investimenti dalle obbligazioni alle azioni. Nel caso statunitense gli investimenti delle famiglie in azioni sono, infatti, già belli pesanti, come mostra il seconda tabella.

 

Rotazione
Rotazione

 

1 – La decisione delle BCE e della FED

Si aveva nei mercati finanziari l'attesa di una ulteriore espansione monetaria nell'Euro-area: un tasso di interesse negativo sui depositi delle banche di credito ordinario presso la banca centrale ancora più marcato, e acquisti cospicui di obbligazioni e non solo dei Tesori. Se le cose fossero andate in questo modo: 1) i rendimenti delle obbligazioni pubbliche e private nell'Euro-zona sarebbero stati inferiori a quelli correnti e questo avrebbe spinto a comprare le obbligazioni in dollari (e quindi dollari), che hanno dei rendimenti maggiori; 2) i rendimenti minuscoli delle obbligazioni pubbliche e private avrebbero spinto all'acquisto di azioni.

La Banca Centrale Europea, invece, non ha “calcato la mano” - i rendimenti sui depositi sono diventati appena più negativi e gli acquisti di obbligazioni del Tesoro sono stati estesi nel tempo, ma non aumentati immediatamente come volume. Il ciclo al rialzo dei prezzi delle attività finanziarie spinto dalle politiche monetarie ancora più lasche non è sembrato potersi materializzare e perciò è emersa la “delusione”, con il prezzo delle azioni e del dollaro che sono scesi.

Dopo quasi dieci anni la FED ha deciso di alzare i tassi di interesse. Il rialzo è minuscolo – lo 0,25%, ma quello che conta è che cosa accadrà poi: le previsioni della FED medesima sono di un tasso di interesse intorno al 1,5% alla fine del 2016. L'inflazione corrente, se si escludono le componenti volatili come il petrolio ed il cibo, è già intorno 1,5%. Altrimenti detto, i tassi reali – quelli al netto dell'inflazione - attesi saranno intorno allo zero. Parlare quindi di “stretta” effettiva è fuori luogo, mentre si può parlare di stretta simbolica. I mercati finanziari possono continuare a ricevere liquidità con un costo compresso. E così i molti debiti – pubblici e privati, domestici ed internazionali – non costando troppo, possono aspettare che l'economia si riprenda per diventare sostenibili con un costo maggiore. La decisione della FED è quindi saggia.

Appena dopo la comunicazione della decisione i mercati delle azioni sono saliti per poi tornare nelle due sessioni successive al punto di partenza, Non si sono avuti movimenti di rilievo nel campo delle obbligazioni e del cambio del dollaro contro l'euro.

In conclusione, i due appuntamenti hanno mostrato delle banche centrali volte a non prendere delle decisioni “estreme”. Più precisamente, i mercati finanziari si aspettavano quattro andamenti di cui tre “direzionali”: 1) i rendimenti che restavano bassissimi – soprattutto nell'Euro-zona - per le obbligazioni emesse dei Tesori, 2) i rendimenti delle obbligazioni private – spinta dai rendimenti compressi di quelle pubbliche - che si schiacciavano per le obbligazioni private, 3) borse in ascesa, per la mancanza di rendimenti attraenti nel campo delle obbligazioni, 4) dollaro in ascesa, per effetto della divaricazione dei rendimenti fra gli Stati Uniti e l'Euro-zona. I movimenti 2),3),4) sarebbero stati quelli direzionali. Si sarebbe così materializzata un'ulteriore ascesa dei prezzi delle attività finanziarie (delle azioni, delle obbligazioni private, e del dollaro) e quindi un loro nuovo ciclo al rialzo. Le decisioni non estreme delle banche centrali hanno congelato la succitata spinta direzionale.

 

2 - La decisione dei Sauditi

La caduta del prezzo del petrolio riduce i ricavi delle imprese del settore, mentre riduce i costi degli utilizzatori. Più in generale – a seconda del livello delle accise – riduce anche la spesa per l'energia dei consumatori. E questo è noto, così come è noto che i paesi produttori ci rimettono, perché una parte non modesta delle loro esportazioni è nel campo delle materie prime, così come il loro stato sociale è in buona parte finanziato dalla rendita petrolifera e non dalle imposte.

Disponiamo nella tabella i tipi di petrolio a seconda delle sue fonti di estrazione e a seconda del suo punto di pareggio (centrato sul Brent in dollari). Con i prezzi correnti i paesi della penisola arabica reggono i costi di estrazione, mentre tutti gli altri non li reggono. In particolare, i prezzi molto bassi mettono in seria difficoltà soprattutto l'estrazione del petrolio attraverso la frantumazione delle rocce (lo shale oil), e l'estrazione di petrolio nelle zone impervie. Col crescere della domanda, che si avrà seppur ad un passo inferiore rispetto al passato, e la minor offerta, che si avrà per la rinuncia a investire nell'estrazione molto costosa oggi, il prezzo del petrolio alla lunga risalirà. Alla lunga.

La forte caduta di questi giorni è dipesa dalla decisione dell'OPEC – il cartello di alcuni produttori di petrolio guidato dai Sauditi – di non ridurre le quote di produzione, una cosa che in molti, invece, si aspettavano. Il comportamento saudita si spiega. Hanno costi di estrazione bassi e delle riserve valutarie enormi. Possono così reggere il basso prezzo del petrolio, mentre mettono in difficoltà i concorrenti economici e politici, fossero questi gli statunitensi con il loro shale oil, fossero i russi alleati degli sciiti iraniani.

Gli effetti sui mercati finanziari del prezzo del petrolio in discesa sono la caduta dei titoli petroliferi e quella dei prezzi delle obbligazioni (high yield) che andavano a finanziarie le imprese dello shale oil.

 

Tipologia Prezzo di pareggio $ per barile
Medio Oriente terra ferma 27
Piattaforme marine continentali 41
Greggio pesante 47
Russia terraferma 50
Resto del mondo terra ferma 51
Mari profondi 52
Grandi profondità 56
Shale Oil Nord America 65
Sabbie bituminose 70
Zone artiche 75

Fonte: XX Rapporto sull'economia globale e l'Italia, Centro Einaudi, pagina 127

 

3 – Banche minori e obbligazioni subordinate

Le banche italiane e non per effetto della crisi si dovevano ricapitalizzare – ossia avere più patrimonio in rapporto al loro attivo. Ciò che poteva avvenire in tre modi: a) ridurre l'attivo, b) aumentare il capitale azionario, c) aumentare l'offerta di obbligazioni che potevano essere considerate parte del capitale di rischio in caso di crisi – e queste sono le subordinate. Seguendo la modalità c), le banche non dovevano cercare nuovi soci. La modalità c) era quindi meno complicata della modalità b), e meno complessa da far digerire all'opinione pubblica della modalità a). Così è accaduto: il mondo ha conosciuto le subordinate.

Nel caso delle quattro banche italiane minori in crisi si ha una combinazione di scarsa capitalizzazione iniziale rispetto al deteriorarsi dell'attivo e di distribuzione delle obbligazioni subordinate ai clienti meno informati. Da qui il dubbio – o l'allarme – che tutte le obbligazioni subordinate (dette junior) possano evaporare in caso di perdita e che addirittura si possa arrivare ad una crisi delle obbligazioni protette (dette senior) e dei conti correnti sopra il 100 mila euro. Ciò non è vero per il sistema bancario italiano nel complesso. Simulando diversi scenari di crisi si arriva al dramma solo se il deterioramento dell'attivo diventa pari a ben tre volte quello sperimentato durante l'ultima crisi. Un caso estremo. La vicenda delle quattro banche minori si presta alla polemica politica e quindi è gonfiato. La soluzione del problema si ha con la concentrazione delle banche minori e con gli investitori professionali che diventano gli attori dell'universo delle obbligazioni rischiose.

Osservando i numeri, si vede che il complesso delle obbligazioni (senior e subordinate) emesse dalle banche è pari al 6% della ricchezza degli italiani. Le banche oggetto della crisi sono una frazione di questo 6%. Siamo quindi nel campo dello zero virgola.

 

Euro correnti 1995 2000 2006 2014
A-Att.finanziarie 1784 3000 4128 3897
B- Obb.bancarie 34 191 282 235
B/A 1,91% 6,30% 6,80% 6,00%

Fonte: Supplemento al bollettino della Banca d'Italia n° 65