Nelle ultime settimane non si sono registrati dei mutamenti nell'universo finanziario, mentre sono emerse con forza le vicende esterne: tre episodi di sangue in Europa, un colpo di stato in Turchia, e la candidatura ufficiale di Trump alle presidenziali.

 

Si ha poco da commentare in campo finanziario. Il mercato delle obbligazioni sovrane mostra dei rendimenti negativi o quasi nulli, mentre i mercati delle azioni sono leggermente cari. Gli utili - al di fuori del settore bancario ed energetico, che sono i settori più colpiti e che meritano una trattazione a parte - in sostanza non crescono. Perciò abbiamo dei mercati finanziari o “tiratissimi” (quelli obbligazionari), o “tirati” (quelli azionari), intanto che il contesto politico si complica, senza però che quest'ultimo andamento mostri un impatto negativo visibile.

La decisione di Asset Allocation (qui ed ora) a noi pare questa: a) si pensa che si abbiano dei motori di ripresa dell'economia reale per cui i rendimenti delle obbligazioni possono salire (i prezzi scendere) e i prezzi delle azioni salire?, b) oppure si pensa che non si abbiano dei motori di ripresa che portino su le azioni, mentre lasciano dove sono le obbligazioni? Nel primo caso si guadagna in campo azionario e si perde in quello obbligazionario, nel secondo non si guadagna da nessuna parte. Lo scenario che a noi pare più probabile è il secondo.

Se questo è lo scenario finanziario “endogeno” di breve termine, vediamo che cosa può accadere se immaginiamo un impatto “esogeno”, ossia l'impatto sui prezzi delle vicende esterne che abbiamo citato in apertura della seconda parte dell'Asset Allocation di luglio.

Sul Terrorismo la tesi che abbiamo sostenuto da un anno e passa su Lettera Economica è che esso non ha un impatto significativo sui mercati finanziari perché nessuno teme per davvero che ci sia un pericolo esistenziale - l'abbandono della “Società aperta” per sostituirla con la Sharia, e perché le economie si riprendono in fretta dopo un attentato - se meno gente va al ristorante, si producono più telecamere di controllo (1). La deriva “imperiale” (o neo-ottomana) della Turchia che abbandona l'ancora “nazionalista” (o kemalista), può avere un impatto, che però è limitato nell'orizzonte visibile (2). Ben diverso è l'impatto che potrebbe avere la presidenza di Donald Trump, se fossero attuate le dichiarazioni pre elettorali. Impatto che per ora è solo “rimuginato”, ma non ancora “scontato” dai prezzi.

I nodi sono due, ma si tenga presente che siamo in campagna elettorale e che le analisi che citiamo sono della parte avversa.

Politica economica (3). Si hanno due strade per affrontare l'argomento dell'”insorgenza populistica”, quella di natura “culturale”, e quella di natura “economica”. Quella culturale sostiene che un popolo libero può scegliere l'opzione della rivolta – il populismo - contro le élite, che lo vogliono governare come se fosse un “bambino” (4). Quella economica sostiene che il malessere della classe media, derivante dalla crisi economica e dalle ripercussioni dell'economia globale – ossia, i lavori meno qualificati che “emigrano”, alimenta il populismo (5). Infine, si ha il fenomeno emergente della formazione dell'opione pubblica anche attraverso i commenti in rete, una modalità che alimenta i giudizi che si formano a partire da giudizi simili (6). Dal punto di vista dei risultati che si possono avere se Trump venisse eletto, e il suo programma attuato, le cose perdono il loro sapore di dibattito intorno a un nuovo fenomeno politico, quello del “populismo”, e diventano preoccupanti. Una simulazione del programma di Trump mostra, infatti, come il taglio delle imposte sia regressivo, e, in assenza di tagli alla spesa, mostri un debito pubblico che cresce moltissimo (7). Se a ciò si aggiungono le sue affermazioni sul richiamo del debito pubblico con un forte sconto, abbiamo una miscela che potrebbe mettere a repentaglio la tenuta della principale attività finanziaria mondiale: il debito del Tesoro degli Stati Uniti.

Politica estera (8). Il neo-isolazionismo non può che lasciare basiti gli statunitensi atlantisti e gli europei. Donald Trump ha dichiarato che gli Stati Uniti devono affrontare i propri intricati problemi e non quelli della democrazia nel mondo (9). Nella stessa intervista Donald Trump ha messo in dubbio che possa avere valore immediato l'architrave della Alleanza Atlantica, ossia l'intervento automatico (l'Articolo 5) degli alleati nel caso un alleato fosse sotto minaccia militare.

1 - http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/4471-ancora-sul-terrorismo.html

2 - http://www.centroeinaudi.it/agenda-liberale/articoli/4475-il-golpe-in-turchia-accelera-la-convergenza-tra-erdogan-e-putin-e-allontana-usa-e-ue.html

3 - http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/4418-a.html

4 – Lee Harris, The next american civil war, Palgrave, 2010

5 – http://www.centroeinaudi.it/agenda-liberale/articoli/4400-tasse,-disuguaglianza,-reddito-minimo,-indice-di-gini,-ricchezza,-ridistribuzione,-populismo.html

6 - http://www.brookings.edu/blogs/order-from-chaos/posts/2016/06/29-brexit-digital-democracy-jaishankar#.V5KnI8NGqyM.twitter

7 - http://www.taxpolicycenter.org/sites/default/files/alfresco/publication-pdfs/2000560-an-analysis-of-donald-trumps-tax-plan.pdf

8 - https://www.washingtonpost.com/opinions/global-opinions/how-a-trump-presidency-could-destabilize-europe/2016/07/21/9ec38a20-4f75-11e6-a422-83ab49ed5e6a_story.html

9 - http://www.nytimes.com/2016/07/21/us/politics/donald-trump-issues.html?_r=1

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