Nelle ultime settimane i mercati delle azioni sono flessi. Le interpretazioni sono molte, alcune legate alla guerra commerciale fra USA e Cina, altre alle incertezze nella conduzione della politica economica in caso di recessione, con una aggiunta degli ultimi giorni: i cattivi risultati di Apple come possibile segnale che “il mondo di ieri” - ossia l'economia che si globalizza in un mondo irenico - stia finendo.

1 – Apple e l'ordinamento spontaneo

Le prime reazioni – di parte del sistema mediatico, quello pop - alla dichiarazione di Apple era che i risultati meno brillanti riconducevano alla guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina. A ben guardare la spiegazione del mal andamento è, invece, di natura micro economica. Una volta che i telefonini di fascia superiore incorporino solo innovazioni marginali, mentre continuano a costare il doppio dei telefonini di fascia media che hanno prestazioni non troppo inferiori, si ha un arbitraggio a favore di questi ultimi. Frena o cade la domanda di telefonini di fascia superiore e cresce quella di fascia intermedia. La prosa – il rapporto fra prezzi relativi e tecnologia - al posto della poesia – il grande scontro di civiltà.

Insomma, non rilevano la caduta dell'Ordine liberale e l'ascesa dell'Impero di Mezzo. Una spiegazione per questa ricerca spasmodica di “cause ultime” o “macro” per degli avvenimenti banali come la flessione della domanda di telefonini di fascia alta potrebbe essere questa. Vi sono quelli che credono nel potere dei grandi burocrati (come Draghi) e dei manager (come Marchionne), di cui leggono avidamente le gesta, come fossero dei Divi. Essi pensano che la storia sia mossa dagli Eroi. Meglio, che la storia si estrinsechi nella volontà dei grandi uomini. Vi sono, invece, quelli che preferiscono dedicarsi alle teorie ed ai numeri. Non esistono ai loro occhi dei veri protagonisti, nessuno, infatti, ha inventato la moneta, il diritto, lo stato. Quest'ultimo è il poco popolare punto di vista detto "austriaco".

Perché poco popolare? Probabilmente perché l’”ordinamento spontaneo” non ha grande udienza: il caso, l’errore, non piacciono, si preferisce l'”ordine”, anche nella forma del complotto. Non si accetta che sia il disordine – e quindi il caso - a guidare le cose del mondo: http://www.limesonline.com/cartaceo/lillusione-della-certezza-cosi-funzionano-i-mercatiNel mondo classico il Fato era superiore persino alla volontà degli Dei.

2 – Il “mondo di ieri” e la Cina

La democrazia – o meglio la democrazia incapsulata nell'Ordine liberale, che aveva, dal secondo dopoguerra, al centro l'impero “benevolo” degli Stati Uniti - è fiorita negli ultimi decenni in un numero sempre maggiore di Paesi per una condivisione dei suoi valori, oppure, o soprattutto, per il traino del suo successo economico e della vittoria nella guerra fredda? E che cosa accadrebbe se la dinamica corrente – i Paesi autocratici si affermano in campo politico e crescono in quello economico - si rivelasse duratura, o abbastanza duratura? I Paesi illiberali avrebbero un peso sempre maggiore nell'economia mondiale, e quelli liberali – ricchi in termini assoluti, ma meno ricchi di prima in rapporto ai Paesi emergenti - tornerebbero dove erano, ossia intorno alle due rive del Nord Atlantico, in Giappone, e nell'emisfero australe, fino alla fine degli anni Ottanta. In altre parole, avremmo un ciclo, partito con la vittoria nelle due guerre mondiali (calde), allargatosi con la vittoria nella terza (fredda), che è tornato al punto di prima per l'emergere degli sconfitti e dei loro imitatori nella succitata terza guerra (fredda). I vincitori e i vinti delle prime due guerre (calde), invece, continuano a stare dalla stessa parte.

Questo timore non è ingiustificato. Naturalmente il protagonista dell'inversione del “corso della storia” è la Cina. Ovvio che tutti la scrutino. Ultimamente si ha una letteratura sulle sue fragilità, che, a ben guardare, ricalca quanto si dice da anni. Un Paese non può investire così tanto con un peso crescente del credito: https://www.ft.com/content/ae94de0e-0c1a-11e9-a3aa-118c761d2745. Un Paese che si comporta così alla lunga non può che veder decrescere la “produttività totale dei fattori” (TFP), ossia la differenza fra la crescita della produttività finale e la crescita delle quantità di capitale e lavoro messe in opera. I maligni ricordano che anche l'Unione Sovietica aveva mostrato dei tassi mostruosi di crescita della TFP negli anni Cinquanta, proprio quando Krusciov annunciava il sorpasso economico degli Stati Uniti: https://www.economist.com/finance-and-economics/2018/12/15/the-lives-of-the-parties

Nel seguito della nota ci concentreremo sull'Occidente. Chiudiamo perciò il paragrafo dibattendo di petrolio, il cui prezzo in sei mesi è caduto da 85 a 55 dollari al barile. Tempo fa alcuni scommettevano che il prezzo sarebbe potuto salire sino a 100 dollari, perché sarebbe potuta venir meno la produzione venezuelana – per la crisi, e iraniana – per le sanzioni. Invece, così non è stato, perché la domanda mondiale è inaspettatamente cresciuta meno, mentre l'offerta di petrolio statunitense - quello detto shale - è aumentata. Con le quotazioni correnti molti Paesi produttori avranno difficoltà a finanziare sia le importazioni sia la spesa pubblica. I Paesi produttori – trovatisi in questa condizione - finiscono di solito non per tagliare la produzione – meno barili a un prezzo maggiore, ma ad incrementarla – più barili a un prezzo inferiore. Insomma, il prezzo del barile nel 2019 non dovrebbe fare un salto all'insù: https://www.ft.com/content/677f00ee-0a99-11e9-9fe8-acdb36967cfc

3 – Incertezze intorno all'Atlantico

Negli Stati Uniti il bilancio federale può essere usato per ridurre le escursioni economiche dei singoli Stati. Quelli che vanno bene non debbono pagare altri sussidi di disoccupazione ed hanno lo stesso gettito fiscale. Essi finanziano i trasferimenti verso gli Stati che vanno male, quelli che hanno dei nuovi sussidi di disoccupazione da pagare a fronte di un minor gettito fiscale. Se poi questi trasferimenti automatici fra stati non fossero sufficienti, si può subito formare per finanziarli un deficit a livello federale. Nell'Euro-area nulla di tutto ciò è possibile. I Paesi che, per effetto della recessione, vanno in deficit, debbono ridurlo, con ciò indebolendo ulteriormente la domanda aggregata. Negli Stati Uniti la Federal Reserve si può muovere subito. Per la Banca Centrale Europea le decisioni sono meno veloci. La traduzione operativa di quanto detto è che nel caso di una recessione la reazione dell'Europa dovrebbe essere meno veloce rispetto a quella statunitense, come peraltro già avvenuto dieci anni fa: http://www.limesonline.com/crisi-economica-finanziaria-2008-subprime-usa/110348?

A differenza di dieci anni fa i tassi di interesse però sono molto bassi e quindi non possono essere tagliati per bilanciare un'eventuale recessione, mentre i debiti pubblici sono molto alti. Un'eventuale nuova recessione non sarà facile da affrontare: https://www.economist.com/special-report/2018/10/11/central-bankers-will-fight-the-next-recession-with-their-backs-against-the-wall. Infine, una crisi grave si affronta meglio con la cooperazione, ciò che al momento è difficile da immaginare: https://www.economist.com/special-report/2018/10/11/in-fighting-the-next-recession-politics-will-be-crucial

4 - Un mondo concentrato, non corale

Un approfondimento su quanto è accaduto che dovrebbe influenzare le previsioni. Previsioni che non dovrebbero ragionare come se il mondo fosse “corale”, e non “concentrato”. La gran crescita della borsa statunitense trova una spiegazione nell'esplosione dei prezzi dei titoli tecnologici insieme al loro peso negli indici, piuttosto che nell'andamento delle imprese nel loro complesso. Per avere una idea dell'importanza delle imprese tecnologiche nel trascinare la borsa, anzi “le” borse, si fissi a 100 il valore degli indici al 1° gennaio 2015. Da allora il NYSE è cresciuto del 17%, lo S&P500 il 37%, il Dow Jones il 47%, il Nasdaq Composite il 60% e il Nasdaq 100 il 70%. Insomma, più gli indici danno peso alla tecnologia più l'economia statunitense appare “pimpante”. Esempio contrario, fatto pari a 100 il livello degli utili lordi e netti di tutte le imprese statunitensi alla fine del 2007, quindi prima della crisi, si ha un livello di 100 e di 140. Insomma, gli utili lordi o “operativi” non sono cresciuti, mentre sono cresciuti gli utili “netti”, quelli che tengono conto degli oneri da interessi e delle imposte, due voci che sono state compresse con forza. Segue dall'analisi che la dinamica degli utili va concentrandosi. E molto più di quanto comunemente si immagini. Se si prendono i profitti anomali – quelli che superano un rendimento ragionevole del capitale – questi sono concentrati nella tecnologia e nella farmaceutica degli Stati Uniti: https://www.economist.com/special-report/2018/11/17/dynamism-has-declined-across-western-economies. Al resto del mondo poco avanza.

5 - Vecchie e nuove classi dirigenti

Tre sono le spiegazioni intorno alla vicenda della Brexit. Una è che l'Europa è destinata a omologare la Gran Bretagna, fagocitandone l'identità imperiale. Da qui la ribellione a Bruxelles. Un'altra sostiene che il referendum sulla Brexit ha fatto emergere una tensione a ungo latente tra la Gran Bretagna metropolitana e liberale e quella provinciale e conservatrice. Qui trovate le prime due spiegazioni nel dettaglio: https://www.centroeinaudi.it/agenda-liberale/articoli/4724-quali-scelte-per-il-regno-unito.html.

Ed ecco la terza: https://www.economist.com/britain/2018/12/22/the-elite-that-failedOrmai da decenni nel Regnoi Unito il vecchio establishment è stato sostituito da una nuova classe politica. Questa evoluzione è stata salutata come un trionfo della meritocrazia rispetto ai privilegi e della professionalità sul dilettantismo. La nuova classe politica ha però abbandonato anche una delle virtù del vecchio establishment. La vecchia classe dominante conservava, infatti, un certo autocontrollo tipico del gentleman.

La nuova classe politica, invece, è priva di autocontrollo, perché pensa di dover la sua posizione al merito personale piuttosto che alla fortuna della nascita. La superbia finisce così per sostituire l'autocontrollo: https://www.centroeinaudi.it/agenda-liberale/articoli/4693-l-ineguaglianza-%C3%A8-riducibile-ma-non-eliminabile.html. Tempo fa la storia della Gran Bretagna era letta - almeno fino al 1990 - come il portato del “Capitalismo dei gentiluomini”: P.J. Cain, A.G. Kopkins, British Imperialism, 2 volumi, Longam, 1993.

6 - Conclusioni

La valutazione delle azioni – che non è distante dalla media storica - è sostenuta dai rendimenti alternativi – che, invece, sono molto distanti dalla media storica. I rendimenti delle obbligazioni, almeno a partire dagli anni Settanta, sono stati, infatti, molto più alti. Se questi ultimi salissero, perché si ha ripresa, le azioni si troverebbero, per tornare competitive, a dover erogare un rendimento maggiore, ciò che richiede un'ulteriore crescita dei profitti, che sono già molto alti rispetto alla media storica. Se, al contrario, i rendimenti scendessero, perché si ha un avvio di recessione, le azioni si confronterebbero con dei rendimenti alternativi minori, ma, proprio per effetto della crisi, avrebbero anche degli utili inferiori. Insomma, siamo fuori dal “ciclo virtuoso” delle azioni che si ha quando gli utili sono compressi e non possono che salire, e i rendimenti sono elevati e non possono che scendere: R. Napier, Anatomy of the Bear, 2009, Harriman House. Questo equilibrio precario deve fare i conti con l'ascesa della Cina e con la resistenza che le oppongono gli Stati Uniti. La nostra tesi è che non vi sia nulla di drammatico in questo confronto per quanto aspro. Questo equilibrio precario deve fare i conti con il Populismo. La nostra tesi è che il Populismo potrebbe avere un'influenza negativa maggiore dell'ascesa cinese.

Insomma, l'incertezza, che continua ad avvolgere l'inizio del 2019, invita alla prudenza.

 

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