Alla fine del 2018 sembrava che la “grande corsa” della borsa statunitense fosse dopo un decennio finita. Dall'inizio del 2019, invece, vi è stato un forte rimbalzo che ha riportato il livello dei prezzi delle azioni dov'era alla fine dello scorso anno. Come è stato possibile? Trovate una sintesi delle nostre argomentazioni di fine 2018 e dei primi mesi del 2019. Alla sintesi del pregresso segue l'aggiornamento. Infine, trovate un'analisi di quanto sta accadendo in campo politico nel Bel Paese. 

1 . Quanto andavamo dicendo a fine 2018 (1)

Nel 2018 le attività finanziarie non hanno mostrato un andamento in ascesa La gran parte dei mercati azionari è flessa, e, fra i maggiori, quello statunitense ha mostrato un andamento piatto. Relativamente all'universo dei rendimenti dei titoli sovrani, si ha, negli Stati Uniti, una curva che diventa piatta, ossia i rendimenti a due anni e a dieci che si avvicinano. Questo avvicinarsi fa presagire una recessione. La curva che diventa piatta (misurata come 10 anni meno 2 anni) è stata in passato capace di anticipare le recessioni, ma non di stimarne la “tempistica”. Negli Stati Uniti abbiamo avuto negli ultimi anni un forte rialzo dei rendimenti decennali. Questi ultimi – sebbene siano il doppio di quelli formatisi nel decennio della crisi - sono tuttora molto compressi rispetto alla media ante crisi 

I rendimenti decennali inferiori alla crescita del PIL nominale - sono un fenomeno che si è manifestato a partire dalla crisi del 2008. La valutazione delle azioni – misurata come utili sul prezzo U/P - pare ragionevole, soprattutto se messa in relazione con il rendimento delle obbligazioni. Il “tallone d'Achille” del mercato finanziario statunitense – e non solo - sembra così annidarsi nella relazione fra i rendimenti delle azioni e quello delle obbligazioni. Se i rendimenti salissero, le azioni ne sarebbero colpite per il maggior rendimento alternativo, se non salissero, o se scendessero, perché i mercati del reddito fisso incominciano a prevedere una recessione, le azioni potrebbero esserne colpite lo stesso, ma per la riduzione degli utili.

Abbiamo così un equilibrio precario. Insomma, siamo fuori dal “ciclo virtuoso” delle azioni che si ha quando gli utili sono compressi e non possono che salire, e i rendimenti sono elevati e non possono che scendere. Questo equilibrio precario deve fare i conti con l'ascesa della Cina e con la resistenza che le oppongono gli Stati Uniti. La nostra tesi è che non vi sia nulla di drammatico in questo confronto per quanto aspro. Questo equilibrio precario deve fare i conti con la volatilità del prezzo del petrolio. La nostra tesi è che con un prezzo compreso fra il 60 e gli 80 dollari si ha l'equilibrio dei conti dello stato e dei conti con l'estero dei Paesi petroliferi maggiori. I quali dovrebbero avere così tutto l'interesse a pilotare il prezzo del petrolio nell'intervallo indicato.

Questo equilibrio precario deve, infine, fare i conti con il Populismo. La nostra tesi è che il Populismo potrebbe avere un'influenza negativa maggiore dell'ascesa cinese e della volatilità del prezzo del petrolio. Insomma, l'incertezza che avvolge il 2019 invita alla prudenza.

2 . Quanto andavamo dicendo a gennaio 2019 (2)

Dopo la flessione dei corsi della fine del 2018, il commento degli inizi di gennaio si concentrava sulle novità con le quale bisognava confrontarsi. Le previsioni non dovrebbero più ragionare come se il mondo fosse “corale”, mentre è “concentrato”.

La gran crescita della borsa statunitense trova una spiegazione nell'esplosione dei prezzi dei titoli tecnologici insieme al loro peso negli indici, piuttosto che nell'andamento delle imprese nel loro complesso. Per avere una idea dell'importanza delle imprese tecnologiche nel trascinare la borsa, anzi “le” borse, si fissi a 100 il valore degli indici al 1° gennaio 2015. Da allora il NYSE è cresciuto del 17%, lo S&P500 il 37%, il Dow Jones il 47%, il Nasdaq Composite il 60% e il Nasdaq 100 il 70%. Insomma, più gli indici danno peso alla tecnologia più l'economia statunitense appare “pimpante”. Esempio contrario, fatto pari a 100 il livello degli utili lordi e netti di tutte le imprese statunitensi alla fine del 2007, quindi prima della crisi, si ha un livello di 100 e di 140. Insomma, gli utili lordi o “operativi” non sono cresciuti, mentre sono cresciuti gli utili “netti”, quelli che tengono conto degli oneri da interessi e delle imposte, due voci che sono state compresse con forza. 

Segue dall'analisi che la dinamica degli utili va concentrandosi. E molto più di quanto comunemente si immagini. Se si prendono i profitti anomali – quelli che superano un rendimento ragionevole del capitale – questi sono concentrati nella tecnologia e nella farmaceutica degli Stati Uniti. Al resto del mondo poco avanza. Insomma, l'incertezza, che continua ad avvolgere l'inizio del 2019, invita alla prudenza.

3 . Quanto andavamo dicendo a febbraio 2019 (3)

A dicembre e gennaio avevamo richiamato l'attenzione sull'incertezza che caratterizza l'ambito finanziario e quello politico. Un'incertezza che si manifesta ormai da tempo e che ha – verso la fine dello scorso anno - mostrato il proprio volto attraverso una caduta non modesta dei corsi azionari. Poi, iniziato l'anno nuovo, ecco che i corsi delle azioni hanno ripreso a salire. Come è stato possibile? Insomma, che cosa accade appena inizia l'anno?

Causa la minor vivacità dell'andamento economico la Banca Centrale degli Stati Uniti annuncia una politica di restrizione meno aggressiva. Lo stesso avviene in Europa. Ecco che viene meno il timore di un rialzo dei tassi e dei rendimenti che possa spingere alla flessione le azioni. Non solo, ma si ha anche un inizio di dibattito intorno al tenore del debito pubblico. Ossia che non sempre e necessariamente esso debba essere contenuto, soprattutto quanto il costo del suo finanziamento è basso. L'annuncio di una politica monetaria meno aggressiva e la possibilità che il bilancio dello stato non diventi restrittivo hanno spinto i mercati finanziari al rialzo.

Altrimenti detto, il ciclo al rialzo dell'inizio del 2019 è centrato sulle caratteristiche del ciclo iniziato nel 2009: le politiche economiche lasche. A differenza di dieci anni fa i tassi di interesse sono molto bassi e quindi non possono essere tagliati per bilanciare un'eventuale recessione, mentre i debiti pubblici sono molto alti. Un'eventuale nuova recessione non sarà facile da affrontare. Infine, una crisi grave si affronta meglio con la cooperazione fra gli stati e le banche centrali, ciò che al momento è difficile da immaginare.

4 – Ed eccoci all'oggi

Il succitato cambiamento (per ora annunciato) della politica economica, ossia di una politica monetaria ancora lasca (evento probabile) accompagnata da una politica fiscale che ritorna lasca (evento meno probabile) avviene (nella norma) quando si è già entrati in recessione (quindi non prima). Grazie all'assunzione che la politica economica possa ridiventare lasca prima che la recessione si manifesti, i mercati finanziari sono tornati a immaginare la ripresa del trend (ascendente della crescita reale) che si è avuto negli ultimi anni (che in finanza si è manifestata come gli utili stabili o in ascesa e i rendimenti compressi). 

Per formalizzare il ragionamento (4). Negli Stati Uniti i mercati pensano (“pensano” è espressione che significa: “deduciamo dai comportamenti”) che una ripresa così forte da spingere la banca centrale a stringere la politica monetaria sia ormai improbabile. Allo stesso tempo, i mercati pensano che una recessione sia assai improbabile. Ergo gli utili tengono mentre i tassi e i rendimenti non salgono. Nell'Euro-zona il pensiero dei mercati è diverso. Una forte ripresa è immaginata come altamente improbabile, mentre una recessione (tecnicamente: due trimestri in cui la crescita è al di sotto della media degli scostamenti all'ingiù dalla media) potrebbe comparire.

Conclusione: persiste l'equilibrio precario (i prezzi delle azioni sono attraenti fintanto che i rendimenti sono bassi) intanto che i mercati pensano che “il mondo che fu” (quello dominante da un decennio) in qualche modo continui a prevalere (non si avrà una forte recessione e, in ogni modo, si assume che la politica economica la possa anticipare). Passiamo, in conclusione, al Bel Paese, laddove l'analisi finanziaria non può che ruotare intorno a quella politica.

5 – Il Bel Paese

Il rallentamento dell'economia – frutto per la parte “congiunturale” dell'azione del governo in carica, ma frutto di quanto non si è fatto negli ultimi decenni per la parte “strutturale” (5) - spinge a rivedere le manovre in programma non solo per l'anno in corso, ma anche per quelli futuri. Il governo in carica soffre fin dalla nascita di un conflitto che trae origine dalla contrapposizione (6) fra gli interessi del Settentrione (autonomia regionale, produzione, infrastrutture) e del Meridione (reddito di cittadinanza). Interessi che sarebbero (forse) componibili (solo) in presenza di una crescita economica significativa.

Al rallentamento economico si somma il risultato delle elezioni regionali. Le elezioni sia abruzzesi sia sarde hanno, infatti, mostrato una forte caduta dei consensi del M5S in regioni che – in astratto, poiché registrano un gran tasso di disoccupazione in presenza di economia debole per ragioni strutturali - sarebbero interessate al “reddito di cittadinanza”. Quelle sarde non hanno mostrato una crescita dei consensi della Lega, nonostante la gran perdita di voti del M5S. Abbiamo così il senior partner del governo indebolito, e il junior partner rafforzato, ma non come sarebbe potuto accadere con un travaso di voti.

Non si può perciò escludere che dopo le elezioni europee - in presenza di una ulteriore caduta dei consensi del M5S e di una ulteriore ascesa della Lega a danno sia dell'alleato di governo sia della coalizione di Centro-destra - si possa andare verso le elezioni politiche anticipate. Elezioni chieste dalla Lega come suggello della propria ascesa. Né si può escludere che l'esito elettorale - rotta la coalizione di governo - possa alimentare una spinta verso una doppia aggregazione – verso un nuovo “bipolarismo”: un Centro-destra a trazione Lega ed un Centro-sinistra a trazione M5S. Ossia un bipolarismo che vede i protagonisti del bipolarismo della Seconda Repubblica – il PD e FI - “risucchiati” dalle forze populiste ormai emerse ai loro lati (7).

Laddove, nel caso del nuovo Centro-destra, avremmo in campo economico una maggior attenzione alle necessità produttive a scapito di quelle distributive, ma entro una cornice in qualche misura “sovranista”. Laddove, nel caso del nuovo Centro-sinistra, il PD andrebbe alla ricerca della “costola di sinistra” presente in un M5S ormai indebolito per trovare un accordo che lo rimetta in gioco. Difficile che in questo secondo caso possa emergere in campo economico una maggior attenzione alle necessità produttive a scapito di quelle distributive, anche se si avrebbe una cornice meno “sovranista” di quella che si avrebbe nel primo caso.

 

1 - https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/5044-asset-allocation-il-2018.html

2 - https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/5052-asset-allocation-%E2%80%93-gennaio-2019.html

3 - https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/5074-asset-allocation-febbraio-2019.html

4 - https://www.ft.com/content/e86041dc-3500-11e9-bd3a-8b2a211d90d5

5 - https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/5072-l-iliade,-ponzio-pilato-e-la-recessione.html

6 - https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/5081-il-dibattito-su-federalismo-e-meridione.html

7 - https://www.centroeinaudi.it/component/tags/tag/populismo.html

 

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