Continuiamo con le tre puntate – una per settimana fino al 26 maggio – a esprimere dei punti di vista che abbiano una qualche utilità per affrontare l'argomento delle elezioni. Ecco la seconda. Qui mostriamo i diversi punti di vista sulle ondate migratorie. Emerge che - almeno chi scrive - non riesce a trovare una via d'uscita che non sia conflittuale.

 

1 – I numeri dell'ondata migratoria

Prima i flussi. Quanti sono i migranti in rapporto agli abitanti di un Paese o di un Continente? Nel periodo 2014-2016, quindi sommando tre anni, i richiedenti asilo sono stati in Italia circa 300 mila, mentre in Austria sono stati la metà - 150 mila. L'Austria ha però una popolazione di gran lunga inferiore a quella italiana – 8,5 milioni di abitanti contro i 61 del Bel Paese. Il rapporto fra richiedenti asilo e popolazione per mille residenti in Austria è perciò pari a 17,5 richiedenti per ogni mille abitanti, contro un mero 4,8 del Bel Paese. Il rapporto della Germania è 17,8 - circa come l'Austria, quello della Francia è 4,0 - circa come l'Italia.

Poi gli stock. Per quanto numerosi possano essere i migranti – cinque milioni se partiamo dal 2008 – il flusso, si ha pur sempre una popolazione dell'Unione di cinquecento milioni – lo stock. I migranti sono perciò come flusso degli ultimi tempi in rapporto allo stock degli europei ben poca cosa – l'uno per cento.

Basta questo per raffreddare le polemiche? No, infatti, i numeri andrebbero resi più precisi per tener conto della somma dei flussi migratori degli anni precedenti. I numeri della presenza di migranti che tengono conto del lungo periodo - quindi non solo degli ultimi dieci anni, ma degli ultimi venticinque, sono diversi. Negli ultimi decenni i migranti sono diventati pari al dieci per cento della popolazione europea.

In Italia: 1) la maggioranza degli stranieri è rumena – un milione su cinque milioni; 2) l'età media degli stranieri è di 34 anni contro i 45 degli autoctoni; 3) l'età media al parto è di 29 anni contro i 32 delle autoctone; 4) i diplomati italiani o stranieri si equivalgono – entrambi appena a meno del 40% della popolazione rispettiva, così come i laureati – appena più del 10% della popolazione rispettiva; 5) gli italiani e gli stranieri che lavorano sono circa nello stesso numero, con gli stranieri che guadagnano molto meno degli autoctoni, con gli stranieri indigenti sono in maggior numero degli autoctoni indigenti; 5) i detenuti stranieri sono la metà di quelli italiani, ma gli stranieri sono meno di un decimo degli italiani.

Possiamo affermare che fra gli stranieri vi sono abbastanza più poveri degli autoctoni e molti più detenuti, ma possiamo anche affermare che il loro livello di istruzione non è inferiore a quello degli autoctoni. Che i poveri e i detenuti siano molto più numerosi fra i migranti non dovrebbe destar meraviglia. Il loro numero dovrebbe scendere man mano che l'integrazione va avanti.

 

2 - Il timore delle migrazioni in Italia

L'Italia riceve delle richieste d'asilo elevate, ma di entità modesta in rapporto alla sua popolazione. E allora dov'è il problema italiano? Una premessa. 

  • l'Italia non ha un passato coloniale significativo come la Francia, ciò che è all'origine della presenza di immigrati extra-europei Oltralpe;
  • non ha neppure una storia di immigrazione da altri Paesi europei come la Germania. L'Italia ha semmai una storia di immigrazione interna dal suo Sud verso il suo Nord negli anni Cinquanta e Sessanta e di emigrazione sempre nel secondo dopoguerra verso i Paesi del Nord-Europa.

Ipotesi sul problema italiano. L'Italia è il Paese più facile da raggiungere da quando la “rotta balcanica” è bloccata e la Libia è uno “stato fallito”. Come abbiamo visto, i nuovi immigrati sono una percentuale minima della popolazione. Possibile che un misero uno per cento generi tutto questo timore? Possiamo ipotizzare quattro ragioni che sono alla base del timore per le migrazioni:

  • gli immigrati non sono solo quelli politici – chi fugge dalla dittatura, e quelli economici – chi fugge dalla miseria, ma possono essere anche dei terroristi che si nascondono fra i disperati;
  • i Paesi del Gruppo di Visegrad - Polonia, Cechia, Slovacchia, Ungheria, non sono disposti a cedere “pezzi di sovranità”, come avverrebbe con l'assegnazione automatica delle quote di migranti;
  • l'assorbimento occupazionale degli immigrati è difficile da ottenere anche quando essi sono accolti con favore – vedi i siriani in Germania;
  • l'argomento migrazione si presta ad essere agitato per attrarre l'attenzione politica di chi teme in campo economico la globalizzazione e l'automazione e in campo culturale il cosmopolitismo ed il “politicamente corretto”. Insomma, di chi è attratto dalle “radici”.

 

3 - La logica economica dell'ondata migratoria di oggi

Si può misurare la differenza fra gli svedesi ricchi e quelli poveri, così come quella fra i congolesi ricchi e quelli poveri: si ha così la differenza fra le classi di reddito all'interno di un Paese. Si può anche immaginare la differenza fra lo svedese medio ed il congolese medio: si ha così la differenza per luogo di nascita. Quale delle due differenze conta per davvero?

La gran parte degli umani – nonostante le migrazioni, nasce e muore nello stesso paese. La notevole differenza fra il reddito medio della Svezia e quello del Congo esiste quindi fin dalla nascita. Possiamo chiamare questa differenza "rendita di cittadinanza". Una differenza che dipende dalla fortuna. E', infatti, molto difficile pensare che - quando eravamo avvolti dal pannolone e aspettavamo sulla nuvola l'arrivo della cicogna – conoscessimo la risposta giusta: vogliamo nascere in Svezia!

Facendo i conti – il reddito pro capite a parità di potere d'acquisto espresso in dollari – si scopre che lo svedese medio ha un reddito che è pari al triplo di quello del congolese medio. Il risultato cambia se si mettono a confronto gli svedesi poveri con i congolesi poveri. Il reddito dello svedese povero si avvicina a quattro volte quello del congolese povero.

Fatta la premessa arriviamo al dunque, partendo da un esempio: gli statunitensi ricchi sono più ricchi degli svedesi ricchi, ma gli statunitensi poveri sono più poveri degli svedesi poveri. Un congolese che emigra in Svezia e resta povero può avere un reddito che è quattro volte quello del paese che abbandona. Il congolese che, invece, va negli Stati Uniti rischia di avere un reddito eguale a quello dei poveri statunitensi, che è sempre meglio di quello di quello dei congolesi poveri, ma è inferiore a quello degli svedesi poveri.

Segue che, se è avverso al rischio, emigra in Svezia. Segue che, se è propenso al rischio, emigra negli Stati Uniti. Detto con più precisione, se uno ha un basso grado di istruzione, e se l'istruzione è all'origine dell'ascesa sociale, ecco che sceglierà la Svezia, perché può aumentare il suo reddito senza rischiare troppo. Se, invece, ha un alto grado di istruzione, e se l'istruzione è all'origine dell'ascesa sociale, ecco che sceglierà gli Stati Uniti, perché può aumentare il suo reddito rischiando molto.

L'emigrazione a bassa istruzione andrà così verso i paesi con stati sociali diffusi, mentre quella ad alta istruzione verso i paesi con alta mobilità sociale. Che è proprio quel che sta avvenendo.

Si potrebbe contro-argomentare ricordando che in Svezia la mobilità sociale – il reddito dei figli nati poveri rispetto a quello dei genitori – è maggiore che negli Stati Uniti. E dunque che chiunque – dotato o meno di una istruzione elevata - abbia interesse a migrare in Svezia. Esiste anche la contro-argomentazione alla contro-argomentazione. E' quella che ricorda la quantità di studenti brillanti dei Paesi emergenti sopra tutto asiatici che emigra negli Stati Uniti in cerca di fortuna.

 

4 - La logica economica dell'ondata migratoria di ieri

In passato l'emigrazione a bassa istruzione andava verso i Paesi con stati sociali inesistenti. Chi nel secolo scorso emigrava negli Stati Uniti non aveva lo stato sociale europeo di oggi ad accoglierlo. L'immigrazione perciò non costava al contribuente “radicato”. Se gli immigrati fossero riusciti ad integrarsi, ecco che avrebbero prodotto un reddito tassato, di cui avrebbe beneficiato anche il contribuente “radicato”. Per i cittadini “radicati” gli immigrati erano perciò un gioco dove non perdevano e forse guadagnavano.

La dichiarazione, che si trova sul monumento alla Libertà all'ingresso di New York "Datemi i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi, i rifiuti miserabili delle vostre spiagge affollate. Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste a me, e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata”, era sincera, ma l'intento non aveva dei costi di natura economica.

Il contrario di quanto avviene oggi in Europa, dove nel breve termine si hanno dei costi, e nel lungo termine – ma qui si hanno opinioni divergenti - dei benefici. Come che sia, chi emigra tende a mantenere in una prima fase i propri costumi, per poi assimilarsi (mai completamente) nel tempo (non breve). Questo insegna la storia dell'emigrazione europea ed asiatica: Thomas Sowell, Migrations and Cultures, Basic Books, 1996. Non abbiamo ancora abbastanza esperienza intorno alla migrazione africana ed islamica per poter esprimere un'opinione valida.

 

5 – Accogliere non è semplice. La fallacia della composizione

Abbiamo cercato di mostrare la razionalità economica di uno che fugge dall'Africa. Mal che gli vada vivrà pur povero in Europa molto meglio che da povero o addirittura del ceto medio nel suo Paese d'origine. Se, invece, decidesse di restare in patria dovrebbe scommettere che in un tempo abbastanza limitato avrà - con lo sviluppo del suo Paese – gli stessi beni e servizi che ha oggi in Europa.

Una scommessa difficile. E' difficile, infatti, credere che si possa recuperare un divario formatosi nei secoli in pochi decenni.

The Economist riporta numerosi conti, da dove emerge che il tasso di crescita richiesto ai Paesi emergenti (Cina esclusa) per raggiungere il reddito pro-capite di quelli emersi va da qualche decennio con dei tassi elevatissimi di sviluppo a un secolo con dei tassi normali: https://www.economist.com/leaders/2014/09/12/hold-the-catch-up.

Chi emigra dunque ha ragione, laddove “ragione” va intesa come razionalità economica, ossia “razionalità rispetto allo scopo”. Non è però così semplice. Sembra facile l'accoglienza ma non lo è.

Quel che è razionale a livello individuale non lo è nell'aggregato – la famosa “fallacia della composizione”. L'età mediana degli europei è oggi il doppio di quella degli africani, e la crescita demografica dovrebbe portare nel tempo l'Africa ad avere una popolazione doppia rispetto ad oggi. Una bomba demografica. Gli africani se fossero in gran numero – un numero diverse volte maggiore di quello corrente - non potrebbero emigrare. Non è quindi razionale l'emigrazione africana di massa, mentre, come abbiamo visto, è razionale l'emigrazione degli africani a livello individuale o in un numero limitato.

Abbiamo qui una contraddizione oggettiva fra l'individuale ed il collettivo. Se è razionale l'emigrazione individuale, ma non è razionale l'emigrazione di masse sterminate, allora chi in Europa accetta che quest'ultima si materializzi non è “razionale rispetto allo scopo”, ma è “razionale rispetto al valore”.

Una digressione teorica che mostra il punto pratico. La “cittadinanza universale” funziona senza intoppi se si ha una libertà assoluta di movimento nella ricerca di un lavoro migliore all'interno di Paesi omogenei. Se i livelli di ricchezza dei Paesi sono notevolmente diversi e se la probabilità che questi livelli si avvicinino in un tempo accettabile è bassa – vedi §3 e §4, allora la spinta alle migrazioni resta elevata e, quando questa sia di massa, ecco che diventa quasi impossibile da governare. Da qui l'idea che sta prendendo piede di “aiutarli a casa loro”. Attenzione: si intende aiutare gli africani, mentre la maggioranza dei migranti che vive in Italia viene dall'Est Europa, ma questi ultimi non sono - per ragioni facili da immaginare - oggetto di dibattito.

 

6 – Dell'aiutarli “a casa loro” - il modello

I Paesi da cui partono i migranti sono - in misura diversa - affetti da miseria economica e da regimi politici oppressivi. Inoltre sono Paesi che hanno un tasso di crescita della popolazione piuttosto elevato. Come fare per aiutarli a casa loro? Gli autori cui ci ispiriamo per affrontare il punto sono (nientemeno) che Thomas Hobbes e Thomas Malthus.

Con Hobbes si mostra che l'”ordine” viene prima della “democrazia”, e dunque, nel nostro caso, che l'aiutare gli africani a casa loro non implica necessariamente che debba esserci in partenza una democrazia. Con Malthus, si mostra che la crescita economica porta ad una esplosione demografica, che poi è difficile da governare, e dunque, nel nostro caso, che la demografia esplosiva dei Paesi africani continuerà.

Lo “stato di natura” hobbesiano è quello in cui tutti sono contro tutti. La paura massima degli umani è la propria morte violenta. Ergo, gli umani, timorosi della morte violenta, possono, spinti da necessità, scegliere di sottoporsi a un Governo – il famigerato Leviatano. Quest'ultimo ha il monopolio della forza ed è perciò il solo che può punire, e dunque stabilire, attraverso l'applicazione della legge, che cosa è bene e che cosa è male. La libertà arriva quando si è stabilito un ordine al posto dell'arbitrio.

Stabilito l'ordine, finalmente si procede alla separazione dei poteri. I Paesi da cui arrivano le ondate migratorie – dall'Africa sahariana e sub sahariana - ed il trattamento dei migranti quando sono bloccati prima di arrivare in Europa – come nei campi in Libia - è ancora quello dello “stato di natura”. Quando si afferma di volerli aiutare a casa loro si intende cercare l'ordine, già ma come?

L'idea centrale di Malthus è che la popolazione cresca a un saggio maggiore di quello dell'economia. Secoli fa alcuni economisti pensavano che la fertilità delle terre fosse decrescente e di conseguenza si sarebbe arrivati a un limite oltre il quale non si aveva modo di alimentare con decenza una popolazione crescente (Malthus appunto). Potevano certamente aprirsi nuovi mercati (come notava Ricardo), ma alla fine, aperti tutti i mercati, si sarebbe visto che la terra disponibile sul nostro pianeta è fissa. Il limite alla crescita della popolazione come nelle prime previsioni si è molto spostato nel tempo, man mano che si sono trovati i modi per rendere le terre più fertili, grazie ai trattori e ai fertilizzanti.

 

7 – Dell'aiutarli “a casa loro” - gli effetti pratici

Diamo soddisfazione sia a Hobbes sia a Malthus. Ecco allora che in Africa si forma un ordine o per dinamiche interne o perché è esportato. Come che sia, si palesa un Leviatano. La popolazione cresce a saggio vicino a quello dell'economia e dunque non si ha più una fame devastante. Le tensioni dunque s'allentano, mentre l'economia africana cresce, elevando così il reddito pro capite.

Bene, finiscono così le ondate migratorie? No, perché la crescita del reddito degli africani da dei livelli minimi in attesa di un reddito elevato che si avrà (solo e forse) nel lontano futuro, dovrebbe spingere molti di loro – grazie ai maggiori mezzi – a cercare fortuna emigrando. L’immigrazione dall’Africa dovrebbe aumentare, perché una parte della sua popolazione sta uscendo dalla povertà assoluta: circa 150 milioni di africani dispongono oggi di un reddito quotidiano tra i 5 e i 20 dollari, che è un fondo sufficiente per emigrare.

Le due condizioni principali affinché si scateni la «corsa all’Europa» sono quindi: 1 - il superamento di una soglia di prosperità tale da permettere il viaggio, ed ciò che sta avvenendo; 2 - la presenza di comunità diasporiche sull’altra riva del Mediterraneo, in grado di ridurre l’incertezza e i costi di insediamento, ciò che, di nuovo, sta avvenendo.

Fra le due sponde dell'Atlantico l'emigrazione sta spostando l'asse della politica dalla “classe” all'”etnicità”. Tra i gruppi etnici originari – chiamiamoli i “bianchi” - il cambiamento si polarizza tra le etnie "tribali" che apprezzano la propria particolarità e le post-etnie che danno la priorità alle credenze universali come la "religione dell'anti-razzismo". Su questi temi: Ivan Krastev, After Europe, Pennsylvania University Press, 2017.

Quindi siamo di fronte ad una ondata potenziale di immigrazione. Si hanno quattro possibili uscite da questa situazione.

  • La prima è quella dell’”universalismo umanista”, che prevede l'apertura a tutti i presenti nello spazio statale dei benefici dello stato sociale. Un'opzione che ha dei costi economici molto elevati, perché, se è vero che si avrebbe (forse) un giorno un'integrazione pensionistica grazie agli immigrati ancora giovani, è anche vero che si avrebbero costi crescenti di natura sanitaria e scolastica per assorbire le loro famiglie.
  • La seconda è la chiusura dentro la «fortezza Europa». Un'opzione praticabile se si ha il fermo consenso dell’opinione pubblica . La terza è all'interno della seconda. Si avrebbe una situazione di fatto, dove il grosso dell'emigrazione è fermata, ma si ha un residuo legato alla “deriva mafiosa”. Laddove i trafficanti dall'Africa si alleano con il crimine organizzato europeo, dando luogo a un nuovo sviluppo della prostituzione.
  • Infine, la quarta, è il “ritorno al protettorato”, con politiche di collaborazione con gli Stati africani per fermare, chiudendo non solo un occhio dinanzi ai diritti umani e versando ingenti somme di denaro, i flussi alla radice. Ciò che sta(va) avvenendo in Libia.