Il ragionamento si articola in tre momenti. L'Asset Allocation come tale che ribadisce la nostra conclusione che poco accade in un equlibrio precario. Segue l'elogio della presidenza di Mario Draghi vista come una navigazione in mezzo ad un contesto non ordinario. Infine, la quotazione di Aramco, che diventerà fra poco la prima impresa al mondo per capitalizzazione. Aramco è più di una impresa è il cuore del Petro-stato saudita.

1 - Asset Allocation

Per ripetere il ragionamento che facciamo da tempo ricordiamo che il mercato delle azioni è molto poco rischioso quanto - ecco la condizione necessaria - i tassi e i rendimenti sono così alti che non possono che scendere, e gli utili sono così bassi che non possono che salire. La modesta rischiosità di cui abbiamo appena visto le condizioni diventa un’occasione di investimento relativamente tranquilla se - ecco la condizione sufficiente - il rapporto fra i prezzi e gli utili è basso, ossia non sconti già da oggi il miglioramento futuro.

Allo stato - e da tempo - queste condizioni sono assenti. I tassi e i rendimenti sono pressoché nulli, gli utili sono elevati rispetto alla media - ossia come quota del reddito nazionale, così come è elevato il rapporto fra i prezzi e i risultati d’impresa. Per queste ragioni i mercati delle azioni diventano vulnerabili, se si teme: 1) un rialzo dei tassi e dei rendimenti, 2) un freno alla crescita del commercio internazionale, e, infine, 3) il deterioramento della situazione politica.

Basta così un’occasione maggiore - un casus belli che sia convincente agli occhi degli operatori (i “gestori”) e dei loro clienti (i “risparmiatori”) - perché gli investitori professionali riducano - all’inizio poco, poi sempre di più - il peso delle azioni nei portafogli.

Lo scorso anno, nel secondo semestre, quando si era avuto un rialzo dei tassi e dei rendimenti, il mercato azionario era flesso molto e velocemente. Poi quest’anno si è ripreso proprio da quando i tassi e i rendimenti sono scesi di nuovo, oppure, che non fa grande differenza, sono state annunciate delle politiche economiche lasche. L’allentamento monetario è stato deciso per il timore di un rallentamento dell’economia. Intanto si concretizzava l’attesa un possibile accordo sul commercio internazionale. L’allentamento monetario e il miglior clima negoziale sul commercio internazionale non sarebbero bastati a ravvivare i mercati finanziari se non si fosse aggiunta la convinzione che il Populismo in Occidente e le Autocrazie nel resto Mondo non toccano per ora gli equilibri finanziari.

Tutto ciò detto, osserviamo gli andamenti effettivi. Da una parte abbiamo l’indice mondiale delle azioni (linea blu), e dall’altro dell’indice mondiale delle obbligazioni, private e pubbliche (linea rossa) dallo scorso anno, quando si era avuta la flessione delle azioni ad oggi, quando si è avuta la ripresa dei corsi. Come si vede poco è accaduto, con le obbligazioni che hanno pure fatto meglio sia come risultati assoluti (ma di poco) sia come minor volatilità (ma molto meglio).

Insomma poco accade e il sistema è fragile.

 

aaxi2019
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2 - Elogio di Mario Draghi

Mario Draghi diventa governatore della Banca Centrale Europea nel 2011, appena dopo l’uscita dalla grande crisi del 2007-2009 degli Stati Uniti e dell’Euro-area. Con l’Euro-area che, dal 2011, e a differenza degli Stati Uniti, era caduta in una seconda crisi, con origine in Grecia, crisi poi allargatasi alla Spagna, al Portogallo, e all’Italia.

Qualunque cosa Draghi avesse deciso di fare, aveva allora ed ha avuto poi due vincoli alla propria azione. L’euro-area che privilegia la politica monetaria (la variazione dei tassi) su quella fiscale (la variazione del bilancio dello stato), e l’economia mondiale che ormai da tempo è priva di tensioni inflazionistiche. Per l’agire di questi due vincoli non si è mi raggiunta nell’Euro-area una crescita accettabile, così come non si è mai raggiunto quel tasso di inflazione che si ritiene adeguato per la ripresa.

Digressione sul primo vincolo. Il pensiero prevalente nell'Euro-area sosteneva e sostiene che i bilanci pubblici vanno portati in pareggio. Giunti al pareggio, non si avrebbe alcuna emissione di obbligazioni, con il debito pubblico che diventa costante. Crescendo l'economia (il denominatore che cresce), il peso del debito pubblico (il numeratore che è costante) scende fino a raggiungere un livello (misurato come percentuale) che è sufficiente per averlo sotto controllo. La crescita, infine, si ottiene non attraverso una maggior spesa pubblica, ma liberalizzando i mercati del lavoro e dei prodotti. I bilanci statali dell’Euro-zona, nell’attesa di raggiungere il pareggio, possono andare in deficit e quindi produrre debito. La Germania e i Paesi a lei omogenei, i Paesi detti “virtuosi”, non garantiscono il debito degli altri Stati, quelli detti “viziosi”. O meglio, questi ultimi possono ricevere degli aiuti dall’Euro-area, ma vincolati ad un programma di risanamento. I “viziosi” sono spinti ad accettare gli aiuti perché altrimenti i mercati finanziari li “punirebbero” per non aver perseguito la virtù.

Digressione sul secondo vincolo. L'inflazione non riesce ormai ad emergere, neppure quando la disoccupazione scende a dei livelli minimi. Perché mai? La produzione non è più nazionale e poi esportata, ma globale, perché integra i siti produttivi dei Paesi attraverso le “catene di valore”. Ossia, il telefonino è progettato in California, ma prodotto in Asia con salari asiatici. Manca così l'inflazione “da costi”, quella legata alla dinamica salariale dei Paesi sviluppati. Come conseguenza dell’economia globalizzata, i tentativi di spingere l’inflazione verso il due per cento - il tasso che “lubrifica” l’economia - è riuscita alle Banche Centrali solo in pochissimi trimestri in un arco più che decennale.

Rieccoci a Draghi che arriva a Francoforte nel 2011 in piena crisi. La sua prima mossa è stata chiarire - nel 2012 - che l’euro restava e che per tenerlo vivo si sarebbe fatto di tutto, il tormentone del Whatever it Takes. Come conseguenza di questa decisione iniziò il finanziamento a tassi agevolati delle banche. Infine nel 2015 è arrivato - non bastando la politica di taglio dei tassi per rilanciare l’economia - l’acquisto del debito pubblico dei Paesi dell’Euro-zona, il Quantitative Easing, diventato un’icona pop, anche se meno dello Spread, che era ed è evocato in ogni talk show.

Il primo obiettivo di Draghi fu quello - attraverso i tassi di interesse - di spingere le banche a finanziare l'economia reale. I tassi riconosciuti alle banche di credito ordinario per i loro depositi non obbligatori presso la banca centrale divennero negativi per incentivare l’impiego dei fondi. Mentre le banche di credito ordinario, se avessero voluto aumentare i crediti, sarebbero state finanziate dalla banca centrale a tassi nulli.

I critici di Draghi sostengono che, se i tassi a breve sono negativi e quelli lunga,pur superiori di quelli a breve, sono a dei livelli minimi, se non negativi, allora le banche non guadagnano e quindi non erogano credito. Intanto che guadagnano nulla i risparmiatori.

Il secondo obiettivo di Draghi fu quello di schiacciare attraverso il Quantitative Easing il costo del debito pubblico fino a quando la ripresa non fosse divenuta stabile. Se così non si fosse fatto, il costo del debito pubblico dei Paesi “viziosi” sarebbe potuto aumentare danneggiando la crescita. Come effetto delle scelte di Draghi, anche se il debito pubblico è salito, grazie ai rendimenti bassi o nulli, il suo costo è sceso.

I critici di Draghi sostengono che più la banca centrale schiaccia il costo del debito, meno incentivo si ha in campo politico per portare sotto controllo la spesa pubblica, perché la spesa non da interessi trova spazio grazie alla discesa di quella da interessi. E dunque che non serve schiacciare il costo del debito per migliorare i conti pubblici. Anzi, il bilancio dello stato è lasciato così come è, proprio perché il costo del debito è schiacciato.

Ha ragione Draghi, oppure i suoi critici? La risposta è: entrambi. Se ci si concentra nel breve termine ha ragione il primo, se, invece, ci si concentra nel lungo termine, hanno ragione i secondi. Ma si poteva aspettare il lungo termine? La crisi avrebbe potuto dare luogo a chissà quali conseguenze, per cui era meglio agire subito. Detto altrimenti, si agisce sapendo che non si ottiene il meglio proprio per evitare il peggio, che è inconoscibile. Proprio perché i problemi vanno risolti “qui e subito”, quindi non aspettando che le cose si aggiustino nel lungo termine, che siamo ammiratori di Mario Draghi. Il quale ritiene - e lo ha detto ormi un gran numero di volte - che la politica monetaria abbia fatto il possibile, e quindi che abbia esaurita - salvando il salvabile - la propria “spinta propulsiva”. Ora tocca agli altri.

 

3 - Aramco e il Petro-stato

Siamo finalmente arrivati dopo due anni alla quotazione - un 5 per cento delle azioni e per ora alla borsa saudita, ma poi anche all’estero - di Aramco, il gigante mondiale saudita del petrolio. E’ il fatto economico del giorno non solo perché sarà la prima impresa quotata al mondo, ma anche per le sue ramificazioni politiche.

La Saudi Aramco - alla scoperta dei giacimenti nella Penisola nel 1938, si chiamava ARAbian aMerican oil COmpany - come fatturato è di gran lunga la maggiore impresa petrolifera del mondo. Solo Gazprom, che produce gas, le si avvicina come fatturato, ma il gigante russo ha una una redditività di molto inferiore. Oltre alla dimensione Aramco è anche l’impresa petrolifera che ha i costi di estrazione più bassi - circa 3 dollari al barile pari a un terzo del costo medio dei maggiori concorrenti. Oltre alla dimensione e ai costi ineguagliabili, Aramco è anche quella che inquina meno per estrarre petrolio. Le sue riserve accertate sono, infine, il triplo di quelle - se sommate - dei maggiori concorrenti.

In breve, Aramco è “mostruosa”, o, se si preferisce, è mostruosa la quantità e qualità di petrolio stipato fin dalla notte dei tempi nella Penisola Arabica. Come è facile immaginare, Aramco diventerà la maggiore impresa quotata al mondo al posto di Apple. Fin qui l’apologetica. Osserviamo ora criticamente le cose.

1) a chi appartiene Aramco; 2) qual è lo scopo della sua quotazione; 3) in un mondo sempre più ecologico che ci fa Aramco?

1) in Arabia la successione al trono non è regolata, né la successione politica si forma a partire dalla divisione dei poteri in un sistema a suffragio universale entro uno stato etnicamente omogeneo. Il potere è suddiviso per tribù, e si ha quella che eredita l'esercito, l'altra la sicurezza, e così via. L'alterare i rapporti di potere all'interno della macchina dello stato diventa perciò l'alterare i poteri delle tribù costituenti la compagine comune. Segue che Aramco appartiene ed apparterrà allo stato nella declinazione di “congerie tribale”. Non si vede, infatti, come la “presa” tribale possa trasmutarsi nel primato della società civile se le azioni di Aramco portate in borsa non saranno una quota di controllo.

Oltre tre quarti delle entrate statali saudite hanno oggi origine nella rendita petrolifera, e quattro quinti delle esportazioni hanno di nuovo una origine petrolifera. L’Arabia è definitivamente un Petro-stato e l’immensa ricchezza di Aramco potrebbe aiutare il finanziamento della sua modernizzazione, ossia la fuoriuscita dalla dipendenza dalle materie prime energetiche.

Qui sorge un dubbio. Aramco può essere quotata e così portare ricchezza al casse statale, ma, se non viene quotata, la porta lo stesso, perché i suoi dividendi finirebbero, invece che ai privati, al Tesoro saudita. Aramco va piuttosto bene e quindi non è privatizzata perché “va male”, come si era detto - fra lo stupore di tutti - di un’impresa da privatizzare del Bel Paese.

Vero il ragionamento esposto, ossia che si mantiene il potere tribale e la ricchezza per il Tesoro saudita resta la stessa, allora la quotazione di Aramco è in essenza un’operazione di immagine, volta a promuovere il progetto di modernizzazione dell’Arabia Saudita.

2) l’iper dipendenza saudita dal petrolio impone di diversificare, e così i progetti di Riad prevedono la privatizzazione delle poste, della sanità, delle ferrovie, dei porti. Un altro progetto è nel turismo “per tutti”, ossia non legato al pellegrinaggio verso i luoghi sacri dell’Islam. Le privatizzazioni e il turismo “profano” è probabile che finiscano per essere affidati alla gestione di clan tribali. Il piano varato nel 2017 prevede degli investimenti anche nello studio dell’inglese e della matematica, con l’idea di creare una classe dirigente competitiva a livello internazionale.

Tutto ciò alla lunga implica l’allentamento del controllo su una società dove i proventi petroliferi finora hanno sostituito le imposte, laddove il benessere dei sudditi dipende dalla benevolenza distributiva dei principi. La vera modernizzazione passa però dalla trasformazione dei sudditi in cittadini, ma per avere la Silicon Valley bisogna prima aver avuto la ribelle Berkeley.

3) in un mondo sempre più ecologico la domanda di petrolio dovrebbe ridursi, perché si farà un uso più efficiente delle risorse e perché si useranno le energie alternative. Questo dovrebbe avvenire in un arco temporale lungo, perché è difficile immaginare gli aerei e le navi trainate dalle batterie. Se la minor domanda dovuta all’ecologia si confronta con una offerta che resta ricca, i prezzi del petrolio dovrebbero stagnare se non scendere. Aramco, che è l’impresa mondiale con i costi di estrazione più bassi, dovrebbe quindi sopravvivere senza problemi.

Se si andasse incontro ad una accelerazione del progetto ecologico - come si arguisce dal programma della candidata democratica per la Presidenza Elizabeth Warren, potrebbero venire proibite le nuove attività di estrazione. Per effetto della lentezza della sostituzione delle tecnologie ad alta intensità energetica con quelle a bassa intensità, l’offerta di energia diventerebbe inferiore alla domanda. In questo secondo caso, i prezzi del petrolio sarebbero maggiori, di nuovo favorendo Aramco, che avrebbe dei ricavi maggiori con i costi di estrazione più bassi.

 

Il ragionamento su Mario Draghi è stato pubblicato su: https://www.linkiesta.it/it/article/2019/10/30/europa-mario-draghi-euro-crisi/44153/

Il ragionamento su Aramco è stato pubblicato su: https://www.linkiesta.it/it/article/2019/11/04/saudi-aramco-petrolio-privatizzazione-arabia-saudita/44209/