Ho pubblicato, cercando di imitare il linguaggio ineguagliabile del The Economist, un doppio tentativo di fare il punto sul 2019 e 2020 prima sull’Italia e poi sul Mondo. Entrambe le analisi sono state pubblicate da Linkiesta (*).

 

Il capitalismo si sta espandendo, oppure, all’opposto, è sull’orlo di una crisi irreversibile. Questi andamenti non possono essere veri entrambi: uno dei due è quello “giusto”. Già, ma quale? Premessa: col termine capitalismo definiamo un sistema dove le decisioni di investimento sono prese soprattutto dai privati con l’ausilio del sistema finanziario, e dove il lavoro è frutto di una libera contrattazione su un mercato specifico. La nota è organizzata a strati: 1) laddove affermiamo che il capitalismo si sta espandendo nella vita di tutti i giorni; 2) laddove proviamo a descrivere le nuove caratteristiche della ricchezza; 3) laddove osserviamo gli andamenti correnti e proviamo a delineare una previsione.

1- Le abitazioni private e le autovetture private non sono mai state considerate un “capitale”, nel senso che non sono stati considerati dei mezzi di produzione. E dei mezzi di produzione per di più ad uso privato e non statale - quindi “capitalistici” e non “socialisti”. Ebbene, con il B&B le prime, e con Uber le seconde ora si possono usare come mezzo di produzione privato da cui estrarre un reddito. Questi fenomeni fanno emergere il concetto del “costo opportunità”. Potendo affittare la mia casa e guadagnare guidando la mia auto misuro meglio l’uso del mio tempo.

Si diffonde - oltre al B&B e a Uber - anche l’economia ”della conoscenza”, che usa una quantità esegua di capitale “fisico”. Sorgono molte imprese - le “start up” - dove chi sa che fare è sia imprenditore sia tecnico e chi finanzia non deve investire troppo e comunque ci sono i mercati dei capitali. Vengono così meno le figure del “padrone delle ferriere” e dei “colletti blu”.

Insomma, il capitalismo si sta diffondendo in modo molecolare nella vita di tutti i giorni. Come nell’Ottocento si affermava “ben scavato vecchia talpa” riferendosi al Comunismo, oggi osserviamo la talpa del Capitalismo che - sempre sotto traccia - amplia il proprio campo di intervento, anche con la migrazione.

La migrazione ha molti volti. Quello che va per la maggiore è centrato sui “dannati della terra”. Sfugge, se ci si concentra su un solo aspetto, il fenomeno complessivo. Un pensionato tedesco che vive in Spagna e riceve una pensione integrativa che si forma a partire dai redditi che le imprese germaniche ricavano in Cina, come lo definiamo? Siamo, a ben guardare, in un mondo di “sradicamento”, certo composto da profughi, ma anche da benestanti che si ritirano nei Paesi caldi. Anche in passato i benestanti si ritiravano a Biarritz ma erano molto pochi. Una volta gli aristocratici dei diversi Paesi si sposavano fra loro e parlavano più lingue. Oggi accade lo stesso, ma come un fenomeno di massa, grazie all’Erasmus. Insomma, il capitalismo sono le operaie che in fabbrica producono calze di nylon per altre operaie e non calze di seta per la sola regina.

2 - La ricchezza non si forma, come una volta, nel Paese di origine, ma nel Mondo. Più precisamente, la produzione integra le attività di più Paesi, per cui le automobili tedesche hanno i freni italiani, e i telefonini progettati in California sono costruiti in Cina. Inoltre, la ricchezza si concentra nei grandi agglomerati, nelle megalopoli, dove vivono le élite cosmopolite. Il Populismo, invece, si radica fuori da questi grandi agglomerati. La maggioranza di chi vive in provincia ha votato prima per Brexit al referendum del 2016 poi Conservatore con Johnson nel 2019 – un fenomeno che si è manifestato anche negli Stati Uniti, con il voto per Trump.

Ciò ci porta indietro nel tempo – fin nel XVII secolo. All’epoca, le Corti erano soddisfatte ed estraevano i tributi dalle campagne popolate (naturalmente secondo il giudizio delle Corti) dai bigotti e dai bifolchi. Inoltre, i membri delle diverse Corti europee si conoscevano fra loro più di quanto non conoscessero i loro rozzi compaesani. In Gran Bretagna i Cavalieri controllavano le città ed erano convinti (a ragione?) della propria superiore civiltà, mentre le Teste Rotonde controllavano la campagna e giudicavano (a ragione?) i Cavalieri dei parassiti. Alla fine arrivò la guerra civile inglese che fu la rivolta dei secondi contro i primi. Brexit è quindi una sorta di guerra civile combattuta secoli dopo, ma senza armi.

Si usa dire “globalizzazione” come se il suo significato fosse univoco. Invece, si hanno tre significati maggiori: quello centrato sui mercati, che analizziamo nel prossimo paragrafo, quello centrato sulla giustizia, e quello centrato sulla religione. Il secondo significato è riferito alla redistribuzione nel mondo dei frutti del progresso economico – la cui versione pop è “noi siamo il 99 per cento contro l'uno per cento”. Il terzo è quello dell'estremismo mussulmano - il suo debordare nel mondo degli infedeli.

Il primo significato è quello che va per la maggiore. Proviamo a definirlo: 1) la globalizzazione ruota intorno alla liberalizzazione ed integrazione dei mercati dei diversi Paesi; 2) essa è “la” tendenza storica in atto, 3) la globalizzazione porta alla lunga tutti i Paesi nel campo della democrazia – vale a dire nessuno, messo nella condizione di poter scegliere, rifiuterebbe i mercati efficienti, i diritti civili, e la democrazia rappresentativa, e, infine, 4) alla lunga tutti ne beneficerebbero – vale a dire anche i perdenti di oggi troveranno lavoro.

Il progetto e la pratica della globalizzazione, dopo il suo esordio negli anni Ottanta con il duo Reagan - Thatcher, prende davvero corpo negli anni Novanta con il duo Clinton - Blair. L'idea del secondo duo era di un programma che superasse sia la pratica della vecchia Sinistra, quella centrata sulla spesa pubblica e i diritti acquisiti, sia i valori della Destra. Verso il liberismo “di destra” la differenza albergava non tanto in campo economico quanto nel rifiuto del patriottismo, del militarismo, nonché dei valori tradizionali della famiglia. Che il programma abbia funzionato – se si sia imposto nel mondo - è oggetto di dibattito. Si hanno due direzioni del contenzioso, quella politica e quella economica.

Quella politica. Agli inizi degli anni Novanta sembrava che la "Storia fosse finita". Con la vittoria dell'Ordine liberale sia all'interno degli stati – più Mercato e meno Stato - sia nei rapporti fra stati – la caduta del Muro di Berlino e le riforme cinesi che facevano venir meno "la sfida comunista" - poco sembrava che potesse ormai cambiare, e dunque che la Storia - letta come mutamenti imprevedibili - fosse ormai finita. Anni dopo, fra le sfide esterne – il ritorno dei giganti ex-comunisti e delle altre autocrazie - ed interne – il Populismo - la storia sembra essersi risvegliata, ma non ancora entro l'Ordine liberale.

Quella economica. La globalizzazione economica ha una prima “barriera assorbente” nella meccanica stessa degli scambi. Man mano che gli scambi dei servizi, che sono in maggior misura locali, diventano numerosi, la crescita della globalizzazione rallenta. Una seconda sorge dalla meccanica stessa degli scambi da intendere come rivolta di chi perde o teme di perdere il proprio lavoro. Se gli occupati delle imprese e dei settori eliminati dalla concorrenza non trovano una nuova occupazione possono trovarsi in grave difficoltà e votare per chi offre del protezionismo.

3 - La conclusione “strutturale”. S’aggira e non sembra ancora rientrare il malessere. La globalizzazione e il cambiamento tecnologico hanno prosciugato alcune delle fonti di occupazione e di ricchezza. Inoltre, le sorti sembrano agli occhi di molti determinate da vicende lontane, dalle organizzazioni sovranazionali come l'Unione Europea, e/o dai mercati finanziari, che sono, oltre che sovranazionali, anche volubili. Le opportunità, infine, si sono concentrate nelle megalopoli. I residenti dei luoghi in difficoltà finiscono così per diffidare delle élite e cercano un senso nelle politiche dei leader populisti.

Passando alle vicende correnti - o “congiunturali” - dell’economia globale, abbiamo due nodi maggiori. Il persistere dei tassi di interesse nulli o negativi in tutti i Paesi di capitalismo democratico avanzato, e lo scontro fra gli Stati Uniti e la Cina.

Perché i tassi (a breve) e i rendimenti (a lungo termine) sono così bassi? Si hanno due scuole di pensiero. La prima sostiene che i tassi (quelli praticati dalla banca centrale che si riverberano su quelli praticati dalle banche di credito ordinario) e i rendimenti (i rendimenti sono i tassi a lungo termine che ruotano intorno a quelli delle obbligazioni emesse dai Tesori) non torneranno al loro livello storico per effetto della “stagnazione secolare”, ossia di una combinazione di crescita modesta e di demografia negativa, dove prevalgono gli anziani che risparmiano per integrare la pensione. La seconda sostiene che le banche centrali hanno alzato poco i tassi quando c'era ripresa e li hanno abbassati molto quando non c'era. Questa asimmetria altera i comportamenti dei mercati. Una volta che si sia accumulato molto debito – sia privato sia pubblico - con dei tassi e dei rendimenti compressi, diventa difficile per le banche centrali alzare i tassi, perché metterebbero in profonda crisi il sistema. Gli operatori, come conseguenza, scommettono che questi rialzi, se ci saranno, saranno contenuti.

Se il mercato del reddito fisso ha ragione – la previsione è quella di un futuro di modesta crescita e di politiche monetarie ultra lasche - quale sarà la combinazione di politica economica – la combinazione di politiche monetarie e fiscali - adatta ad affrontare le vicende note ed ignote? Con i tassi a questi livelli è difficile che un loro ulteriore ribasso possa riesumare la crescita in caso di crisi. Segue che non resta per governare gli andamenti dei mercati che la politica fiscale, che, frenata negli Stati Uniti dopo che l'economia si era ripresa e congelata in Europa per tutto il periodo di crisi, potrebbe riapparire come “la” soluzione, se non ottimale quanto meno come l'unica praticabile. Con tutti i problemi politici ed anche ideologici che questo “ritorno” solleverebbe.

Resta, infine, il nodo dello scontro con la Cina. Se lo scontro è solo economico, allora “le cose si aggiustano”, oppure se è politico militare, allora cambia lo scenario ovviamente in peggio.

Da dove sorge l'idea della conclusione bellicosa dello scontro fra grandi potenze? In passato le competizioni di grande potenza avevano creato una struttura turbolenta e multipolare della politica mondiale in cui le potenze maggiori si affrontavano come un gruppo di potenziali nemici mescolando le alleanze. Il caso classico è l'Europa in diversi periodi fino al secolo scorso: Francia, Gran Bretagna, gli imperi asburgico e poi austro-ungarico, la Prussia (più tardi la Germania), la Spagna, la Russia, e altri, tutti preoccupati, armati, e allineati con e contro l'un l'altro. Durante i periodi di grande competizione, gli stati si accordavano per regolare la propria condotta, ma i meccanismi che ne scaturivano restavano al momento della crisi deboli. Nella competizione classica di potenza le rivalità si manifestavano in forme militari. Anche le tensioni economiche, sociali e culturali davano forma alla lotta, ma i tradizionali scontri di potenza sono stati definiti dalla guerra.

Ognuno di questi tre elementi - un sistema multipolare, una debolezza dei vincoli basati sulle regole sul comportamento, e le forme di rivalità politico-militari - è presente durante i periodi di grande competizione. Eppure nessuno di questi descrive la politica mondiale oggi. Gli Stati Uniti sono, infatti, sotto ogni profilo una “ultra-potenza” e non “una delle potenze”, come accadeva in passato fra quelle europee. Possiamo così affermare - ragionando per esclusione - che lo scontro degli Stato Uniti con la Cina è solo economico.

Conclusione. Almeno per il 2020 i tassi e i rendimenti dovrebbero restare bassi se non nulli. Nel caso di una nuova recessione la politica monetaria non potrebbe far molto (un conto è abbassare i tassi dal 5% a zero, come avvenuto con la grande crisi partita nel 2007, e un conto è abbassarli da zero dove stanno a dei valori molto negativi come potrebbe avvenire un domani) e quindi finirebbe (fra mille difficoltà) con l’essere riesumata quella fiscale. In ogni modo, per ora non si hanno dei segni di recessione, ma di una crescita molto modesta. Così come è ragionevole affermare che lo sconto in atto fra Stati Uniti e Cina è solo economico. Il 2020 dovrebbe essere, alla fine, un anno di passaggio.

(*) https://www.linkiesta.it/it/article/2019/12/28/economia-mondiale-2019/44890/