A gennaio l’Asset Allocation era stata pubblicata appena dopo l’uccisione di uno dei maggiori leader iraniani. La nostra tesi era che “la vicenda non dovrebbe dar luogo ad una guerra tradizionale, ma a una guerra di rappresaglie. Potrebbe però anche emergere un accordo, dal momento che una guerra non dovrebbe avere sbocchi”. A febbraio non abbiamo avuto la vicenda iraniana ma il coronavirus - sorto in Cina, ma poi diffusosi anche da altre parti. Inizialmente la vicenda del coronavirus sembrava circoscritta alla sola Cina, e quindi i mercati delle azioni avevano proseguito il proprio percorso euforico, salvo poi, questa settimana, ricredersi e crollare.

1 - L'antefatto

Da ben prima che il coronavirus comparisse si avevano i mercati delle obbligazioni anormalmente cari (i rendimenti reali sono nulli o negativi), mentre quelli delle azioni erano guidato dal rendimento alternativo anomalo (quello delle obbligazioni). Perciò, nonostante gli utili piatti, si aveva una spinta rialzista dovuta al fattore di sconto, come si evince da quanto trovate qui: https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/5299-la-compressione-del-fattore-di-sconto.html

2 - Il casus belli

Quando i mercati delle azioni non solo sono cari ma mostrano anche delle modeste prospettive di diventare meno cari per effetto di una crescita prodigiosa dei risultati d’impresa, ecco che un casus belli - come avrebbe potuto essere la crisi iraniana, diventa l’occasione per l’industria finanziaria di ridurre l’esposizione al rischio. La crisi iraniana non si è palesata, mentre il coronavirus sembra in veloce diffusione.

Facendo leva sul casus belli l’industria finanziaria ribadisce un punto importante in sede di legittimazione. Ecco i passaggi che portano alla legittimazione di una correzione grazie ad un casus belli:

- i mercati formano secondo l’industria finanziaria e una corrente accademica - dei prezzi “efficienti”, ossia non sono mai “cari” e neppure “a buon mercato”, perché scontano tutte le informazioni disponibili;

- perciò, quando correggono, lo fanno per effetto di eventi esterni non prevedibili e ad alto impatto (il “cigno nero”).

- si ottiene così una legittimità basata su una argomentazione (che sembra) oggettiva: i mercati finanziari sanno fare i prezzi, ma poi gli eventi esterni (che sono fuori dal suo controllo e imprevedibili) ne influenzano la direzione. A questo punto la dinamica dei mercati si mostra legata alle narrazioni.

Perciò il punto in sede operativa non è stimare con precisione (messo mai che sia possibile) le ripercussioni reali per anticipare che cosa potrebbe accadere, quanto immaginarne gli effetti in prima istanza. Si può così immaginare per le vicende odierne del corona virus un andamento legato alla diffusione della narrativa del panico, cui segue un ritorno alla normalità. Qui si trovano i grafici che chiariscono il punto: https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/5316-epidemiologia-della-finanza.html.

Va da sé che si può immaginare per la vicenda la sola dinamica per di più stilizzata, ma non la tempistica con cui si sviluppa.

3 - Il casus belli e la causa belli

A complicare le cose - ossia, non abbiamo solo a che fare con un casus belli grazie al quale si posso “alleggerire” i portafogli pieni di titoli diventati diventati da tempo cari, si ha un andamento “vero”, un andamento che può rendere più complicata l’uscita dalla fase economica in cui ci troviamo - la causa belli.

Una volta la Cina cresceva (come variazione del PIL) del 10% l’anno. Ultimamente cresce del 5%. Questo rallentamento cinese (= imaginato come un minor peso della Cina dovuto al dimezzamento del tasso di crescita) non va visto come un vantaggio in caso di crisi da coronavirus. Questo perché l’economia cinese è oggi il doppio (come livello del PIL) di quando cresceva al doppio. Perciò il volume addizionale di PIL che produce un 5% di crescita di una economia raddoppiata equivale al 10% di volume addizionale di PIL di un’economia che era la metà. Non solo, ma, a differenza di una volta, la Cina è dentro “le catene di valore” - l’esempio pop è il telefono portatile progettato in California e prodotto in Cina. Quindi l’economia cinese non solo è il doppio di una volta, ma è anche integrata.

Una stima accurata degli effetti economici reali del coronavirus è, infatti, difficilissima, se non impossibile, perché abbiamo a che fare con un doppio shock di offerta - come la rottura delle succitate “catene di valore”, e di domanda - i minori consumi, come la caduta della spesa per il tempo libero.

Oltre a ciò, e non sappiamo ancora se la diffusione del coronavirus sarà concentrata oppure diluita nel corso del tempo. Sul punto: https://www.economist.com/briefing/2020/02/29/covid-19-is-now-in-50-countries-and-things-will-get-worse

La conclusione è il prevalere di un'incertezza dilagante. Si potrebbe pensare di ovviare all’incertezza con una politica economica espansiva, come avvenuto nel 2008. A differenza di allora, nel campo della politica monetaria, i tassi sono bassi o nulli, e dunque una loro ulteriore compressione non dovrebbe produrre dei grandi effetti. A differenza di allora, nel campo della politica fiscale, i debiti pubblici sono maggiori, e dunque una loro ulteriore crescita potrebbe essere fonte di problemi.

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